Tremori, ansie, tachicardia. E ancora respiro mozzato, voglia di fuggire, attacchi di panico. Le fobie non sono una realtà così inconsueta oggi come oggi, in un contesto sempre più competitivo e pressante; come affrontarle? A volte basta indossare un paio di occhiali. Una boutade che non si allontana tanto dalla realtà, se pensiamo che oggi la Cyber Terapia, nata negli anni Ottanta grazie all’interesse e ai finanziamenti del Dipartimento della difesa degli Stati Uniti, si sta sviluppando sempre di più e pare destinata a crescere nei prossimi anni.
Accanto a realtà consolidate e strutturate come l’Istituto Auxologico Italiano, a Milano – la prima struttura ospedaliera al mondo a dotarsi di due stanze di tecnologia «Cave» sotto la supervisione di Giuseppe Riva, uno dei pionieri in questo campo – si sta muovendo qualcosa anche alle nostre latitudini. Di recente, infatti, il graphic designer e ricercatore ticinese Marko Valdarnini (nella foto) ha messo in piedi una start-up, la EvolveVR, con lo scopo di utilizzare le potenzialità della realtà virtuale al fine di aiutare le persone affette da disturbi quali la paura di viaggiare in aereo o di prendere l’ascensore, via via fino a tante altre patologie, come l’agorafobia o la paura dei ragni.
Come funziona? Semplice. Ci si mette comodi, con il terapeuta o la terapeuta di fianco, si indossa un visore di realtà e si attende che il video inizi. Chi scrive ci ha provato: in prima battuta si è ritrovata immersa in un contesto molto confortante e piacevole, un paesaggio di montagna tranquillissimo, con tanto di laghetto e di libellule. Un quadretto subito messo in discussione: chi assiste al video, infatti, sarà presto disturbato da un treno che si muove a gran velocità, fino a provocare un urto. Tutto virtuale, tutto finto, sì: ma non per questo si rimane indifferenti alla collisione. «Certamente no, perché la parte del cervello che reagisce è quella ancestrale, che viene condizionata dalla percezione» spiega Marko Valdarnini, che è anche formatore di adulti e gestisce corsi sulla comunicazione efficace focalizzandosi anche sugli stati emotivi e sulle ansie.
«Ho creato questo progetto per rispondere a un’esigenza psico-sociale e per alcuni versi anche patologica. Attraverso la realtà virtuale, e in particolare grazie ad alcuni video che hanno le capacità di esporre gli spettatori a un ventaglio emotivo molto ampio, è possibile lavorare sui propri limiti in modo graduale, accompagnati da un terapeuta». La particolarità del video, che ricorda gli esperimenti dei Fratelli Lumière ai tempi delle prime proiezioni cinematografiche e le reazioni delle persone ancora non aduse al nuovo mezzo, è che cala il paziente o la paziente in un ambiente plastico, in 3D, dove non si ha mai la percezione esaustiva del quadro, ma per cogliere tutto bisogna muovere la testa, verso l’alto, verso il basso, indietro. Se nel «Cave» presente all’Istituto Auxologico di Milano il paziente è immerso in una «caverna», una camera di proiezione costituita da tre, quattro schermi su cui vengono retroproiettati gli ambienti generati dal computer, qui grazie a dei semplici visori di realtà si entra in un ambiente tridimensionale e assolutamente credibile.
«Nel video di prima non ci si limita soltanto a mettere il paziente in uno stato di ansia» continua Valdarnini. «La stessa viene stemperata perché il treno, quando lo colpisce, si trasforma in uno stormo di uccelli. Lo scopo è provocare tante micro-emozioni e poi lavorarci per superare le paure e lo stress». Il video, realizzato dalla casa di produzione di James Cameron, è stato il primo passo nell’uso della realtà virtuale in campo formativo. Oggi la strumentazione è molto più semplice e meno costosa, ciò che permette il più agevole inserimento di queste tecniche all’interno dei più classici percorsi terapeutici, che dovrebbero vedere potenziata l’efficacia.
«Sto collaborando con un team di psicologi, come Davide Algeri ed Elettra Pezzica, che è concentrata sull’efficacia scientifica della realtà virtuale a livello terapeutico», aggiunge il ricercatore, precisando che esistono dei veri e propri protocolli per superare l’agorafobia o la paura di prendere l’ascensore. «La realtà virtuale dà proprio la possibilità di ricreare delle situazioni che in vivo sarebbero molto dispendiose: in questo modo, per esempio, il terapeuta può stare accanto al paziente durante un volo, se la paura è quella di prendere l’aereo».
Infine, qualche dato: in Svizzera sono ottocentomila le persone a soffrire di disturbi di ansia, come ci avverte Pro Infirmis, ed essi colpiscono maggiormente le donne. Affrontare con metodo e protocolli adeguati e aggiornati quelle che ragionevolmente possiamo chiamare malattie diventa una priorità.