Sebbene, di per sé, la mano non sia un organo vitale come lo sono il cuore o il fegato, senza l’uso delle mani un essere umano potrebbe sopravvivere ma con ben poca autonomia. Essa, un po’ come il cervello, è un dispositivo naturale general purpose ossia disponibile a mille tipi di azioni diverse fra loro rese possibili dalla capacità di opporre il pollice all’indice e di consentire, quindi, libera prensilità. Anche per questo la mano, fra l’altro, è ai primi posti fra gli organi umani che la robotica cerca di riprodurre. La sua perenne attività, durante la vita quotidiana così come nelle attività professionali, esibisce una flessibilità davvero stupefacente grazie al costante rapporto con il cervello, al quale invia messaggi e da cui riceve comandi. Tuttavia, la sua natura di organo al servizio del cervello, conferisce alla mano uno status non particolarmente elevato come se la sua disponibilità fosse ovvia e poco prestigiosa. Solo di fronte a una sua disfunzione, ci rendiamo conto di quanta parte della nostra esistenza dipenda da essa.
Nel corso della storia il ruolo della mano è però cambiato notevolmente e si va dalla sottovalutazione del lavoro manuale tipico dell’antica Grecia alla sua riscoperta nel lavoro artigiano del Rinascimento, dalla sua centralità nel lavoro scientifico sperimentale dei secoli XVIII e XIX alla sua nuova eclissi nell’epoca attuale, nella quale il lavoro manuale, se non collegato ad attività prestigiose ma tendenzialmente rare, come, per esempio, la chirurgia o l’arte violinistica, non conferisce a chi lo esercita alcun prestigio. Contemporaneamente, però, il prodotto del lavoro artigianale riacquista valore se messo a confronto con quello industriale, eseguito in serie dalle macchine, innescando così una singolare contrapposizione in altri tempi sconosciuta.
C’è inoltre una novità storica, dovuta alla tecnologia, che pone alcune nuove sfide. Si tratta della diffusione dei computer e dei cellulari i quali richiedono alla mano azioni estremamente limitate, normalmente la pressione di un tasto o un’area dello schermo, senza problemi di prensilità. La ragione d’essere di queste macchine elettroniche è, pressoché sempre, l’elaborazione di informazione e non la manipolazione di cose materiali e da parte sua l’informazione, come un giorno disse Norbert Wiener, fondatore della cibernetica, è informazione e null’altro. Il risultato è che chi usa un computer o un cellulare può «viaggiare» nel mondo virtuale vivendo situazioni e luoghi i più diversi e interagire con persone o con scenari dinamici di vario genere, ma il tutto solo informazionalmente, senza alcuna interazione con la corrispondente realtà fisica. In certo qual modo siamo di fronte a una riedizione dell’antico primato del lavoro intellettuale, inteso come attività genericamente mentale o speculativa, rispetto a quello manuale che si misura con la realtà del mondo. Di fatto, il prodotto di qualsiasi attività informatica pensata per la distribuzione pubblica – si pensi alle numerose simulazioni interattive di situazioni le più disparate in ambiti quali i processi chimici o astronomici, artistici o letterari, alla enorme quantità di siti Internet, o blog, che si propongono come innumerevoli Speakers’ Corner fino ad arrivare ai diffusissimi e coinvolgenti giochi oggi disponibili – riempie il cervello di virtualità ma lascia del tutto inattive le più sofisticate capacità delle mani e, di conseguenza, non contribuisce a mantenere e semmai sviluppare la nostra interazione con la reale, complessa e spesso faticosa natura delle cose che ci circondano, al punto che l’antropologo Andre Leroi-Gourhan parla addirittura di una possibile «regressione della mano».
Dunque, se da un lato perdiamo il contatto con la concretezza delle cose, dall’altro non raggiungiamo certo i livelli speculativi del mondo ellenico e della sua filosofia e, così, finiamo per «galleggiare» in un empireo denso di immagini, suoni e testi che non ci forniscono alcuna esperienza diretta. La mano è sicuramente la prima vittima di questo processo perché per diteggiare sulla tastiera – o persino usufruire di comandi vocali – non occorre alcuna speciale abilità manipolativa. Chiunque abbia visto un bambino digitare sullo schermo del proprio cellulare avrà senz’altro colto l’estrema velocità e la notevole precisione con cui le nuove generazioni vi sanno scrivere nomi e numeri. Ma c’è da sperare che non si persuadano che la mano serva solo a quello.