Il mio maestro buddista Sakya Trizin dice: «Devi guardare questo mondo come una prigione e devi pensare a come evadere». Per Nicola Toscano, 61 anni, da Mesocco, buddista praticante, pastore e tosatore di pecore a tempo pieno, l’evasione dalla prigione del mondo sono i 2300 metri dell’Alpe Cadlimo, tra il Passo del Lucomagno e la regione di Piora, alle sorgenti del Reno di Medel, affluente del Reno le cui acque sfociano dopo oltre 1200 km nel Mare del Nord. Lì, in un paesaggio aspro e battuto dai venti che spazzano le Alpi da nord a sud, da una ventina d’anni, da giugno a ottobre, Nicola si rifugia con duecento yak, i tipici bufali tibetani con il pelo folto e le lunghe corna, che accudisce e sorveglia insieme ai suoi quattro cani pastore: «Lassù tra pietraie assolate vi si svolge uno strano mercato. Puoi barattare i vortici della vita per una felicità senza limiti».
«Questo è il pensiero di Milarepa, uno dei più grandi religiosi e poeti tibetani. Una visione della vita che condivido pienamente», ci dice il pastore mesolcinese per spiegarci perché una ventina d’anni fa ha raccolto e vinto una sfida: far integrare i bufali tibetani nelle Alpi svizzere. «Uno zoo austriaco aveva un paio di yak, ma questi animali, che vivono prevalentemente nella regione nepalese, facevano fatica ad adattarsi. Così li trasferirono ad Andermatt e mi chiesero di occuparmene. Sapevano dei miei trascorsi in Nepal e della mia passione per la pastorizia e il bestiame, che avevo trasformato in lavoro. Così d’estate li portai all’Alpe Cadlimo, che ricorda molto da vicino il paesaggio tibetano: ci sono i pendii, le vallate e c’è anche l’acqua corrente e i laghetti dove ai bufali piace sguazzare. E da due esemplari, nel corso degli anni, gli yak sono diventati duecento», racconta.
La stagione estiva a quota 2300 per Nicola Toscano non è proprio all’acqua di rose: «Finché c’è bel tempo questo posto è un paradiso, ma in certe giornate, quando soffia il vento da nord, piove o nevica, non riesci nemmeno ad uscire dalla capanna per andare in bagno. Gli yak invece se la godono: un clima così rigido per loro è un toccasana». Attrezzando la capanna che gli fa da rifugio e centro di preghiera e meditazione, Nicola è riuscito a ricreare un piccolo Tibet nell’alta valle di Blenio.
Quando arriva pianta una bandierona blu che, spiega, «oltre che segnalare la mia presenza serve a far capire agli Yak che sono a casa loro». Poi sistema gli altari dentro la capanna, anch’essa circondata dalle tipiche bandierine tibetane di preghiera usate per promuovere la pace, la compassione, la forza e la saggezza. E non è raro per chi d’estate frequenta questi sassosi sentieri per un’escursione, sentire il pastore di Mesocco che recita il Nam Myoho Renge Kyo, la preghiera buddista per antonomasia, piuttosto che intonare alcuni dei mantra imparati in Nepal, nella regione di Kathmandu, dove all’inizio degli anni 80 si trasferì per qualche mese all’anno. «Allora c’erano i figli dei fiori che partivano per l’India e il Nepal a cercare pace, meditazione e anche qualche droga per sfuggire dalla realtà. Io ci tornavo ogni anno perché ero affascinato da quel mondo, povero, contadino, semplice ma così ricco di umanità e di tradizioni millenarie. Mi sembrava di fare un salto nel Medioevo, lontano da macchine e inquinamento, dallo stress di una società che stava cambiando in peggio. E stavo bene con quel popolo e con me stesso», racconta, sottolineando come fu in Nepal che incontrò la filosofia e la religione buddista che continua ancora oggi a riempire la solitudine delle lunghe giornate del suo lavoro di pastore.
Nicola «svernava» in Nepal, imparava a conoscere gli yak e si manteneva facendo da guida ai turisti alla ricerca di un mondo diverso, ma poi tornava sempre in Svizzera a fare il pastore «transumante». «Fu mio padre che a 17 anni mi spinse verso questo lavoro. Vedeva che stavo “sbandando” e prendendo una brutta piega, quindi mi propose di andare su un’alpe ad allevare capre e a fare formaggio. Mi trovai bene e da allora fare il pastore è la mia vita». Pastore nel senso che governa e guida le pecore, non di allevatore o proprietario di bestiame. «A parte qualche capra che tengo nella mia casa di Mesocco, non ho mai posseduto un animale. Gli allevatori mi chiamano, sanno che possono fidarsi, e io gli riconsegno il bestiame dopo la transumanza invernale».
Già perché «governare» la mandria di yak sull’Alpe Cadlimo per Nicola è una vacanza. Il suo vero lavoro è accompagnare e sorvegliare le greggi. È da quarant’anni che ogni inverno Nicola Toscano parte per il Vallese dove gli allevatori locali gli affidano le loro pecore. «Sono animali rimasti invenduti nei mercati autunnali e che devono svernare per essere riproposti in primavera. Io li raduno, quindi con il permesso degli agricoltori li porto a pascolare nei prati e nei boschi della campagna vallesana».
Pascolare e camminare: in genere Nicola percorre decine e decine di chilometri con il suo gregge, aiutato negli ultimi anni da Remo, un giovane pastore basco che probabilmente sarà il suo erede. «Ho superato i 60 anni e il mio fisico comincia a risentire di questa vita passata all’addiaccio. Presto smetterò e mi ritirerò nella mia casa di Mesocco, con mia moglie, Amalia, l’unico essere umano capace di sopportarmi e stare al fianco di un tipo un po’ balordo come me». Amalia, originaria della Val Colla e trapiantata per amore di Nicola in Mesolcina, si sente in sottofondo che ride: «È lei il mio vero maestro, la mia guida», ci dice il pastore buddista che nella sua travagliata e avventurosa esistenza non ha mai perso il senso della realtà.
Nella sua casa di Mesocco, però, Nicola non starà con le mani in mano. Dalla Mesolcina al Ticino, infatti, gli allevatori continueranno a chiamarlo quando c’è da tosare il bestiame. Le pecore, soprattutto, che Nicola «maneggia» con perizia da autodidatta per toglier loro di dosso la lana superflua. «È una tosatura igienica, non da reddito. La produzione di lana in Svizzera non è un affare. Da qualche anno, però, anche nel nostro paese ci sono un paio di scuole di formazione per pastori e tosatori, quindi ci sono sempre più giovani svizzeri che si stanno avvicinando al mestiere. È una consolazione sapere che non sarò l’ultimo dei pastori tosatori».