Premessa per evitare confusioni: meteorologia e climatologia non sono la stessa cosa. La meteorologia è il ramo delle scienze dell’atmosfera e della Terra che studia i fenomeni fisici che avvengono nell’atmosfera terrestre a breve termine: temperatura dell’aria, umidità atmosferica, pressione atmosferica, radiazione solare e vento. I meteorologi sono dunque coloro che ci dicono che tempo fa e farà sull’arco di alcuni giorni. La climatologia, invece, è la branca delle scienze della Terra e delle scienze dell’atmosfera che si occupa dello studio del clima, ovvero delle «condizioni medie del tempo meteorologico in un periodo di almeno 20-30 anni» ma pure fino a secoli, millenni, milioni di anni. Grazie a modelli climatici che si fondano su basi fisico-matematiche i climatologi ci dicono quanto è cambiato il clima della terra e quanto cambierà. Fine della premessa, necessaria perché oggi faremo un salto a ritroso nel tempo, quando anche nella Regio Insubrica si cominciarono a mettere a dimora le prime stazioni meteorologiche, indispensabili oggi per lo studio dei cambiamenti climatici. Lo facciamo perché fu in Ticino che, grazie alla Pro Lugano, apparve una tra le prime stazioni meteorologiche della Svizzera.
La colonnina della Pro Lugano
Era il 1893 e la colonnina, dotata di vari strumenti di misurazione, fu collocata in piazza Manzoni. Poi, nel 1896, la Pro Lugano regalò la colonnina al Municipio della città che la mantenne lì fino alla fine degli anni Settanta quando, nella risistemazione del centro cittadino, trasferì la colonnina nei magazzini comunali sul piano della Stampa dove rimase, inoperosa, per oltre vent’anni. Il 18 dicembre del 2003 la stazione meteorologica torna però ad essere al centro dell’attenzione del Municipio che, con il messaggio 6459 che si occupa del rifacimento di viali e piazzali del Parco Ciani, propone – e ottiene – il ripristino della stazione meteorologica che ora, dal dicembre del 2006, si trova nella piazza centrale del Parco Ciani. Perfettamente funzionante la strumentazione è costituita di: termometro (per misurare la temperatura); barometro (per misurare la pressione dell’aria); igrometro (per misurare l’umidità atmosferica); anemometro (per misurare la velocità del vento); pluviometro (per misurare la quantità di pioggia caduta). Pensando che oggi ciascuno può disporre di stazioni meteorologiche digitali a casa propria la colonnina sembra inutile e invece… invece i dati – raccolti, incrociati e archiviati con altri provenienti da tutto il territorio nazionale da Meteosvizzera (che ha iniziato a operare come Osservatorio meteorologico di Locarno Monti nel 1935) – concorrono a fornire la base che consente a noi, ad esempio, di conoscere qual è stata «l’estate più calda» o quale «l’inverno più freddo da quando esistono le misurazioni».
Moncalieri e Domodossola
Già, ma da quando esistono le misurazioni e, soprattutto, quanto affidabili sono? Per saperlo abbiamo interpellato il professor Luca Mercalli, meteorologo, climatologo, divulgatore scientifico nonché responsabile dell’Osservatorio Meteorologico del Real Collegio Carlo Alberto di Moncalieri e presidente della Società meteorologica italiana. È lui a spiegarci che «i primi osservatori meteorologici compaiono in Italia, presso le università, alla metà del Settecento: Torino, Milano, Bologna, Padova, Roma. Poi ne seguiranno altri nell’Ottocento come quello di Moncalieri (1865) seguito a ruota, nel 1871, da quello di Piacenza e di Domodossola: prima al palazzo Mellerio e poi, dal 1876 a oggi, al Collegio Rosmini». Da notare che le stazioni meteorologiche dell’800 sono, nella maggior parte dei casi, volute e allestite all’interno di istituti religiosi, fatto questo che si spiega facilmente con quella che era, ancora in quegli anni, la centralità della Chiesa nella diffusione della cultura. «Tutte e tre queste stazioni meteorologiche – prosegue Mercalli – hanno ottenuto dalla World Meteorological Organization (WMO), l’agenzia delle Nazioni Unite deputata al coordinamento delle attività e dei servizi di meteorologia, climatologia e idrologia nel mondo, la prestigiosa qualifica di “stazione centenaria”. Moncalieri nel 2016 – anno in cui fu selezionata dalla WMO anche per la realizzazione di una parte del video promozionale del programma stesso – e Domodossola nel 2021».
