La coltivazione del futuro

Bio-reportage - Uno dei più interessanti metodi sviluppati di recente è quello delle serre idroponiche, un sistema all’avanguardia per un’agricoltura ecosostenibile
/ 09.11.2020
di Luigi Baldelli, testo e foto

Se ne parla in verità dal 1919, grazie a un articolo che William Frederick Gericke dell’Università della California pubblicò in merito all’«acquacoltura». Da allora – tra i tanti che hanno fatto ricerche si annovera anche la Nasa – questo sistema si è evoluto sempre di più.

Ma che cosa è esattamente l’agricoltura idroponica? È, per semplificare, la coltivazione delle piante senza suolo o fuori dal suolo, senza terra e con le sostanze nutritive sciolte nell’acqua, che viene portata alla base della pianta con un sistema a goccia. Parliamo di piante che crescono in verticale, e possono superare i tre metri di altezza, come i pomodori. Oppure, come l’insalata o il basilico, che vengono messe in strutture di polistirolo e galleggiano su grandi piscine, direttamente nella soluzione nutritiva.

Questo sempre più innovativo metodo di coltivazione largamente diffuso in Olanda, dopo varie sperimentazioni in tutta Europa e non solo, oggi viene anche esportato in paesi aridi dove coltivare è arduo, come, per citare un solo esempio, la Giordania che, dall’anno scorso, ha avviato un progetto importante per estendere in tutto il paese questo sistema. Anche in Ticino sono stati avviati progetti di varie specie (sperimentali e tecnologici, privati). Per dirne una, alla Migros si trova in vendita un’insalata di coltura idroponica prodotta dall’Orticola Meier di Quartino.

Diversi sono i vantaggi. Ad esempio, si ottengono così ortaggi tutto l’anno, un risparmio di acqua, assenza di fertilizzanti e pesticidi, nessuno sfruttamento del suolo, prodotti buoni e sani. Queste, le basi su cui si sviluppa una serra idroponica, il nuovo modo di coltivare la verdura, dove tecnologia e innovazione vanno a braccetto.

Abbiamo cercato di capire meglio di che cosa si tratta, rivolgendoci a chi ne sta facendo ampia e profonda esperienza: «Serra idroponica vuol dire anche Resistenza, Impatto, Responsabilità, Azione». Così, Luigi Galimberti spiega la filosofia del suo sogno diventato realtà. Amministratore delegato di Sfera Agricola – la più grande serra idroponica in Italia, 13 mila metri quadri in provincia di Grosseto nella Maremma toscana – per ora produce insalata, basilico e pomodori e in futuro coltiverà anche peperoni e cavolfiori. «Resistenza vuol dire proteggere le nostre piante; Impatto perché vogliamo proteggere e ispirare il territorio; Responsabilità verso il consumatore che vogliamo istruire sul cosa sceglie e cosa mangia; Azione significa riduzione degli sprechi» continua Galimberti seduto dietro la sua scrivania, in un semplice e funzionale ufficio, lontano anni luce da come vengono immaginati gli uffici degli amministratori delegati.

I numeri positivi che ha una serra idroponica sull’ambiente sono edificanti. Qui, dove è prevista la produzione di tre milioni e mezzo di chili di pomodori per il 2020, il risparmio di acqua per l’irrigazione raggiunge l’80% e quello dei fertilizzanti il 90% se confrontati con le stesse produzioni nei campi. «Sono convinto che bisogna cambiare il modo di pensare l’agricoltura», continua Galimberti. «Le piante nei campi sono sempre sotto attacco da virus, insetti e muffe e la frutta, per renderla sempre più resistente ai virus, ha perso sapore. Oggi per fare un buon prodotto alimentare ci vogliono le giuste e moderne tecniche di produzione».

