Sono tornati. Sono tornati a manifestare nelle piazze, i ragazzi. Sono tanti. Tra di loro qualche anziano che approva e appoggia. Sono quasi tutti studenti. Protestano contro il sistema che genera il cambiamento climatico, il riscaldamento del pianeta con le sue temibilissime conseguenze. Forse è lo spirito del ’68 che rinasce con altri valori e ideali. Forse è soltanto il prodotto di una cultura borghese, alla moda, e invece i veri problemi sono altri: il lavoro e la pensione, le tasse troppo alte, le questioni sanitarie, la crescita dei prezzi, le difficoltà a procurarsi l’energia che fa girare l’economia, l’avvento dei migranti che saturano i posti di accoglienza e che anche se accolti non si sa poi come gestire.
Nel protestare contro la crisi ecologica i manifestanti invocano implicitamente un ritorno alla natura, per esempio a fonti di energia naturali, buone, rinnovabili, come si dice. E natura è la prima «Parola Verde» con la quale iniziamo questi interventi mensili, seguita paradossalmente dalla parola paura. Interventi indirizzati al nostro fine che è quello di capire. Io, noi dobbiamo, vogliamo capire, come diceva Hannah Arendt. Se la natura sia davvero buona, se la paura sia naturale o fittizia, imposta.
Che cosa ci spinge o ci risospinge nelle braccia del pensiero ambientalista? La pura protezione della natura, per motivazioni diverse, anche estetiche (la bellezza della varietà)? Oppure è ancora una volta la paura a motivarci, quella paura che nei tempi pandemici ha fatto adottare alla gente comportamenti che nessuno avrebbe potuto anche lontanamente immaginare? E poi di che cosa abbiamo paura? Del vicino o del lontano? Gli eventi in Afghanistan, le notizie dall’Iran ci commuovono tutti, ma ne abbiamo paura? Forte è la paura per la salute. Eppure, mentre la mettiamo al sicuro usando a raffica strumenti usa e getta, mascherine guanti camici confezioni monouso di qualsiasi cosa, dalle siringhe al sale all’olio per l’insalata, non ci accorgiamo di danneggiare gravemente la sicurezza ecologica inquinando rovinosamente il pianeta. È un paradosso, come è un paradosso abolire l’uso del DDT e così rinvigorire la malaria e dover inventare il vaccino. È un paradosso che investe anche le misure per la sostenibilità. Bisogna rifornirsi di energia di qualunque genere, anche il carbone, anche il nucleare? Inchinarsi di fronte a emiri dispotici per ottenere gas a prezzi favorevoli?
Eppure, tutto questo è anche molto naturale perché siamo esseri inquieti e contraddittori, noi animali umani. Vogliamo avvicinarci alla natura che immaginiamo luogo di pace e armonia, perché temiamo il disagio e il pericolo delle tecnologie e la loro veloce trasformazione, ma dobbiamo riconoscere che è stato proprio l’allontanamento dalla natura che, attraverso medicina e igiene, ha portato a un miglioramento della qualità della vita.
O forse è la paura, infine, dell’innalzamento delle acque, della desertificazione, della scarsezza di materie prime che ci fa agire invocando il ritorno alla natura? O l’invocazione della natura potrebbe infine essere, in tempi di secolarizzazione, una nuova religione laica, una fede in qualcosa di non corrotto dall’intervento umano?