È successo in Val Chiavenna l’anno scorso: un incendio ha distrutto un bosco e meno di tre mesi dopo, durante le piogge primaverili, una frana ha devastato la montagna creando una valle che prima non c’era. I boschi sono importanti, e costituiscono il primo riparo valangario, quello più antico ma sempre attuale, soprattutto in queste settimane di forti nevicate. Ecco perché alcuni boschi sono sacri. Lo sanno tutte le regioni alpine, da sempre. Si liberano le aree destinate al pascolo e poi si lascia il bosco, cercando di conciliare le sue molteplici funzioni.
In epoca pagana c’era un vero e proprio culto degli alberi, con zone boschive in cui non si poteva nemmeno raccogliere un rametto e, racconta l’antropologo James G. Frazer nel Ramo d’oro, in alcune parti del mondo c’erano boschi trattati come se fossero donne incinte. Come spesso accade, queste pratiche dall’apparenza «magica» avevano un fondamento ben radicato nella realtà: i boschi sopra i villaggi andavano custoditi con cura se si voleva sopravvivere. Il bosco protegge dalle frane, dalle valanghe, e se è ben conservato può servire in caso di catastrofe, perché costituisce una riserva di legname, mangime per gli animali e cibo per gli uomini; nel bosco possono anche esserci fiumi e sorgenti da preservare; ci sono i funghi, il fieno selvatico e l’erba; le conifere protette spesso fanno anche da barriera per salvare altri alberi utili come il castagno.
Le prime testimonianze scritte di boschi protetti nel Cantone Ticino risalgono al tredicesimo secolo, negli statuti di Brissago con il termine di fabula iurata e negli stessi anni iniziano i decreti anche in tutti gli altri cantoni alpini della Svizzera.
In Ticino si sono dati vari nomi, soprattutto dopo che le regolamentazioni sono diventate scritte e precise. faura è il nome più bello: viene da fabula, che in latino significa parola, e per estensione patto, norma, divieto. Uno dei decreti ufficiali più severi e articolati che ci sono stati tramandati è quello della faura sopra Airolo, risalente al Settecento. Visto che il bosco era ciò che di più prezioso le popolazioni dei villaggi avevano in quei tempi, la legge per antonomasia era quella che regolava il rapporto tra uomo e bosco.
Ci sono altri nomi, per esempio faula in Valle Maggia, fabra in Valle di Blenio, mentre nel Sottoceneri si trovano maggiormente i termini gaggio o tensa. «Bosco sacro» è invece una definizione che spunta nei documenti comunali ottocenteschi, quando il bosco protetto diventa, con un cambio di prospettiva, il bosco che protegge; in quegli anni se ne parlò moltissimo a causa di un eccessivo disboscamento che si andava verificando nelle valli. «Anche ai nostri giorni diamo lo stesso valore al bosco sacro, come un tempo», assicura Roland David, capo della Sezione Forestale del Canton Ticino. «Si considera che l’80% delle nostre foreste abbia una funzione di protezione e il 40-45% in modo diretto, perché si trova proprio sopra ai villaggi. Di diverso rispetto al passato c’è però che le regolamentazioni non sono più a livello comunitario bensì cantonale e federale».
C’è un’altra parola bellissima legata al bosco: la manna. La manna, sostanza piena di proprietà curative e nutritive, si estrae in Sicilia dal frassino; da noi, dentro ai boschi sacri si prendeva invece la resina dai larici, dagli abeti rossi e da quelli bianchi e poi la si trasformava in trementina e pece. Il lavoro iniziava nei mesi primaverili al momento della ripresa del ciclo vegetativo: con un’accetta si intagliava il tronco e la linfa colava per mesi in recipienti di corteccia o di vimini legati all’albero. A contatto con l’aria la linfa si solidificava. Il rasatore (questo il nome del mestiere, in siciliano il mannaruolo) la faceva seccare ulteriormente nel bosco, facendola cuocere in recipienti d’argilla. Il prodotto veniva poi venduto a fabbricanti di sapone, osti, birrai, cordai, calzolai, carrettieri, droghieri, o nei cantieri navali per calafatare le navi.
Il bosco dà funghi, mirtilli, fieno selvatico, linfa, legna e protezione invernale: deve avere il suo equilibrio per crescere forte in certi punti e può servire d’inverno per far pascolare le capre. Ancora oggi si distingue tra bosco protettivo e altre aree boschive e una delle sfide più importanti delle politiche forestali è come conciliare tutte le funzioni del bosco; figuriamoci quando le sue risorse erano essenziali per la vita quotidiana.
Di libri sui boschi nella Svizzera italiana ce ne sono alcuni molto belli, come quello di Giorgio Tognola Rossa, Augio e Santa Domenica, il saggio di Mark Bertogliati Dai boschi protetti alle foreste di protezione e quello di Ivo Ceschi: Il bosco del Cantone Ticino.
E poi c’è Alina Borioli, poetessa di Ambrì, che ha intitolato Vos det la Faura una raccolta di sue poesie in dialetto; riguardo a questo termine scrive che in Leventina c’era un detto: Ves sü par la faura, per indicare una donna incinta, come a dire che anche lei in quel momento costituiva un luogo protetto. Vanni Bianconi, poeta di Locarno ma anche lui leventinese di Ambrì per parte materna, ha scelto la foresta per parlare del suo percorso di scrittura, nella sua prima silloge di poesie: La Faura dei morti, luogo tra qui e là, confine misterioso dove non ci si addentra, pena la morte. Ma la morte del poeta, così come la morte dell’uomo pagano, è solo un viaggio, un cambio di pelle, un andare di là per sapere qualcosa in più.