La metamorfosi del reddito

Dinamiche sociali – L’economista Thomas Piketty analizza grandi romanzi per raccontare le trasformazioni del lavoro e del capitale, un tema che si ritrova anche nelle serie TV
/ 27.12.2021
di Lorenzo De Carli

Tante pagine di romanzi molto popolari all’inizio dell’800 in Francia descrivono le vicende di giovani uomini impegnati nell’ascesa sociale. È il caso, per esempio, di Papà Goriot di Balzac, del Conte di Montecristo di Dumas o dei Miserabili di Hugo. Le vicende delle opere citate si svolgono in anni, nei quali quasi i tre quarti dei parigini non guadagnava i 500-600 franchi all’anno necessari per un tenore di vita minimo.

In un libro dedicato alle metamorfosi del capitale, Thomas Piketty ha prestato viva attenzione ad autori come Honoré de Balzac o Jane Austen perché descrivono le rispettive società francesi e inglesi del tempo e il modo in cui i personaggi dei loro romanzi si procurano il denaro: se attraverso il lavoro o la rendita; distinzione ben presente nei lettori del tempo e che i lettori di oggi tendono a trascurare, sottovalutando in tal modo il ruolo del denaro nell’articolare le relazione sociali di allora. «Quando, all’inizio del XIX secolo, Balzac o Jane Austen scrivono i loro romanzi, – dice Piketty in Il capitale nel XXI secolo – la natura dei patrimoni è, di per sé, relativamente chiara a tutti. Il patrimonio sembra essere lì, a disposizione per produrre rendite, vale a dire redditi sicuri e costanti per chi li detiene, e per questa ragione hanno normalmente la forma di proprietà terriere e di titolo del debito pubblico». Nel libro di Piketty, le tabelle che descrivono la struttura del capitale in Francia o nel Regno Unito dal 1700 al 2010 si alternano spesso a citazioni di scrittori.

Se il movimento che l’economista compie dal romanzo all’analisi è lecito, anche il movimento inverso non lo è meno: raccontare, per esempio, la dinamica del rapporto capitale/reddito o la struttura delle diseguaglianze sociali descritte da Thomas Piketty attraverso opere di narrativa. A molti, per esempio, la serie televisiva britannica Downton Abbey è parsa sorprendentemente efficace per illustrare le analisi che Piketty compie nella seconda e nella terza parte di Il capitale nel XXI secolo, quelli in cui l’economista francese descrive di quali elementi era composto il capitale che generava reddito nel Regno Unito nel corso dell’Ottocento sino alla fine delle Belle Époque, quali caratteristiche aveva la diseguaglianza sociale, e in che modo, dopo la Prima guerra mondiale, il reddito da lavoro crebbe, facendo emergere una nuova dialettica che contraddistinse il Novecento: il successo finanziario (e sociale) ottenuto per i propri meriti e il successo sociale finanziario (e anch’esso sociale) ottenuto in virtù dell’eredità finanziaria acquisita.

Downton Abbey segue le vite dell’aristocratica famiglia Crawley a partire dal 15 aprile 1912, data dell’affondamento del RMS Titanic, evento che suscitò enorme sconcerto nell’opinione pubblica e che, visto a posteriori, segnò la fine della Belle Époque, vale a dire il momento storico che vide l’apice delle diseguaglianze sociali che si consolidarono e si svilupparono durante tutto l’Ottocento, e in particolare tra il 1870 e il 1914, periodo in cui si assiste «a una perpetuazione della spirale senza fine della diseguaglianza con, in particolare, una concentrazione sempre più massiccia dei patrimoni», scrive Piketty. Alla notizia della tragedia, la famiglia Crawley è sconvolta nell’apprendere che il cugino del conte, James Crawley, e suo figlio Patrick, erede della loro proprietà, nonché della cospicua dote della Contessa Cora, sono deceduti nel naufragio. Nuovo beneficiario diventa il giovane Matthew, cugino di terzo grado della famiglia e avvocato a Manchester. I Crawley, soprattutto la Contessa Madre Violet, inorridiscono al pensiero che ad una persona «che lavora» spettino i loro interi averi.

Se Downton Abbey è la serie televisiva che illustra le dinamiche sociali tra la Belle Époque e il primo dopoguerra, il momento in cui si rompe la spirale della crescente disuguaglianza sociale che ha caratterizzato l’Ottocento dei primi due decenni del Novecento, la serie televisiva italiana, inglese e francese intitolata Diavoli descrive vicende attuali, che si svolgono in un momento storico che sembra aver ricreato le stesse disuguaglianze d’inizio Novecento e che Piketty descrive in Capitale e disuguaglianza. Le vicende narrate da Diavoli – tratto dal romanzo di Guido Maria Brera – si svolgono a Londra nel 2011. Ne è protagonista Massimo Ruggero, responsabile del trading presso il gigante bancario American New York – London Bank (NYL). Mentre la crisi finanziaria infuria sull’Europa, Massimo – che nella serie TV inventa l’acronimo PIIGS: Portogallo, Irlanda, Italia, Grecia e Spagna e cioè tutti paesi con enormi debiti – sta facendo centinaia di miliardi grazie alle speculazioni su questi paesi. Nel frattempo, l’Eurozona sembra deflagrare, ripetutamente colpita dai trader che scommettono contro di essa, sennonché, nella serie TV (che alterna finzione a fatti di cronaca reale) si vede Mario Draghi prendere posizione e dichiarare che la BCE farà tutto il necessario per salvare l’Euro. Diavoli termina per così dire «sospesa»: l’Euro resiste all’assalto dell’economia digitale e il protagonista, abbandonata la banca, si addentra in una ricerca sul senso delle conseguenze delle operazioni di trading che avevano delineato la sua parabola professionale, e in questa riflessione il «mondo reale» sembra ostaggio di dinamiche finanziarie che hanno luogo solo nella sfera senza tempo della dimensione digitale – argomento al quale, lo stesso Guido Maria Brera, ha successivamente dedicato il suo romanzo intitolato La fine del tempo.