Ascoltate due sonate di Beethoven, diluite la giornata con Brahms e, prima di coricarvi, rilassatevi con un concerto di chitarra o una suite per pianoforte, oppure cercate conforto nel battito di strumenti ritmici. O lasciatevi trasportare lontano dalle note di un sax. Potrebbe essere questa l’insolita prescrizione medica per alleviare un ampio spettro di malattie e persino ottenere concreti benefici. In altre parole: la musica come cura.
L’argomento è al centro di un corso universitario di Cultura e salute, aperto gratuitamente anche al pubblico (non occorrono iscrizioni) e si svolgerà per sette lunedì, alle 18, nell’aula polivalente del Campus Est a Lugano, da questa sera, 17 ottobre a lunedì 5 dicembre. Personalità del mondo della scienza e professori della Facoltà di scienze biomediche dell’USI si confronteranno su sette temi che legano la musica alla medicina e al benessere delle persone. La musica – evidenziano gli organizzatori (Facoltà di scienze biomediche dell’USI, in collaborazione con Divisione cultura della città di Lugano e Ibsa Foundation per la ricerca scientifica) – viene considerata un efficace strumento di cura in ogni età e in numerosi ambiti clinici. Ascoltare la musica può ridurre lo stress, recuperare funzioni motorie e neurologiche; nel caso di bambini affetti da autismo o con deficit di attenzione e difficoltà di linguaggio, la musica rappresenta una risorsa per l’apprendimento e per favorire relazioni. Per saperne di più abbiamo interpellato il professor Enzo Grossi, coordinatore scientifico dell’evento, ricercatore e medico pluridisciplinare, da anni attivo nel campo dell’arte, cultura e salute cui ha dedicato numerose pubblicazioni scientifiche.
Professor Grossi, può illustrarci gli aspetti neuroscientifici della musica quale possibile strumento di cura?
La musica, fra le arti oggetto di studi, è quella che vanta un corpus di evidenze scientifiche solide di gran lunga più esteso rispetto alle altre forme di arte. Per questo motivo è auspicabile che la musica possa entrare sempre di più nell’armamentario medico per la sua efficacia, l’assenza di effetti collaterali e il basso costo, se non addirittura gratuità. La musicoterapia, a partire dal XX secolo, è stata ancorata a concetti appartenenti ai modelli delle scienze sociali, nei quali la musica e il suo valore terapeutico erano considerati in virtù della possibilità di promuovere il benessere generale, risposte emozionali e l’integrazione sociale. Tuttavia, dagli anni ’90 in poi, il ruolo della musica in ambito terapeutico ha subìto alcuni cambiamenti grazie a nuove evidenze pervenute dalle ricerche che hanno connesso la musica alla sua funzione cerebrale e, soprattutto, grazie all’avvento di moderne tecniche di ricerca applicate alle neuroscienze cognitive. Ultimamente le scoperte nel campo della musicoterapia sono aumentate e di conseguenza è aumentato l’uso consapevole del suono e della musica a supporto di competenze sensoriali, emozionali, relazionali, cognitive di soggetti in condizioni fisiologiche e/o patologiche.
Con quali esiti?
Si è visto, ad esempio, che nel bambino la musica è in grado di stimolare, oltre all’area uditiva, molte altre parti del cervello che hanno a che fare con la vista, la sensorialità, l’equilibrio, la destrezza, il movimento, il linguaggio, l’emotività e il comportamento. I meccanismi neurofisiologici sono molto complessi e molti neuroscienziati cercano di ricostruire lo schema portante delle interconnessioni a cui si devono questi effetti. La ricerca sta dando grandi risultati ma ci sono ancora molti aspetti da chiarire. La musicoterapia può significare molti tipi di attività, contesti e obiettivi. È necessaria una ricerca meccanicistica a grana più fine per capire meglio quale tipo di musica (dall’ascolto a diversi tipi di creazione di musica attiva), condotta da chi e in quale contesto, sia più utile per quali pazienti e obiettivi.
L’ascolto della musica rappresenta dunque un toccasana in vari ambiti clinici?
Molte malattie neuropsichiatriche in cui spesso i farmaci hanno un ruolo problematico – o per la scarsa efficacia o per gli effetti collaterali – hanno attratto l’interesse dei clinici e dei ricercatori interessati alla musicoterapia. L’esperto internazionale Christian Gold parlerà di questo il 14 novembre, mettendo a fuoco i pregi e i limiti della ricerca esistente. Nella schizofrenia, ricerche dei primi anni 2000 hanno evidenziato effetti sui sintomi negativi, tra cui blocco emotivo, ritiro sociale e riduzione della motivazione. Per quanto riguarda l’autismo, si sono osservati effetti sull’interazione sociale, un dominio centrale di compromissione nell’autismo, ma hanno anche evidenziato una notevole eterogeneità, che può essere dovuta ai partecipanti o agli interventi. Per quanto riguarda la depressione, la ricerca ha suggerito effetti positivi sui sintomi depressivi, sull’ansia e sul funzionamento, ma ha anche evidenziato carenze metodologiche. In generale, un numero crescente di ricerche suggerisce che la musicoterapia può avere effetti benefici e nessun o pochi effetti collaterali. Tuttavia, una preoccupazione crescente è l’eterogeneità dei risultati. È necessario standardizzare i protocolli di somministrazione e valutazione degli effetti e capire se la combinazione della musicoterapia con altri tipi di intervento può essere potenziante o addirittura riducente l’effetto, come è stato dimostrato nell’autismo da mie analisi statistiche.
Il 24 ottobre lei terrà una delle 7 lezioni del corso, intitolata «Music medicine per contrastare dolore, ansia e stress». Può anticipare alcuni dei contenuti del suo contributo?
La musica, senza dubbio, possiede un effetto analgesico, anti ansia e anti stress. Per quanto riguarda il dolore, gli studi disponibili evidenziano un effetto analgesico reale e significativo, anche se di entità moderata. Il genere femminile risponde meglio di quello maschile e la musica dal vivo funziona meglio rispetto a quella registrata. Effetti importanti si riscontrano anche su altri correlati negativi del dolore, come nausea e vomito, stress psicologico, pressione arteriosa e frequenza cardiaca. Lo stress è il killer silenzioso della società moderna. Come noto, è l’eccessiva produzione di cortisolo a essere responsabile degli effetti dannosi dello stress. Una review fondamentale di Chanda e Levitin elenca una serie di studi che dimostrano come l’ascolto musicale riduca inequivocabilmente i livelli di cortisolo circolante. L’effetto è ottenuto sia con musica scelta dallo sperimentatore che dal partecipante. L’azione sul cortisolo sembra essere mediata dall’ossitocina, stimolata dall’ascolto musicale e responsabile di effetti salutogenici quali senso di empatia, condivisione e amicizia. L’ossitocina e le endorfine, anch’esse messe in gioco dalla musica, svolgono anche effetti analgesici, al pari della dopamina, altro neuromediatore stimolato dalla musica a cui si attribuisce primariamente la sensazione di appagamento e piacevolezza legate all’esperienza musicale. Questi aspetti sono spesso poco conosciuti dalla classe medica, il che spiega il ritardo nella presa d’atto e nella messa in pratica nei contesti clinici abituali.