La nostra Africa

Integrazione – La Comunità africana del Ticino compie 25 anni. Rinnovato e ringiovanito il Comitato dell’associazione si impegna a rilanciare l’attività
/ 12.06.2017
di Fabio Dozio

Dall’Africa alla Svizzera per amore, dal Togo al Ticino. È il percorso del nuovo presidente della Comunità africana del Ticino (CAT). Lui si chiama Constant Nangbayadé Aharh, giurista quarantaduenne. È arrivato nel nostro Paese nel 2000, dopo aver conosciuto, in Africa, la ragazza ticinese che poi sarebbe diventata sua moglie. Si è laureato in legge in Francia, a Lille. Nei primi anni del Duemila ha lavorato come giurista al Soccorso Operaio Svizzero. Nel 2007 è tornato in Togo con la famiglia, ma adattarsi a un mondo molto diverso non è stato facile, sia sul piano famigliare sia su quello professionale. Era consigliere giuridico al ministero delle finanze, ma non è stato possibile abituarsi a un modo di lavorare troppo differente: «Si è confrontati con una politica tribale – spiega – le decisioni sono spesso prese in funzione degli interessi delle tribù». Modi di fare ormai troppo lontani per un giovane che si era già integrato in Europa.

Constant Aharh ha assunto la presidenza della CAT in maggio, con l’obiettivo di rilanciare questa associazione di sostegno e di promozione degli africani che vivono da noi. Sono circa 1200 i residenti, poi c’è la realtà dei richiedenti asilo, che negli ultimi anni crea un nuovo bisogno di aiuto e di assistenza. La Comunità è nata 25 anni fa, fondata da Serge Nicolas N’zi. L’idea nacque quando un africano venne trovato nel suo appartamento, solo e abbandonato, a due settimane dalla morte. Lo scopo era prima di tutto assistere gli africani che si trovavano nel bisogno, con questo motto: «Unità nella diversità, solidarietà e tolleranza».

Fa specie che la Comunità rappresenti l’intero continente, composto da 54 Stati e che conta più di 1,1 miliardo di abitanti. «In effetti, qualche problema di coesistenza tra etnie diverse lo riscontriamo – afferma Constant Aharh – in Ticino c’è stata una spaccatura tra africani francofoni e anglofoni, noi cercheremo di superare queste divisioni. Lo scopo del nuovo Comitato CAT è avvicinarci a tutti gli africani, bisogna creare contatti e relazioni. Dobbiamo stare vicini e rompere il ghiaccio tra chi arriva e coloro che già risiedono qui da anni».

In questi 25 anni la CAT ha svolto un gran lavoro per cercare di sostenere l’integrazione. Incontri e dibattiti, feste della famiglia e interventi per sostenere chi si trova nel bisogno. Il punto chiave di tutte le storie di migrazione è valutare le capacità di integrazione nel Paese d’arrivo. «Non dimentichiamo – ci dice Pedro da Costa, decano della CAT – che i migranti provengono da Paesi diversi, hanno culture, lingue, modi di vivere diversi. L’integrazione è una delle maggiori sfide di oggi e di domani, è un processo continuo e in continua evoluzione. È un modo di vivere al quale deve contribuire sia chi arriva, sia chi accoglie». «I membri della Comunità africana in Ticino – sostiene il Presidente – s’impegnano per un’integrazione senza troppi attriti. Sono in maggioranza cittadini che godono di un’ottima reputazione e riconosciuti per la loro buona condotta. Qualche volta alcuni non riescono a portare a buon fine il loro processo di integrazione. Uno degli obiettivi della CAT è appunto individuare in tempo queste persone e accompagnarle nel modo più adeguato».

Negli ultimi tempi la CAT ha attraversato una crisi di crescita. Il gruppo dei fondatori si è fatto da parte ed è stato rimpiazzato dalla generazione dei quarantenni. Il rinnovato Comitato e il nuovo Presidente intendono rilanciare l’Associazione: «Bisogna ripristinare la fiducia che è venuta a mancare tra i membri della comunità e l’organo dirigente, rinforzare la collaborazione con le istituzioni pubbliche e altre associazioni e infine dare più visibilità alla CAT. Dobbiamo risvegliare e suscitare il senso di appartenenza alla comunità».

Negli ultimi anni il clima politico in Ticino è meno favorevole nei confronti degli immigrati. Gli africani che risiedono da noi da trenta o quarant’anni sono concordi nell’affermare che, una volta, c’era più tolleranza e disponibilità. Il Presidente Aharh ama ripetere un aneddoto: se un bianco corre verso il treno è perché è in ritardo, se lo fa un africano sembra che stia scappando e diventa sospetto… «Noi risentiamo di un certo clima antistranieri, – confessa il Presidente – certe persone non si nascondono più e non esitano a ricordarci che siamo diversi e che questa diversità dà loro fastidio. Peccato».

Il rapporto e le relazioni con le autorità sono positivi. In primo piano c’è la Commissione cantonale per l’integrazione degli stranieri (CIS), presieduta per tanti anni da Mario Branda, sindaco di Bellinzona. All’assemblea della CAT, a maggio, Branda è intervenuto sottolineando l’importanza di impegnarsi per la comunità, promuovendo la fratellanza e gli scambi interculturali: «Va sviluppato il dialogo – ha detto – bisogna saper ascoltare e non solo prestar orecchio, aprirsi alla discussione e accettare la diversità e l’eterogeneità».

Accanto alla CIS è operativo il Servizio per l’integrazione degli stranieri, diretto da Attilio Cometta, che promuove e sostiene i progetti per migliorare l’integrazione, partendo dal principio che «la convivenza, la comprensione tra culture diverse è un presupposto indispensabile per lo sviluppo sociale, culturale e anche economico della società». «Le autorità fanno un gran lavoro – afferma Aharh – ne siamo coscienti e ringraziamo. Tuttavia, la banalizzazione di certi atteggiamenti ci obbliga ad auspicare un maggior coinvolgimento nella sensibilizzazione contro le forme di discriminazione».

Grazie al sostegno del Servizio per l’integrazione, la CAT spera di poter presto aprire una sede permanente a Bellinzona, uno sportello, gestito da volontari, per far sì che la Comunità sia riconoscibile e sempre raggiungibile. Un altro progetto che dovrà veder la luce a breve è il miglioramento del sito web e la creazione di una pagina Facebook. Nel nuovo Comitato c’è una giovane studentessa della facoltà di comunicazione dell’USI che dovrebbe occuparsi di questo onere. Non mancano gli obiettivi più sociali. La CAT si occupa dell’assistenza e della formazione dei richiedenti asilo e di chi lo ha ottenuto: si insegna loro come gestire i soldi, per non spenderli in cose inutili e evitare indebitamenti.

Affianca chi deve regolarizzare i permessi: per esempio, c’è un gruppo di donne africane che, dopo quindici anni di permanenza in Ticino, hanno ancora e solo il permesso F, rilasciato agli stranieri che, per decisione della Segreteria di Stato per la migrazione, vengono ammessi provvisoriamente in Svizzera. «Dobbiamo risolvere queste situazioni – annota Constant Aharh – speriamo che il Ticino dimostri apertura nei confronti di queste persone». «Integrazione – precisa il decano Pedro Da Costa – significa anzitutto accettare l’altro, con le sue differenze e i suoi valori. Un processo che vale sia per gli indigeni, sia per gli stranieri. Chi arriva in Svizzera deve dare il massimo per inserirsi, ma la popolazione residente deve partecipare attivamente allo sforzo. La mia impressione è che i ticinesi si impegnino ancora troppo poco».