«Bisogna dire la frase “Non ce la faccio più” senza vergogna e gli aiuti, anche se dopo un po’, arrivano. Non è facile ammettere di essere in difficoltà, anche perché ti metti in discussione, dubiti di te stesso, ti dici, sono io che faccio qualcosa di sbagliato e non sono capace di insegnare».
È una delle testimonianze contenute nella tesi di bachelor di Georgia Imperiali, che ha concluso la formazione di docente lo scorso anno, trattando il tema del burnout nei docenti di scuola elementare, mettendo in luce con trasparenza un tema che spesso è ancora considerato un tabù nel mondo della scuola.
Il burnout è un fenomeno relativamente nuovo, almeno con questa definizione, ed è diffuso fra i docenti di ogni grado di scuola. Fin dagli anni Trenta c’erano studi che mettevano in rilievo come il 17% degli insegnanti fosse abitualmente nervoso e l’11% avesse sofferto di esaurimento nervoso. Luciana Castelli, docente al DFA della Supsi, ha inquadrato il disagio lavorativo dei docenti, citando studi internazionali che rivelano che circa il 70% dei docenti mostra ripetutamente sintomi di stress, sia nei paesi occidentali sia in quelli orientali, e circa il 30% sintomi di burnout. Questo termine, letteralmente bruciato, è stato introdotto dagli anni settanta e l’Organizzazione Mondiale della Sanità (OMS) lo classifica come una malattia, una sindrome: «sensazione di esaurimento; estraneità o sentimenti cinici o negativi nei confronti del proprio lavoro; prestazioni professionali ridotte».
In Ticino il tema è stato affrontato nel 2012 nel rapporto «Sostegno ai/alle docenti in difficoltà», curato dal Dipartimento educazione, cultura e sport. La premessa è che il docente «si trova ad essere, a volte, l’anello debole di un sistema scolastico che riesce a evolvere solo con molta difficoltà e lentezza. Gli insegnanti in difficoltà si trovano, in maggior proporzione, agli estremi della vita professionale, ossia all’inizio e alla fine».
Si sa da decenni, ormai, che la figura del docente è cambiata profondamente con il mutamento della società. Una volta, soprattutto nei villaggi, il sciur maestru o la «signorina» erano punti di riferimento per tutta la comunità. Ora non più e questo è uno degli aspetti che ha stravolto l’identità professionale dei docenti. «Per gli insegnanti – sostiene Luciana Castelli – è possibile affermare che stress e burnout sono fenomeni generati nell’interazione tra individui e il loro ambiente di lavoro, intendendo per ambiente di lavoro non solo la classe o la scuola, ma anche le politiche educative e i fattori socio-culturali».
Secondo l’analisi del progetto «Sostegno ai/alle docenti in difficoltà» il disagio è determinato da tre fattori in particolare. La relazione con gli allievi e quindi la capacità di organizzare l’insegnamento. Il rapporto con i colleghi e con la direzione dell’istituto, che possono influire pesantemente sulla qualità del lavoro. Infine, la relazione con le famiglie. Molto spesso i genitori sono in difficoltà a gestire i figli e chiedono un sostegno alla scuola, che però non può sostituirsi al ruolo genitoriale. La famiglia ha sempre più aspettative nei confronti dei figli che si ripercuotono sulla scuola. Una docente elementare ci diceva, emblematicamente, che le mamme pretendono fin dai primi anni di scuola che il figlio vada al liceo.
La ricerca «Lavorare a scuola», curata da tre docenti Supsi nel 2017, ha fotografato lo stato di benessere, o malessere, di 2741 docenti di tutti gli ordini scolastici, che rappresentano circa la metà di tutti gli insegnanti attivi nelle scuole pubbliche del Cantone. Il risultato è piuttosto chiaro: la grande maggioranza degli intervistati, l’80%, non è da ritenere a rischio burnout. Il restante 20% è invece al di sopra della soglia di vigilanza, quindi a rischio, soprattutto, di subire un burnout lavorativo. Sono cifre che, più o meno, si ritrovano in analoghi studi realizzati in Svizzera.
Ciò che fa specie è che le condizioni del lavoro stanno peggiorando in generale, in tutti i settori e in tutto il Paese. La Segreteria di Stato dell’Economia (SECO), in due indagini sullo stress della popolazione attiva in Svizzera, rileva che la percentuale di chi soffre di stress cronico sul posto di lavoro è passata dal 26,6% nel 2000 al 34,4% nel 2010.
Le testimonianze raccolte da Georgia Imperiali sono molto interessanti, perché su questi temi non è facile che i docenti in difficoltà si esprimano.
