Se vi capita di appoggiarvi a un albero, è molto probabile che una formica vagabonda sia il primo animaletto che viene a farvi visita. Infatti questi insetti sono efficienti e utili pattugliatori che perlustrano senza posa la corteccia a caccia di afidi e bruchi.
Alcune specie di acacie (robinie) delle regioni subtropicali coperte dalle savane hanno sviluppato un singolare sistema protettivo di spine. Queste secernono un liquido che attira le formiche. Qui, esse vi hanno costruito, nel corso della loro evoluzione (che risale parecchio indietro nel tempo), le loro dimore, assicurando un permanente meccanismo di protezione dell’albero contro erbivori e succhiatori di linfa.
La corteccia è la scorza che caratterizza la superficie del tronco degli alberi e degli arbusti legnosi e le loro radici in contrapposizione al legno sottostante. Cortecce lisce, cortecce tormentate con profonde fessure che indicano l’età. Cortecce bianche e quelle rossicce. Cortecce che si staccano a placche, come quelle del platano. Esiste un popolo animale e vegetale che vive in queste strutture che avvolgono l’albero «come una camicia». Dalle sue sommità al profondo delle radici: il popolo dei «corticoli» (dal latino cortex = corteccia).
Al pari delle foglie, anche le cortecce così dissimili tra loro fanno parte della carta d’identità di ogni specie di arbusto legnoso
Questi, che siano licheni, polipori (funghi legnosi), e una miriade di insetti, vivono e prosperano sulle cortecce, nel loro interno e, soprattutto, in quel labirintico e complesso ambiente che si crea sotto le cortecce, grazie al loro progressivo distacco dal legno sottostante. Sono processi con lenta maturazione, che vedono innanzitutto l’opera dei funghi, i quali per mezzo delle loro ife penetrano inesorabilmente nella materia legnosa con un’azione meccanica di cuneo.
Provate ad annusare la parte interna di una corteccia che si può staccare. Sentirete un diffuso profumo di funghi, e troverete un vasto intrico di gallerie e fessure, frequentato da un immenso e tanto variato mondo di organismi (principalmente insetti) che esprimono complicate modalità di vita in incessante trasformazione e sviluppo. Dai consumatori della materia legnosa intrisa di bianche ife fungine, ai loro predatori e parassiti, venendo a formare una complessa «rete» alimentare. Nel corso della sua immensa opera letteraria, Leonardo da Vinci (1459-1519) parla diffusamente anche degli alberi, delle loro caratteristiche e della tecnica pittorica per raffigurarli al meglio: luci e ombre, vuoti e pieni, sfumature. «L’accrescimento della grossezza delle piante è fatto dal sugo (linfa), il quale si genera nel mese di aprile infra la camicia (corteccia) e il legno di esso albero, e la scorza acquista nuove crepature nelle profondità delle ordinarie crepature». E inoltre «all’albero giovane non crepa la scorza».
La corteccia della betulla, un albero diffuso fino alle più elevate latitudini del Nord America e dell’Eurasia, simbolo emblematico e vitale per i popoli boreali, i Sami (Lapponi), è bianca e gentile, come il volto di una fanciulla, e ha una pellicola superficiale sottile come un velo.
Dalla corteccia, opportunamente intagliata con un punteruolo, sgorga la linfa in primavera, una deliziosa e salutare bevanda tanto apprezzata dal sergente nella neve (Mario Rigoni Stern) durante il suo ritorno in Russia nel 1975: «Linfa di betulla, me ne versai un bicchiere, e scopersi così una bevanda nuova, leggerissima come una betulla in sboccio, il sapore della primavera, della terra in amore, il canto nella foresta, l’humus della vita assorbito con il crescere della luce del giorno e distillato dal sole attraverso il tronco delle betulle» (Rigoni Stern 2003).
Come si fa per raccogliere questo liquido prezioso? Anche in questo caso ci viene in aiuto Mario Rigoni Stern: «Quando arriva il disgelo e le betulle iniziano a dischiudere le prime foglioline, si incide leggermente la corteccia, e in questa ferita, in basso, si mette un piccolo stecco (cavicchio). La betulla piange, la lacrima scorre lungo lo stecco e la goccia viene raccolta in un recipiente che sta sotto. Tante gocce formano litri». Lo stesso metodo utilizzato per raccogliere la resina di alcune conifere, e il lattice (gomma) dell’Hevea brasiliensis.
A proposito del noce, in passato c’era stata una vecchia storia tra questo albero e la vacca. L’animale aveva l’abitudine di strofinare le sue corna sulla corteccia, e questo non era gradito al noce. La cosa si risolse dopo un vivace scambio di opinioni tra i due e volarono parole grosse. Il noce promise alla vacca che non le avrebbe consentito di fare il latte se si fosse sdraiata nella stalla su una lettiera di sue foglie. E così fu; il contadino allevatore seppe come comportarsi in futuro, e la corteccia del noce tornò indenne fino alla consumazione del tempo (Mauro Corona 1997).
Le lisce e giovani cortecce del castagno (foto) sono un prezioso nutrimento sostitutivo invernale per cervi e caprioli, quando non c’è di meglio. Ma la sopravvivenza degli ungulati significa la morte del castagno, e ne sanno qualcosa i forestali.
Dopo una certa età, la corteccia di questo albero si contorce con uno sviluppo tormentato e a spirale (foto), e ben pochi sono i licheni che riescono a svilupparsi sul tronco forse per la diffusa presenza di tannino.
Al pari delle foglie, anche le cortecce così dissimili tra loro fanno parte della carta d’identità che contraddistingue ogni specie di albero o di arbusto legnoso. E Cédric Pollet, un fotografo naturalista francese divenuto famoso, ne ha fatto la ragione della sua vita professionale, mettendoci interesse, tempo, e tanta passione.