Tradotto dallo spagnolo, El Niño significa «il bambino»: è uno dei fenomeni più influenti nel cambiamento climatico a livello globale. Il nome gli è stato dato a inizio Novecento dai pescatori peruviani in riferimento al Bambino Gesù, perché durante il periodo natalizio il mare diventava meno pescoso a causa di un innalzamento della temperatura dell’Oceano Pacifico (le acque calde fanno diminuire gli elementi nutritivi per i pesci). E se all’inizio il riscaldamento rientrava nei parametri di circa più 0,5 gradi sopra la media nell’arco di cinque mesi (ogni 5-8 anni), negli ultimi decenni si sono verificati i fenomeni peggiori, registrando addirittura nel 2015 un più due gradi in soli tre mesi.
Già alla fine del secolo scorso, nelle regioni del Centro e Sud America, tali innalzamenti anomali di temperatura del Pacifico hanno prodotto conseguenze ripetute e violente, con alluvioni e inondazioni. La sua interferenza ha modellato di anno in anno il clima, sino a creare un effetto domino, che ha portato el Niño a far sentire la sua presenza anche in Asia, in Australia, e in Africa Meridionale, mostrando l’altra faccia della medaglia: la siccità.
Ogni volta che el Niño si abbatte con le alluvioni sul continente sudamericano spazzando via vite umane e provocando danni a strutture, case e coltivazioni, nei paesi in via di sviluppo, come ad esempio nel Corno d’Africa o intorno al lago Ciad, le conseguenze della siccità sono disastrose per le popolazioni che vivono principalmente di agricoltura e pesca.
Spaventa a tal proposito uno studio di Nature Climate Change che sottolinea come le apparizioni del Niño saranno sempre più frequenti già nei prossimi vent’anni.
Certamente el Niño è una delle più importanti fluttuazioni climatiche del nostro pianeta e, di fatto, il riscaldamento dell’Oceano Pacifico orientale provoca ripercussioni sulle correnti atmosferiche che sul Pacifico occidentale formano un’alta pressione, la quale a sua volta causa la siccità da una parte, e violenti piogge e alluvioni dall’altra.
In Africa orientale e meridionale si calcola che più di sessanta milioni di persone stanno soffrendo gli effetti del Niño lamentando problemi di rifornimento di cibo e acqua. Inoltre, la mancanza di pioggia diminuisce in modo consistente i pascoli provocando la morte di molti animali; un danno importantissimo: le popolazioni di pastori nomadi sono costrette a causa della morte dei loro animali a diventare stanziali, mentre la distruzione di raccolti provoca la fame e i conseguenti spostamenti interni di migliaia di uomini donne e bambini che diventano rifugiati climatici, sfollati costretti a vivere di aiuti umanitari all’interno di campi profughi in condizioni di vita estreme.
«Questo è uno dei momenti peggiori della nostra vita» mi dice Hassan, un pastore dall’età indefinita, avvolto in un vecchio pastrano blu, con ai piedi un paio di vecchie ciabatte, la testa calva e lo sguardo fisso in terra. Ogni tanto butta un occhio ai pochi cammelli che gli sono rimasti. Poi mi parla della moglie e dei figli, costretti a vivere in una capanna costruita con rami e teli nel campo profughi a due giorni di cammino. «Prima di questa siccità avevo più di cento cammelli, potevo offrire una vita dignitosa ai miei figli. Guarda adesso: sono solamente una ventina, gli altri tutti morti. I pascoli e i pozzi d’acqua sono sempre di meno».
Somaliland, che è uno Stato indipendente dal 1991 ma non riconosciuto a livello internazionale, si trova nel nord della Somalia ed è affacciato sul Golfo di Aden. Qui la siccità ha ucciso più del 60 per cento del bestiame e per un paese dove circa il 70 per cento dell’economia è basata sulla pastorizia la disgrazia portata dal Niño ha inferto un colpo violento. Una situazione drammatica che si incontra in tutto il Corno d’Africa.
Sebbene sia un fenomeno naturale, uno studio del 2014 della rivista «Nature» evidenziava come la frequenza e l’intensità del Niño crescono con l’aumento della temperatura globale provocata dai gas serra. Per altri scienziati, invece, non esisterebbe nessuna correlazione tra aumento delle temperature e presenza e violenza del Niño. Un dibattito al quale sicuramente il pastore Hassan non ha mai partecipato, sebbene abbia sempre vissuto con il cambio delle stagioni e abbia sempre saputo quando arrivavano le piogge e quando invece ci sarebbe stato il periodo arido.
Ad Hassan viene da ricordare il passato, quando da ragazzo faceva il pastore insieme al padre: «Vedi quegli alberi di baobab laggiù in fondo? Ecco, quando ero giovane e portavamo qui la nostra mandria di cammelli c’era molta più erba per gli animali». Le condizioni climatiche estreme privano sia animali sia uomini dei mezzi di sostentamento, e soprattutto i bambini iniziano a soffrire di malnutrizione, che li rende deboli e più esposti alle malattie. È sufficiente visitare il reparto malnutriti dell’ospedale di Hergeisa, la capitale del Somaliland. Un reparto spoglio, letti accostati ai muri, troppo grandi per i bambini che ci sono sdraiati sopra. In uno di questi è sdraiato Ibrahim, un fagotto di due anni tutto pelle e ossa. Accanto la madre Amina con lo sguardo fisso sul figlio come a volergli dare quelle forze che gli mancano. «È qui da pochi giorni; vengono da un campo profughi del nord – mi dice il giovane dottore Asad. La siccità ha distrutto quasi tutto da quelle parti. Vivono grazie agli aiuti umanitari, ma molte volte non bastano».
In una recente dichiarazione, Guleid Artan, direttore del centro regionale di riferimento per l’Africa orientale della WMO (Organizzazione Meteorologica Mondiale), ha detto che «i nostri modelli mostrano che stiamo entrando nel quinto anno consecutivo di mancanza di pioggia nel Corno D’Africa». E non devono trarre in inganno i cicloni che periodicamente si abbattono sulle coste del Corno d’Africa. Anche questi causati dal Niño, provocano molti danni e vittime, ma non portano certo nessun sollievo nelle zone dell’interno, aride e con pochi fili d’erba.
Certo è che el Niño è un fenomeno che dura da millenni e che solo negli ultimi 70-80 anni è stato studiato. Sicuramente influenza il clima a livello mondiale, cambiando le condizioni climatiche di vaste aree del mondo, con gravi conseguenze per la popolazione.