Quali sono i fattori che portano al burnout? «Non è il lavoro in sé, ma il contesto. – racconta un docente di 62 anni che è andato in pensione a 60 – L’educazione, il rispetto delle regole e delle persone. Anche i nuovi piani di studio, il cambio è stato molto stressante. I colloqui con i genitori e il numero degli allievi per classe». «Innanzitutto, il cambiamento. – dice una sessantatreenne – Per una docente come me che ha insegnato per tanti anni con una metodologia e poi cambia il sistema, chiaramente è difficile. Oggigiorno ci sono sempre più bambini problematici, con varie situazioni. Situazioni famigliari complicate. E, naturalmente, i bambini difficili da gestire in classi numerose». Una giovane di 26 anni elenca motivi diversi: «Innanzitutto penso a una non buona situazione con i colleghi, quindi non avere un ambiente sano all’interno della scuola, con i propri colleghi. Poi penso alla direzione assente, che non ti possa aiutare. E poi alcuni casi particolari all’interno della classe. Anche i genitori degli allievi, spesso, possono provocare un certo stress». Per un maestro di 35 anni quali sono i fattori che mettono sotto pressione? «Le situazioni famigliari degli allievi, le loro casistiche e la difficoltà di ottenere degli aiuti in classe. Però durante gli anni precedenti d’insegnamento ho anche visto che sono molto stressanti le classi numerose e le pluriclassi. Anche l’ambiente tra colleghi è fondamentale. Ho sentito spesso storie anche di vero e proprio bullismo tra colleghi. Inaccettabile, se si pensa che stiamo parlando di adulti che stanno esercitando una professione come quella del docente, dove dobbiamo insegnare agli allievi a non fare cose di questo genere».
Di che cosa avrebbero bisogno, questi docenti, per far fronte al loro disagio? «Sostegno da parte della direzione e una figura di aiuto in classe, che ho poi ottenuto. Sapere che non ero sola e che non è facile come sembra all’esterno questo mestiere». E ancora: «Penso che la direzione del Dipartimento, e di riflesso le direzioni delle scuole, dovrebbero aiutare di più, essere più vicine ai docenti e non sempre schierarsi contro. Facilitare l’ottenimento di aiuti in classe, classi meno numerose. Poi per il resto, anche se è difficile, controllare e aiutare il corpo docenti a gestire un po’ le famiglie “difficili” e le dinamiche fra i colleghi».
I docenti anziani fanno fatica a stare al passo con i cambiamenti anche perché, va detto, negli ultimi anni la scuola dell’obbligo è stata investita da riforme, riuscite o meno: il progetto la scuola che verrà, il nuovo piano di studio che privilegia le competenze, i poli, il profilo del docente, ecc. Inoltre, ma non da ultimo, va considerata l’eccezionalità di quest’ultimo anno, con due mesi di scuola a distanza con l’uso degli strumenti informatici di comunicazione e la scuola in presenza con le misure anti covid-19. Tutti aspetti che hanno ulteriormente reso fragili chi già si trovava in difficoltà.
I più giovani chiedono maggior sostegno, che non sempre i colleghi e le direzioni sono in grado di offrire. «La formazione – precisa Georgia Imperiali – viene più volte definita come lacunosa sotto certi punti di vista. Mancherebbe quindi una formazione più pratica in relazione a quella che è la vita di tutti i giorni del docente che deve gestire casistiche particolari in classe».
Per soccorrere i docenti in difficoltà da qualche anno in Ticino è stato creato il progetto Linea, «uno spazio pensato per le insegnanti e gli insegnanti, per chi è attivo nel mondo scolastico e per tutte le persone interessate, dove trovare informazioni e sostegno in relazione a disagi e difficoltà nell’ambito della propria professione». Linea si muove in diverse direzioni, con attività di prevenzione, grazie agli spettacoli di teatro interattivo curati dalla compagnia UHT dei Giullari di Gulliver, che propongono giochi di ruolo dove il docente ha l’occasione di esprimere le sue eventuali difficoltà. Vi è inoltre un servizio di sostegno psicologico che opera in collaborazione con il Laboratorio di psicopatologia del lavoro dell’Organizzazione sociopsichiatrica cantonale. Viene offerto uno spazio di riflessione e sostegno, neutrale e confidenziale, ai docenti che stanno attraversando un momento difficile. In verità molti insegnanti non se la sentono di confidarsi con un ufficio che fa capo, di fatto, al datore di lavoro, temendo di evidenziare la propria inadeguatezza. Perciò chi si trova confrontato con un burnout lavorativo si rivolge più facilmente agli psicoterapeuti privati, che hanno un numero non indifferente di utenti che provengono dal mondo della scuola.
Il concetto cruciale della fatica dei docenti è la relazione: con gli allievi, i colleghi, le direzioni, il dipartimento e i genitori. Dalla qualità di queste relazioni dipende la salute dei docenti e, soprattutto, la possibilità di fare una buona scuola.
Bibliografia
Georgia Imperiali, Non ce la faccio più, Supsi, 2020.