Riferimenti

Gli «Archivi riuniti delle donne Ticino» a Massagno contengono 47 incarti relativi a «giornaliste» e schede biografiche di Pia Pedrazzini, Iva Cantoreggi, Rezia Tencalla Bonalini, Corinna Carloni, Elsa Franconi Poretti , Teresa Bontempi e Lauretta Rossi-Perucchi.


La lenta ascesa femminile

Giornalismo - Un mondo a lungo ad esclusivo appannaggio degli uomini
/ 14.08.2023
di Enrico Morresi

Sono sempre stato sbadato. A cominciare da quando, con l’incarico di portare le bozze da correggere «alla signora Tencalla», me le tenevo in tasca per due o tre giorni. Ma avevo quindici anni e sapevo appena che cosa fossero le bozze. Rezia Tencalla Bonalini (1906-1986), grigionitaliana trapiantata a Lugano, dirigeva La pagina della donna del «Corriere del Ticino». Dei temi trattati in quella pagina tutto doveva essermi estraneo: temi «donneschi», una categoria che allora, come a tutti i miei coetanei maschi, pareva evidente e separata dai nostri interessi. La Pagina della donna del «Corriere», peraltro, non conteneva solo ricette di cucina e disegni sulle ultime della moda, anche se la politica, quella no: le donne non votavano ancora, e nel 1965 il Ticino avrebbe ancora negato quel diritto.

Al «Giornale del Popolo», quotidiano cattolico, la rubrica femminile era tenuta da Cora Carloni (1901-1978), una donna alta e di corporatura robusta, che dagli anni Venti dirigeva la Casa di Sorengo per quelli che chiamavamo «bambini gracili». La pagina inserita nel giornale della Curia aveva un accento più spiccatamente cattolico, un tantino di quella pietas devotionalis che allora pareva conveniente al devoto sesso femminile.

Rispetto a questi due modelli, Iva Cantoreggi (1913-2005) rappresentava un’eccezione. Il suo ruolo era prevalentemente di segretariato: alla scrivania di un modesto ufficio ubicato al piano superiore del «palazzo Alhambra», in Corso Pestalozzi a Lugano, stenografava i «dispacci» che riceveva per telefono dall’Agenzia telegrafica svizzera a Berna, poi li ricopiava a macchina su fogli di «carta velina» che i fattorini dei giornali passavano a ritirare due o tre volte al giorno. Quello era il suo lavoro: ma era anche animatrice dell’Ora della donna alla Radio e si sarebbe da ultimo affermata nella società civile, come direttrice della Federazione ticinese delle società femminili.

Donne sui giornali a un livello più alto, letterario o politico, ce n’erano state anche in Ticino: come Teresa Bontempi (1883-1968), redattrice del settimanale «L’Adula», soppresso nel 1935 dalla polizia federale per il suo acceso filofascismo, oppure Lauretta Rensi-Perucchi (1873-1966), nativa di Ascona, vicina agli ambienti radicali, collaboratrice di varie testate: dal «Dovere» a «Gazzetta Ticinese», a «L’Adula»… Ma le redazioni dei giornali erano tutte esclusivamente maschili.

Molte scrivevano da fuori. Elsa Franconi Poretti (1895-1995) firmava Claude Paris sul «Corriere del Ticino» e riferiva di De Gaulle e di Pompidou, di letteratura e di moda… Riconosciuto alle donne il diritto di voto, nel 1971 il Ticino politico l’avrebbe onorata con l’elezione a presidente della seduta inaugurale del Gran Consiglio.

Singolare, ma per molti aspetti essenziale, fu il ruolo professionale di donne da cui un giornale dipendeva, più che dal direttore. Luciana Caglio (1929), luganese, figlia d’arte (suo padre, Luigi, dal 1940 al 1969 redattore del «Corriere del Ticino»), resse il settimanale «Azione»: prima come braccio destro di Vinicio Salati (1908-1994), poi come direttrice dal 1975 al 1988. Della stessa pasta, Francesca Snozzi, segretaria esecutiva (ma molto di più) nella redazione basilese di «Cooperazione» durante la direzione di Ugo Frey, dal 1955 al 1980.

Alla radio si deve l’apertura di nuovi obiettivi professionali alle donne. Pia Pedrazzini (1927-2003), locarnese, iniziò a collaborare alla RSI, nel 1945, come autrice dei primi reportage sonori per la rubrica La RSI in viaggio. Tiziana Mona (1944-2022) fu la prima in Europa  a presentare un Telegiornale, che allora aveva la redazione a Zurigo. La prima a occupare la sedia del direttore (se si esclude la brevissima parentesi di Mariangela Galli-Bonini a «Gazzetta Ticinese» nel 1974) fu Monica Piffaretti, dal 1987 corrispondente parlamentare da Berna per il «Corriere del Ticino», dal 1992 al 1999 direttrice del nuovo quotidiano: «laRegione». Da ultimo, e con un velo di tristezza perché la sua uscita di scena corrispose con la fine del quotidiano, Aleassandra Zumthor al «Giornale del Popolo». È un fatto, comunque sia, che alla fine del mio Giornalismo nella Svizzera italiana 1950-2000 (2 voll. Dadò editore) le biografie maschili sono 144, quelle femminili 7.

Ticino maschilista. Ma il modello doveva essere universale. Gli indici in coda ai quattro volumi di Giornalismo italiano (Mondadori) – di cui mi limito a citare gli ultimi due: 1939-1968 e 1968-2001 – confermano l’invincibile pregiudizio. Per il primo di questi due periodi, le biografie femminili sono 7 su 174, per il secondo 15 su 197. Le autrici citate con più di un articolo sono soltanto Oriana Fallaci (9 citazioni), Camilla Cederna (6), Natalia Aspesi (5) Lietta Tornabuoni (4), Barbara Spinelli (3), Dacia Maraini (2), Miriam Mafai (2) e Conchita de Gregorio (2). È vero che dal terzo al quarto volume – cioè dal secondo dopoguerra al post-Sessantotto – si nota un incremento nel numero delle giornaliste citate: ma la rivincita delle donne dovrà aspettare il nuovo secolo.