Non tutti gli animali marini sono uguali; è un dato di fatto, palese. Tutti però subiscono le pressioni di una pesca commerciale che, soprattutto negli ultimi decenni, è diventata insostenibile anche a medio e lungo termine, nonostante i tentativi di regolare le quote di pescato autorizzate a livello mondiale dalle nazioni più influenti. Gli stock ittici mondiali sono minacciati da intense attività di pesca legale e controllata, e sono anche a rischio di pesca illegale, non dichiarata, non regolamentata, di cui ben poco è noto, e pertanto non è valutata nella determinazione delle quote pescabili.
La ricerca scientifica e la tecnologia applicata stanno venendo in aiuto dell’industria ittica e della pianificazione, la prima individuando nelle specie animali quelle caratteristiche che permettono di essere selettivi, la seconda sviluppando sistemi innovativi per evitare le catture non desiderate.
Esistono centinaia di specie ittiche diverse. Alcune hanno uno sviluppo riproduttivo precoce, altre ritardato; alcune sono longeve e scarse, altre invece vivono brevemente e in gruppi numerosi. Queste diversità hanno effetti profondi sulle dinamiche delle diverse popolazioni e pertanto sulla gestione degli stock ittici. A queste variabili si aggiungono i danni derivanti dalla pesca illegale, svolta in totale spregio della sostenibilità ambientale.
Gli elasmobranchi (squali e razze), ad esempio, rilevano deboli campi elettrici, tramite organi – le ampolle di Lorenzini – situati sulle loro teste. Percepiscono le frequenze elettriche emesse dai pesci ancora vivi e in frenesia perché catturati dalle lenze. I pesci allarmati sono prede facilmente cacciabili su cui i predatori si avventano, ignari delle trappole mortali (gli ami) che si celano nei loro corpi. Squali e razze vengono catturati non intenzionalmente (il cosiddetto bycatch) nell’ambito di una attività di pesca legale. Animali predatori diventano materiale di scarto e, come tali, sono rigettati in mare, come rifiuti di un sistema di pesca di specie target, che conserva solamente quelle maggiormente richieste dal mercato, dalle quali ricava profitti.
I ricercatori hanno sviluppato un dispositivo cilindrico, lo SharkGuard, che emette un campo elettrico a corto raggio, da attaccare ai palamiti o palangari, le lenze chilometriche alle quali sono attaccate altre lenze più corte, ognuna armata con ami ed esche, utilizzate sin dall’antichità per la pesca del pesce più pregiato. Lo SharkGuard sovra-stimola le Ampolle di Lorenzini degli elasmobranchi e ne riduce la frequenza di interazione con gli ami; non influisce in alcun modo con le specie target, come tonni e pesci spada, le quali sono prive dei recettori dello stimolo.
L’impiego su larga scala di un dispositivo come SharkGuard potrebbe ridurre significativamente il numero di squali catturati nella pesca con palangari, ma attualmente presenta alcune limitazioni, fra cui la frequenza di sostituzione delle batterie (ogni 65 ore). Altre ricerche sono in corso per trovare soluzioni di ricarica in mare (i dispositivi di ricarica a induzione) e sono essenziali per superare i problemi e per favorire l’accettazione e l’utilizzo dei dispositivi da parte dei pescatori professionisti. Il problema del bycatch deve essere affrontato con soluzioni differenti, che agiscano in sinergia fra loro, per le diverse specie di animali marini, come sostiene la maggior parte dei biologi marini fra cui David Shiffman, ricercatore associato all’Università dell’Arizona. Solo alcuni animali marini (gli elasmobranchi) riescono a rilevare i deboli campi elettrici; per tutti gli altri sono necessari rimedi alternativi.
Una ricerca guidata dal professor Read, della Society for Conservation Biology, stima che non meno di 600mila mammiferi marini vengano catturati accidentalmente ogni anno, di cui il 98 per cento dalle reti da pesca. Esistono deterrenti acustici detti ADD (Acoustic Deterrent Device) o «pinger» che sono moderatamente economici e di comprovata utilità per mitigare le catture accessorie nella pesca commerciale con reti da traino, da circuizione, dai palangari, dalle reti da imbrocco, dalle nasse e nelle tonnare (Hamilton & Baker, Università della Tasmania). Tuttavia essi non agiscono per alcune specie, in particolare i pinnipedi e i piccoli cetacei, che rimangono impigliati nelle reti da imbrocco statiche. I piccoli cetacei devono risalire frequentemente in superficie per respirare e pertanto riescono talvolta (quando non sono totalmente avviluppati) a evadere da reti da pesca che consentono vie di fuga in superficie, come lembi di rete tenuti sollevati da boe e da aquiloni. Al contrario, le aperture poste sul fondo delle reti non sono efficaci.
Le catture accidentali di megafauna marina longeva hanno effetti ecologici diretti e indiretti molto rilevanti: direttamente perché ne riducono la popolazione (per alcune specie già molto scarsa e a rischio di estinzione), indirettamente perché mutano le dinamiche trofiche (delle risorse energetiche) dei sistemi oceanici. Per le specie già gravemente minacciate, come la vaquita (Phocoena sinus), gli albatros di Amsterdam (Diomedea amsterdamensis Roux), la tartaruga liuto (Dermochelys coriacea Vandelli) e i dugonghi (Dugong), il bycatch rappresenta il maggiore contributo al rischio della loro estinzione (rif. Prof. Read e altri).
L’utilizzo di ami circolari ed esche alternate nella pesca con palangari si è dimostrato utile a ridurre le catture accidentali di tartarughe marine, squali e altre specie non target e per incrementarne la sopravvivenza post-rilascio. Le grandi balene e le tartarughe marine sono spesso vittime di aggrovigliamenti nelle cime delle boe galleggianti, per i quali non si è trovato un valido deterrente.
Sono allo studio sistemi di boe senza cima di ancoraggio che promettono una mitigazione del problema; così come cime che potrebbero sganciarsi in determinate condizioni di contatto con i grandi mammiferi. Le cime con ridotta resistenza alla rottura potrebbero ridurre notevolmente la mortalità delle balene e incrementarne la sopravvivenza post-rilascio, ma sono fragili, meno durature, più costose e pertanto meno utili all’industria ittica.
La consapevolezza che sono necessari approcci transdisciplinari è di grande aiuto per affrontare i problemi in modo sinergico, tuttavia per contrastare la pesca illegale e i danni irreparabili derivanti dalle attività fraudolente, la ricerca è di diversa natura.
È difficile stimare con precisione la cattura totale dalla pesca pirata. Per molti anni le quantità di pescato illegale non sono state considerate nelle stime degli stock ittici. Di conseguenza, i contingenti di cattura legali per una determinata regione marittima non sono stati determinati correttamente.
Partendo dal presupposto che si catturi meno pesce di quanto si faccia, gli esperti sopravvalutano le dimensioni degli stock e fissano quote di cattura troppo elevate per l’anno successivo, potenzialmente rafforzando e accelerando il sovrasfruttamento.
La pesca illegale esercita pertanto una pressione supplementare su una situazione già grave, condizionata dal riscaldamento globale, dall’inquinamento, dalle attività antropiche sulle coste, dalle attività turistiche e ricreative, dalla limitata capacità di adattamento a variabili ambientali che accadono troppo repentinamente.