Mattia Bertoldi, Il coraggio di Lilly, Milano, tre60, 2022


La grande famiglia di Lilly

La figura e l’operato della protagonista dell’ultimo romanzo di Mattia Bertoldi raccontata dalla nipote Evelina Camponovo, presente ad Ascona negli anni in cui la zia accolse numerosi bambini in fuga dalla guerra
/ 08.08.2022
di Stefania Hubmann

Lilly Volkart. Un nome e una figura fino a pochi mesi fa sconosciuti ai più, divenuti familiari grazie all’ultimo libro di Mattia Bertoldi. Nel suo primo romanzo storico lo scrittore ticinese offre ai lettori il ritratto di questa donna valorosa, nata e cresciuta a Zurigo, ma vissuta poi ad Ascona dove durante il secondo conflitto mondiale ha accolto nel suo Kinderheim migliaia di bambini in fuga dalla guerra.

Il volume ne traccia la storia, romanzata soprattutto nelle parti dedicate alla sua gioventù, evidenziando anche il difficile contesto nel quale ha operato. Ascona, vicina al confine con l’Italia, si è ritrovata in una posizione delicata, in bilico tra paura e accoglienza. Ascona era pure sinonimo di una cospicua presenza di intellettuali e artisti che nella realtà come nel romanzo hanno aiutato Lilly Volkart nella sua «missione». Il coraggio di Lilly (Edizioni Tre60), scritto partendo da un numero ridotto di fonti – una ricerca pubblicata in tedesco e alcune testimonianze dirette – ha risvegliato altre memorie, raccolte dall’autore. Con lui e una nipote di Lilly Volkart, Evelina Camponovo Spertini di Lugano, siamo andati alla scoperta di quanto emerso dopo la pubblicazione del libro.

Per Mattia Bertoldi le esplorazioni nelle terre locarnesi non si sono esaurite con la raccolta di informazioni precedente la stesura del romanzo. Racconta lo scrittore: «Sono stato di recente ad Ascona e mi sono imbattuto in Christine Knaak, vedova di quel Lothar Knaak che per decenni ha lavorato con Lilly Volkart. La signora Knaak mi ha consegnato un CD con la versione in italiano del documentario Lillys Kinder realizzato da SRF, versione di cui finora non c’era traccia. Il filmato I bambini di Lilly, come tutto il materiale che raccolgo su Lilly Volkart, è a disposizione sulla piattaforma «lanostrastoria.ch». In questo modo il pubblico ha accesso a più ampie informazioni sulla vita e l’operato di questa rilevante figura legata alla storia del Ticino». Ulteriori contatti sono stati stabiliti con Stefano Camponovo, pronipote di Lilly; Michel Stopnicer, uno dei bambini giunti ad Ascona negli anni della guerra e ospite del Kinderheim assieme alla sorella; o ancora il figlio di Hedwig Rümeli, detta Hedi, giovane ragazza giunta da oltre Gottardo per aiutare Lilly e presente anche nel romanzo.

L’impegno di Lilly Volkart con i bambini, iniziato nel 1924 come colonia estiva per figli di famiglie agiate e trasformatosi nell’accoglienza di piccole vittime della guerra (in particolare delle persecuzioni naziste contro gli ebrei), si intreccia con le vicende della sua famiglia di origine. La sorella minore Elsbeth si era infatti pure trasferita ad Ascona, ospitando nella sua nuova famiglia Spertini la madre Anna rimasta vedova precocemente. Ricordi e aneddoti di quel periodo e degli anni successivi, durante i quali Lilly continuò ad accogliere giovani in difficoltà costruendo per loro un percorso educativo, rivivono nel racconto di Evelina Camponovo, figlia di Elsbeth. Nella sua casa di Lugano ci sono fotografie, ritagli di giornali, il libro Ein Zuhause für jüdische Flüchtlingskinder del 1998, frutto della ricerca di Eveline Zeder alla quale ha fornito le fotografie per la pubblicazione. Fino a poco tempo fa c’era pure un battello giocattolo risalente ai tempi del Kinderheim di Ascona. È stato il giocattolo preferito dell’abiatico Aldo, nato nel 2000, che ora lo custodisce.