Cent’anni di preziose informazioni
E non si pensi a uno di quei premi «pro forma». Le stazioni centenarie, infatti, sono estremamente importanti nell’ambito dei rilievi climatologici a livello mondiale perché, per ottenere il riconoscimento «devono essere rimaste in funzione sull’arco di almeno cento anni e risultare presenti oggi nel medesimo luogo che le vide entrare in funzione». Per capirci: la stazione meteorologica di Lugano – i cui dati sono oggi registrati grazie a processi automatizzati, ma che fino a un ventennio fa, come le altre, necessitava di «controlli quotidiani da parte di persone in carne e ossa» – potrà ricevere l’attestato di «stazione centenaria» solo nel 2106!… La cosa intrigante, in tutto ciò, risiede nel fatto che la strumentazione base della quale ogni stazione meteorologica è dotata è la medesima di quelle in uso nelle «stazioni centenarie», ma… non dite che la strumentazione è vecchiotta. Il motivo ce lo spiega il professor Mercalli: «se un igrometro deve misurare l’umidità atmosferica questo è quello che faceva nell’800 ed è quello che fa oggi. La differenza potrebbe risiedere nel tipo di registrazione del dato visto che un igrometro associato a un registratore può essere sia meccanico (tipicamente a carta) o elettronico, quindi la strumentazione non è vecchiotta. È la strumentazione atta a misurare un dato fenomeno, senza contare che negli anni – da Nicola Cusano a Frederic Daniell – vi sono stati diversi tipi di igrometro, così come esistono diversi tipi di anemometro (quello attualmente in uso è del 1928) sebbene ciò che misura un anemometro è sempre la velocità del vento. Ciò significa che le stazioni centenarie hanno misurato, negli anni, le condizioni fisiche del tempo con metodi diversi, ma confrontabili». Ed è nel confronto di questi dati che il programma e la qualifica del WMO hanno il loro punto di massima forza «perché – prosegue il nostro interlocutore – gli osservatori meteorologici storici con le loro lunghe serie di dati (almeno un secolo) forniscono informazioni preziose e imprescindibili per lo studio dei cambiamenti climatici, la pianificazione delle attività umane e la gestione territoriale in un clima in rapida evoluzione».
La sfida della salvaguardia
Il pensiero corre allora a Domodossola, al campicello dove si trova la «stazione centenaria», campicello (negli anni Settanta detto «pratone») che separa il corpo principale del Collegio Mellerio-Rosmini dall’edificio dove trovavano spazio le aule del liceo scientifico e quelle tecniche (fisica e chimica). Un terreno in posizione interessante, alle falde del Sacro Monte Calvario, in una zona che, da quando il Collegio ha cessato di esistere come tale, potrebbe invogliare la realizzazione di progetti non necessariamente legati alla meteorologia. Inevitabile girare la domanda a Luca Mercalli che, proprio a Domodossola, lo scorso 24 marzo, ha svolto una seguitissima conferenza dal titolo Salire in montagna. Prendere quota per sfuggire al riscaldamento globale. «Lo ammetto, questo è un problema. Mi consola pensare che la stazione sorga proprio su quello che lei definisce un campicello. Non è una grande assicurazione, ma… meglio di niente. Inoltre, va precisato che gestiamo la stazione insieme al CNR – IRSA (Istituto di Ricerca Sulle Acque) di Pallanza che ha bisogno dei dati della stazione per studiare il Lago Maggiore. Voi in Svizzera avete recuperato e digitalizzato i dati di tutte le stazioni meteorologiche presenti sul territorio. Qui in Italia, invece, si va a doppia velocità e niente è coordinato. Esiste, è vero, la Società meteorologica italiana (SMI), fondata nel 1865 proprio all’Osservatorio di Moncalieri, che è però una onlus che ha per obiettivo lo studio e la divulgazione della meteorologia, della climatologia e della glaciologia e che in 150 anni di vita è sempre stata indipendente. Il motivo? La maggior parte delle prime stazioni meteorologiche non era governativa. Queste stazioni erano private e normalmente venivano promosse e insediate in strutture gestite da religiosi. Sono perciò state lasciate al loro destino. A occuparsene sono Associazioni che se un domani decidessero di chiudere la loro attività potrebbero tranquillamente farlo senza alcun tipo di sanzione in barba ai cambiamenti climatici in corso. In un momento storico nel quale la finestra d’intervento per evitare il collasso della terra si sta chiudendo occorrerebbero politiche internazionali forti e coordinate, anche per la salvaguardia degli antichi osservatori. Invece, a fronte di una comunità scientifica che ammonisce sui pericoli che stiamo correndo, l’inerzia, purtroppo, è l’unica risposta».