La lotta delle donne

Oltre #metoo – Il movimento di protesta partito dalle star hollywoodiane si posiziona all’interno della lotta che molte donne di tutte le generazioni continuano a combattere contro la violenza
/ 21.05.2018
di Laura Marzi

La realizzazione di un videogioco amatoriale può essere piuttosto semplice: è sufficiente scaricare un programma, scegliere gli scenari e poi proseguire con la creazione delle funzionalità del personaggio, si tratterà di un prodotto limitatissimo rispetto a ciò che c’è sul mercato, ma si può fare. Ci è riuscita nel 2010 la liceale Suyin Looui, creando un videogioco in cui la protagonista, armata fino ai denti, si aggira per le strade di un sobborgo e trucida coloro che le si rivolgono per infastidirla o molestarla. Si chiama Hey Baby e nacque a seguito di un sentimento di impotenza da parte della sua ideatrice che all’ennesima frase oscena che si era sentita mormorare, mentre passeggiava da sola, impaurita e impotente è tornata a casa e ha pensato bene di creare un luogo, certo virtuale, in cui fosse possibile vendicarsi, fare giustizia. 

Una volta in rete piovvero reazioni molto diverse: da chi sosteneva che si trattasse di un modo per vedere i molestatori finalmente puniti a chi argomentava che la violenza non è la soluzione, insistendo sulla disparità tra un insulto detto in strada e la vendetta di essere ammazzati con un lanciafiamme. Di certo Suyin Looui era piuttosto stanca di sentirsi vittima solo perché si muoveva nel mondo da sola, così ha deciso di creare un avatar che potesse diventare carnefice. Troppo spietato? O forse non a sufficienza, se si pensa che in quel personaggio armato c’erano la rabbia e la frustrazione di milioni di donne che avevano dovuto, come lei, stare zitte e correre via, almeno provare a farlo.

Già, perché la gravità e la trasversalità del fenomeno delle molestie sessuali contro le donne è sconfinata. Basta sfogliare la raccolta di #quellavoltache, pubblicata per Manifesto Libri, risultato della campagna web lanciata da Giulia Blasi, che invitava tutte le donne a raccontare le esperienze di molestie subite. Nella postfazione le curatrici spiegano perché hanno scelto di non intervallare le testimonianze con cuciture di nessun tipo, solo: «calci nello stomaco in sequenza rapidissima». L’effetto è infatti esattamente questo: far risaltare la gravità di quello che sta accadendo nel mondo occidentale, a partire dalle denunce di Asia Argento contro Harvey Weinstein. In Italia 124 fra attrici e lavoratrici dello spettacolo sono firmatarie di una lettera che denuncia un sistema improntato al ricatto sessuale: Dissenso Comune, questo il nome del manifesto, è stato al centro della premiazione dei David di Donatello 2018.

Non si tratta, però, solo della eco della lotta di donne dello spettacolo, è un sopruso, una sorta di condanna a cui le femmine, dalle bambine alle donne, possono essere sottoposte, che lavorino in un negozio o su un set cinematografico, che si trovino su un bus prede di un perfetto maniaco sconosciuto o a casa, alla mercé di un parente più o meno prossimo. Si tratta della realtà.

Per questo gli attacchi di femministe e non, che si sono schierate contro #metoo e si sono dette indignate che la battaglia delle donne si arretrasse su quello che è stato definito un posizionamento vittimistico, negano banalmente l’evidenza: le donne non si stanno ponendo sulla scena pubblica come vittime, le donne sono vittime di molestie.

Anna Bravo ha rilasciato un’intervista in cui ricorda che «avere un potere piccolo non significa averne alcuno». Però significa non averne abbastanza per impedire che la propria carriera possa dipendere dal sottostare a ricatti sessuali, di non averne neanche a sufficienza per tornare a casa in autobus da sola, o da scuola. Poi, ha dichiarato anche che uno dei suoi sogni è vedere una ragazza che insidiata minaccia il suo molestatore dicendo «ti do un pugno se non la smetti». Sa molto più questo di realtà virtuale che il videogioco di Suyin Looui. Non ci si chiede, infatti, che cosa potrebbe accadere quando si reagisce, che cosa è accaduto le centinaia di milioni di volte in cui le donne molestate o violentate hanno reagito? Davvero può essere questo il punto: dimostrare di essere forti? Ancora?

Sarah Solemani su «The Guardian» ha ben altri sogni: andare in un nightclub da sola per ascoltare la musica, prendere un autobus la sera senza doversi preoccupare di essere l’unica donna, potersi distrarre a guardare fuori dal finestrino. L’attrice attivista e scrittrice inglese conclude con il desiderio che per le donne i tipi a posto siano la norma invece che l’eccezione e che lo stesso accada per un buon orgasmo. Altro che il diritto di essere importunate!

Del movimento #metoo si è anche scritto che è una nuova ondata del femminismo, a partire dal dato che rimette al centro del dibattito pubblico la questione della sessualità femminile, che è lungi dall’essere stata risolta quarant’anni fa perché il genio di Carla Lonzi ha scritto cose mai superate. A quanto pare la pratica eterosessuale è rimasta piuttosto invariata, con l’aggravante che molti uomini hanno creduto che la liberazione sessuale delle donne le rendesse solo più disponibili a sottomettersi al loro desiderio.

Sicuramente è bene sottolineare che il movimento si posiziona all’interno della lotta che molte donne di tutte le generazioni continuano a combattere contro la violenza, contro una divisione iniqua e criminale del potere. Si inscrive nella pratica politica dei centri antiviolenza femministi che lottano sul territorio, grazie al lavoro spesso volontario di molte donne di tutte le generazioni che resistono alle regolari minacce di chiusura. Sono uno dei tanti e fondamentali frutti del femminismo degli anni 70: sono le donne che offrono ascolto e casa alle vittime di violenza, che danno una soluzione.

E coloro che hanno deciso di testimoniare per la campagna #quellavoltache, anche se a qualcuna può non piacere il gusto retrò della parola, hanno fatto un atto di autocoscienza, perché hanno sentito e capito che altre donne erano lì per ascoltarle e che non si sarebbe trattato solo di uno sfogo che magari comporta più danni che altro, ma di un passo verso una rivoluzione.