Nata nel 1934, Evelina Camponovo conserva da parte sua diversi ricordi dell’infanzia trascorsa ad Ascona dove ha frequentato le scuole elementari, così come la sorella Veronica nata sei anni più tardi. Anni durante i quali ha avuto occasione di andare da zia Lilly in via Collinetta (zona del Monte Verità) a giocare con i bambini del Kinderheim. L’attività di Lilly Volkart si sviluppò a tal punto da arrivare a occupare tre edifici: Casa Cedro (abitazione messa a disposizione da Mia Hesse-Bernoulli, prima moglie dello scrittore Hermann Hesse), Casa Quercia e Casa Bianca. Da poche decine, i bambini passarono durante la guerra a oltre 120 e si calcola che sull’intero arco della sua apertura, durata oltre sei decenni, il Kinderheim ne abbia ospitati quasi quattromila.

L’ambiente di vita descritto nel romanzo di Mattia Bertoldi corrisponde a quanto ricorda la nipote Evelina che così rievoca la figura della zia materna: «Lilly, come mia madre, emanava una forza tranquilla. Non ho mai assistito a scene di panico o collera. Sapeva come comprendere la delicata situazione di ogni bambino, facendogli comunque capire quando sbagliava. Seguiti da maestri, i piccoli ricevevano un’educazione scolastica che si affiancava agli insegnamenti di Lilly. Venivano trasmessi sani valori – rispetto, precisione, pulizia, puntualità – in un ambiente allegro e colto ma non lussuoso. Si parlava schwyzerdütsch, italiano e anche francese. Ognuno doveva svolgere piccoli compiti legati alla vita quotidiana».

Evelina Camponovo sottolinea la solidarietà dimostrata nei confronti dell’iniziativa di sua zia. «C’erano persone che le passavano i bollini per la spesa alimentare, la mia famiglia le portava frutta e verdura del giardino (in parte trasformato in campo di patate e mais), il poliziotto locale incaricato di andare a contare i bambini arrivava apposta quando questi giocavano in giardino, così da non vederli tutti insieme e poter riferire che era tutto a posto. In realtà il loro numero elevato destava qualche sospetto e non sono mancate neppure le minacce».

La famiglia Volkart, come si legge anche nelle pagine de Il coraggio di Lilly, intratteneva stretti legami con artisti, scrittori e altri esponenti del mondo culturale nazionale e internazionale che soggiornavano ad Ascona. Lilly ricevette da loro sostegno morale e finanziario, così come dai fratelli maggiori Gustav, dottore in fisica e matematica rimasto a Zurigo, e Max, trasferitosi in Cina e attivo nel commercio. «Tutta la famiglia la aiutava con discrezione», precisa la nostra interlocutrice. «Con Lilly abbiamo sempre mantenuto il contatto anche negli anni dopo la guerra, festeggiando ad Ascona diverse ricorrenze familiari. Per i suoi 90 anni sono giunti auguri anche da parte di ex ospiti del Kinderheim».

Insegnamenti e curiosità contribuiscono ad arricchire la visione di questa donna generosa e all’avanguardia. Il suo spirito emerge a tutto tondo dalle pagine del romanzo di Mattia Bertoldi, così come quello di alcuni piccoli e grandi coprotagonisti. I primi li ha protetti creando una sorta di bolla, ma anche di grande famiglia, nella quale essere al sicuro e crescere in attesa di ritrovare i genitori. L’autore le fa però ammettere con i suoi piccoli ospiti che «succedono cose terribili», ma nel contempo tante persone buone li hanno aiutati portandoli fino a lei. Nel romanzo Lilly Volkart esprime al riguardo le seguenti considerazioni: «Ha sempre pensato che i più piccoli non siano in grado di gestire quelle informazioni; soltanto ora si rende conto della loro forza. Della loro capacità di resistere e di adattarsi».

La significativa azione svolta da Lilly Volkart ad Ascona, dove era giunta al seguito di una famiglia zurighese con due figli gracili, va infine inserita nel contesto di un’iniziativa più ampia alla quale lei stessa contribuì personalmente. Fu infatti una delle venti donne che fondarono lo Schweizer Hilfswerk für Emigrantenkinder (Aiuto svizzero per bambini emigranti), istituzione che dal 1933 al 1947 permise a oltre diecimila bambini in pericolo di trovare rifugio in Svizzera. Molti di loro nel Kinderheim di Lilly.