La qualità resiste, la pubblicità cala

Media – Secondo Publicom le grandi piattaforme come Google e Facebook riescono a sottrarre un miliardo e 600 milioni all’anno al settore pubblicitario svizzero. Nel frattempo il mondo mediatico aspetta la votazione del 13 febbraio
/ 20.12.2021
di Roberto Porta

Le prossime settimane saranno ad alta tensione per il mondo mediatico svizzero, che si trova alla vigilia di un esame popolare sicuramente impegnativo. Il 13 febbraio verrà deciso il destino del pacchetto di misure in favore dei media, una data che viene considerata cruciale da diverse testate elvetiche. Ma come si presenta il settore dell’informazione a questo appuntamento? Quali sono al momento le condizioni di salute delle aziende che si muovono in questo settore?

«I nostri studi dimostrano che in Svizzera la qualità dei prodotti giornalistici è piuttosto alta. In linea generale i media informano in modo professionale. Ci sono però anche dei problemi. Notiamo in particolare che la diversità e la pluralità delle testate sta diminuendo. Ci sono giornali che chiudono e altri che vengono assorbiti da gruppi più importanti. E questo è di certo un impoverimento». Osservazioni di Daniel Vogler, ricercatore presso l’Istituto di scienze della comunicazione dell’Università di Zurigo, un centro che ogni anno pubblica lo studio Qualità dei media in Svizzera, probabilmente l’analisi più autorevole sul mondo mediatico di cui disponiamo nel nostro Paese. In altri termini la qualità resiste anche se dal punto di vista finanziario diverse testate fanno sempre più fatica a sopravvivere, basti dire che dal 2003 ad oggi sono ben 70 i giornali locali che hanno dovuto chiudere i battenti. E qui sul banco degli imputati c’è in particolare il mercato pubblicitario, o meglio Google, Facebook e altri giganti tecnologici che da questo mercato attingono a piene mani. Secondo Publicom, un’agenzia dei media in Svizzera, queste grandi piattaforme riescono a sottrarre un miliardo e 600 milioni all’anno dal settore pubblicitario del nostro Paese. Così almeno si stima, perché in questo ambito è praticamente impossibile ottenere cifre precise. «I soldi a disposizione del giornalismo sono sempre di meno e questo a medio-lungo termine può davvero essere problematico – ci dice ancora Daniel Vogler – È in gioco la capacità dei media di resistere in questo contesto sempre più difficile. Ma non è tutto, a questo problema si aggiunge il calo delle entrate pubblicitarie online, registrato l’anno scorso in Svizzera per la prima volta dal 2014». I dati pubblicati dallo studio annuale dell’università di Zurigo attestano una diminuzione del 17% di questi ricavi, pari a 380 milioni di franchi.

«Il modello economico basato sulle entrate pubblicitarie è sempre più in crisi, mentre le redazioni che fanno affidamento sugli abbonati e su una forte fidelizzazione del pubblico hanno più possibilità di far fronte a queste difficoltà. Notiamo che sempre più testate hanno introdotto, anche online, degli abbonamenti a pagamento e vediamo che in alcuni casi questo può funzionare. E qui si cita spesso l’esempio positivo del sito zurighese Republik.ch, che si basa proprio solo sull’apporto dei propri abbonati. In generale la situazione rimane comunque molto fragile, per questo riteniamo che un aiuto della mano pubblica sia al momento indispensabile». Sostegno in votazione popolare pari a 150 milioni supplementari all’anno. Questi fondi saranno in particolare destinati alle radio e televisioni locali e alla distribuzione postale dei quotidiani. Aiuti previsti anche ai siti di informazione online a pagamento. La SSR sarà dunque esclusa, ha già a disposizione il canone.

Ci sarà inoltre anche un sostegno alle scuole di giornalismo e alla formazione continua, proprio per poter garantire la qualità dell’informazione che contraddistingue ancora il settore dei media in Svizzera. Un pacchetto contro cui è stato lanciato un referendum da chi sostiene che questi fondi rischiano di rendere i media sempre più dipendenti dalla politica. Un fronte che sottolinea anche un altro fatto: malgrado tutto i principali gruppi editoriali svizzeri riescono a chiudere con un utile i loro bilanci. «È vero, è così – fa notare Daniel Vogler, ricercatore all’università di Zurigo – va però detto che questi grandi gruppi editoriali si muovono anche in ambiti diversi da quelli editoriali. In questi ultimi settori riescono a fare utili, ma non nel giornalismo». In vista del 13 febbraio non si parlerà solo di pubblicità e di abbonati. Le redazioni dovranno fare i conti anche con le critiche che hanno a che vedere con il modo in cui hanno riferito sulla pandemia. «Abbiamo svolto due ricerche proprio su questo aspetto – ci dice in conclusione Daniel Vogler – e dobbiamo dire che i media hanno saputo anche in questo ambito garantire una buona qualità dei loro prodotti. A eccezione delle prime settimane di questa pandemia, nel marzo 2020, i media svizzeri non sono stati filo-governativi o troppo vicini al mondo della medicina e della scienza, come viene loro spesso rimproverato e generalmente non hanno utilizzato toni allarmistici. Insomma hanno saputo dimostrare una buona professionalità anche in un contesto difficile e imprevedibile come quello della pandemia».

Pandemia e la cosiddetta infodemia che faranno anche loro capolino, in vista della votazione popolare sul pacchetto in favore dei media. E anche per questo motivo la campagna politica rischia di farsi davvero rovente: un referendum non sul finanziamento ma pro o contro il mondo dei media.