E allora andiamola a vedere da vicino questa «rivoluzione agricola». L’interno di questo tempio ha la luce morbida filtrata dai teli della serra. Ogni volta che si entra in un «reparto» bisogna pulirsi la suola delle scarpe. Sulle grandi vasche dentro fogli di polistirolo, con le radici immerse in acqua e sostanze nutritive, galleggiano insalata e basilico. Una distesa di colore verde. Si passa da quelle appena «seminate» a quelle pronte per essere raccolte. I lavoratori sono tutti giovani, ragazze e ragazzi italiani e stranieri. Ma la vera sorpresa è quando si entra nel «tempio del pomodoro». File e file di piante, che crescono verso l’alto e vengono appese al soffitto, alte anche più di tre metri e lunghe più di trenta, piantate in piccoli cubi di lana di roccia infilzata da aghi di plastica che rilasciano acqua e sali minerali. La pianta cresce verso l’alto, dove in cima produce i pomodori, e solo quando questi sono maturi, viene abbassata.

In una temperatura costante si muovono operai con carrelli che scorrono sui binari, raccolgono i pomodori, che ritrovano ad altezza delle loro mani. Non bisogna piegarsi, così, mi dicono, è più veloce e meno faticoso. In altre file, carrelli elevatori, con altri operai che abbassano le piante di quel tanto che serve ogni volta che crescono. Mentre invisibili insetti tengono lontane le specie predatrici per la pianta. I prodotti sono biologici al 100%, perché non usano neanche il rame e sono nickel free.

Da una cassetta piena di pomodori datterini, ne prendo un paio per assaggiarli: sono buoni, dolci e saporiti. All’esterno un grande bacino raccoglie l’acqua piovana che poi viene utilizzata per l’irrigazione. Perché la serra idroponica è un tipo di agricoltura sostenibile: non vengono contaminate falde acquifere, si riduce o elimina l’inquinamento, si riducono gli sprechi ed è una economia circolare.

Tutti quelli che lavorano qui, circa 250 persone assunte, sono della zona: «Prima di tutto abbiamo dato lavoro alle famiglie della zona ed anche perché non avrebbe senso dare lavoro a chi deve fare 50/60 chilometri per venire a lavorare: saremmo ecologici nella produzione del prodotto, ma non in quello dell’aria», mi dice sorridendo Galimberti. Nella filosofia della serra idroponica, oltre al rispetto della natura c’è anche lo scopo di educare il consumatore a sapere che cosa mangia, istruirlo al cibo.

Perché è certamente vero che in Occidente siamo legati a una cultura secondo la quale il cibo proveniente dalla terra sarebbe il più genuino e buono. Ma la ricerca sta scoprendo sempre più che si tratta di una falsa cultura, tant’è che gestendo bene una serra idroponica in tutti i suoi passaggi, dalla giusta composizione dell’acqua, alla quantità di luce, all’umidità e temperatura, solo per citarne alcuni, si ottengono ortaggi e frutta con le stesse sostanze nutritive di quelli coltivati nei campi, ma più buoni. «Il modello della serra idroponica è un modello che deve essere esportato e sempre più diffuso. L’attenzione allo sfruttamento della natura, ai cambiamenti climatici, all’assenza di materie inquinanti e dannose come pesticidi e fertilizzanti sono azioni concrete per una vera sostenibilità» spiega Galimberti.

Ed è un modello, come detto, che si può esportare anche in paesi in via di sviluppo, permettendo di avere sempre verdura 365 giorni all’anno, anche dove le risorse naturali, tipo acqua, sono scarse. Se sono vere le stime di crescita della popolazione, tra 30 o 40 anni ci saranno il doppio di abitanti sulla terra. E allora bisognerà sempre produrre di più, perché la gente va sfamata. Ma se continuiamo con questo ritmo di sfruttamento della terra, le risorse saranno sempre meno. E solo con responsabilità e con le giuste azioni, da quel meno si potrà ottenere sempre di più e iniziare a restituire alla terra quello che le abbiamo preso.