(E. Stampanoni)

La lunga storia di un maestoso torchio

Territorio – Il torchio di Cavigliano dai fasti del 1600 ai restauri degli anni 2000
/ 06.12.2021
di Elia Stampanoni

Se non lo si conosce quasi non si vede. Il torchio di Cavigliano si deve cercare, rallentando e fermandosi nel mezzo del suggestivo borgo delle Terre di Pedemonte, collocato all’imbocco della valle Onsernone. Dopo oltre 400 anni di vicissitudini e scampato dall’abbandono, l’attrezzo ha conservato la sua ubicazione in piazza Al Torchio, lungo la via cantonale che attraversa il paese.

Si tratta di uno strumento impressionante per le sue dimensioni e fa subito intuire quanto dovessero essere importanti le attività legate alla viticoltura nei secoli passati. La trave principale è per esempio formata da un unico tronco di castagno lungo quasi dieci metri, per un peso che s’avvicina alle cinque tonnellate a cui sono state aggiunte quattro grosse pietre per aumentarne ulteriormente il peso e garantire l’equilibrio. La vite e la madrevite, che permettevano il movimento del torchio a leva, sono pure di straordinaria manifattura: la prima ricavata da un tondone di noce di oltre quattro metri di lunghezza e 115 kg di peso, la seconda da un parallelepipedo di quercia per un peso vicino ai 200 Kg. Ci sono poi le stanghe, i montanti e i contrappesi, senza dimenticare i basamenti, i vari travetti e il tavolato, a cui s’aggiunge la vasca in pietra, dove gorgogliava il succo, frutto della pressatura.

Un macchinario imponente, che si può oggi visitare nella sua sede originale a Cavigliano, riassaporando per un attimo anche le sue molte traversie che, come indica la data incisa nella trave, si presume siano iniziate nel lontano 1609. A ricostruire la storia del torchio di Cavigliano ci ha provato Silvio Marazzi, artefice di una ricerca approfondita negli archivi, sfociata nella stampa di un libro presentato lo scorso settembre ed edito dal Museo regionale delle Centovalli e del Pedemonte. Nella pubblicazione l’autore ripercorre le vicissitudini del torchio, aggiungendovi pure notizie e fatti correlati, come la storia degli altri torchi presenti a Cavigliano, una descrizione delle sue parti e il funzionamento. Intrecciando pergamene, documenti, leggende e anche informazioni tramandate oralmente, l’autore riesce a concretizzare delle supposizioni molto attendibili sulla storia dell’imponente macchinario che, come leggiamo, inizialmente «è appartenuto a gente di Golino, verosimilmente ai Modino».

Sì, perché è proprio nel 1609 che alcuni benestanti proprietari del vicino borgo decisero di costruire il «torchio nuovo», inizialmente chiamato così poiché era l’ultimo dei tre già esistenti a Cavigliano e anche l’unico giunto integro fino ai giorni nostri. Il torchio nacque in un periodo di grande fervore per il settore viticolo, quando «la vite era di casa un po’ ovunque», come leggiamo nell’introduzione di Silvio Marazzi. Uva che veniva lavorata in diversi passaggi, tra cui anche la torchiatura tramite questa pressa a leva, la quale permetteva di estrarre anche le ultime gocce dalle vinacce. Fino a Ottocento inoltrato, come racconta l’autore, erano inoltre conosciuti solo metodi rudimentali per la depurazione dell’acqua che era spesso poco adatta al consumo in quanto possibile veicolo di malattie e infezioni, mentre il vino, grazie alla sterilità garantita dal processo di fermentazione, ha rappresentato per secoli un’importante fonte dissetante e pura. Il primo documento ufficiale relativo al macchinario risale al 1670, con la creazione della «società del torchio nuovo», che ottenne la concessione d’uso del torchio per 75 lire annue, prima di acquisirlo al prezzo di 1200 lire qualche anno dopo. Dal 1768 le notizie si fanno più affidabili grazie all’avvio del Libro dei conti della comunità di Cavigliano, che ha permesso anche all’autore di ritrovare informazioni e documenti più attendibili.

Il periodo forse più tribolato iniziò dopo il 1953, anno in cui il torchio cessò la sua attività, sopraffatto dall’evoluzione di nuove tecniche e soprattutto dai torchietti a vite in ferro, i quali soppiantarono abbastanza velocemente quelli a leva, più impegnativi da maneggiare. Il maestoso macchinario rischiò l’abbandono, tanto che inizialmente il locale venne utilizzato come deposito di materiale e, nel 1969, il Comune decise addirittura la vendita, pur mantenendo la proprietà dello stabile. Dopo pochi anni l’autorità di Cavigliano cercò però di riacquistare il suo torchio: un’operazione che non fu semplice ma che si risolse nel 1976, quando il torchio tornò in suo possesso, senza aver mai abbandonato la sua collocazione originale. Dopo altri anni d’oblio e dopo una sistemazione provvisoria avvenuta nel 1980, ecco nel 2007 il restauro definitivo dello stabile e del macchinario, con anche la sistemazione della piazza antistante. Degli interventi di valorizzazione che hanno saputo ridare dignità e valore a uno strumento di lavoro tanto ingegnoso quanto impressionante.

Oggi il torchio non svolge più la sua funzione, ma l’edificio è stato attrezzato per accogliere piccoli incontri e aperitivi in un ambiente rurale di certo affascinante, memori delle tonnellate di vinacce torchiate sotto il suo peso. Il torchio, come leggiamo in epilogo di pubblicazione, in cui con degli schemi viene anche illustrato il funzionamento, poteva lavorare fino a 24 brente per ogni singola torchiatura, ossia circa 1200 litri o 12 quintali di vinacce. Ogni torchiatura richiedeva più fasi, a dipendenza della quantità e della qualità del prodotto, ma si stima che per grosse quantità (oltre le 20 brente) erano necessarie almeno quattro ore di lavoro. Un’operazione interamente manuale, ovviamente, che oggi possiamo solo immaginare.

Bibliografia
Silvio Marazzi, Il torchio di Cavigliano, testimonianza di quattro secoli di storia, edizione Museo regionale delle Centovalli e del Pedemonte, Intragna, 2021.