«Le piante più umili sono a volte le più ricche di proprietà nascoste», parola dello scrittore ed erborista Maurice Mességué, il pioniere francese della fitoterapia scomparso nel 2017 dopo una vita trascorsa a diffondere nel mondo l’uso delle piante medicinali. Autore di libri, creatore di linee di prodotti, brillante divulgatore, Mességué congiunse il talento manageriale all’antico sapere delle erbe appreso dal padre contadino.
Ma non fu da meno anche il grande Paracelso, nato a Einsiedeln nel 1493, rivoluzionario e ribelle precursore della concezione olistica della medicina: «Tutti i prati e i pascoli, tutte le colline e le montagne sono farmacie – affermava – sono il prodotto di uno sforzo di creazione universale unica; macrocosmo e microcosmo formano un’unità». E la Cicoria, della famiglia delle Asteraceae, è indubbiamente una pianta molto umile e comune.
Il nome scientifico Cichorium intybus L, etimologicamente, pare avere origini greche o arabe, mentre intybus era il nome con il quale la indicavano Virgilio e Ovidio. Nota popolarmente come «radicchio selvatico», «occhio di gatto», «endivia», la cicoria di campo è una pianta abbastanza infestante. Come il Tarassaco, possiamo trovarla con facilità nei terreni secchi e argillosi, ai bordi delle strade, nei campi, nei luoghi erbosi incolti. Coltivata negli orti ha dato origine a numerose varietà commestibili come il Radicchio, l’Indivia, la Catalogna, che sono specie meno amare di quella da cui derivano, ma con principi attivi meno efficaci.
Le foglie della Cicoria selvatica sono ottime come verdura cotta o cruda, basta avere l’avvertenza di raccoglierle a primavera dalla rosetta basale, prima che il fusto si ingrossi. Ildegarda di Bingen consigliava di consumarle con hummus di ceci e crema di fave. Erba amara per eccellenza, la Cicoria era tradizionalmente consumata nella festa ebrea della Pasqua.
Nel Papiro Erbes, uno dei più antichi testi egizi del 1500 a.C. – il documento è conservato all’università di Lipsia – si testimonia l’avanzata conoscenza degli effetti curativi delle erbe raggiunta da questo popolo e si ricorda che gli egizi adoravano la Cicoria come una divinità. Presso i Germani era chiamata «sponsa solis», la si riteneva dotata di proprietà divine a motivo del fatto, come è facile constatare, che segue il sole nel suo corso, aprendosi nel momento in cui sorge, chiudendosi al tramonto, in molte zone delle alpi francesi veniva per questo chiamata «orologio dei pastori».
Della Cicoria si utilizza in primis la radice, che è un grosso rizoma ricco di lattice amaro, poi le foglie e i fiori. Questi ultimi sono di un delicato e trasparente azzurro ceruleo che pare assumano tonalità differenti nelle varie ore del giorno. Le radici si raccolgono da settembre a ottobre, sono ricche di principi attivi, fra i quali colina, sostanze amare, insulina, potassio, ferro, calcio. Ricerche attualmente in corso in campo medico riguardano proprio l’insulina, un ormone contenuto nella radice che si ritiene possa ridurre il tasso di lipidi nel sangue, come il colesterolo e i trigliceridi. Inoltre sembrerebbe favorire l’assorbimento di minerali come il magnesio e il calcio, contribuendo con questo a proteggere le ossa.
Nel Medioevo, il succo era considerato un ottimo de-ostruente contro gli ingorghi di milza e fegato; in passato, nelle campagne, unito allo zucchero bianco e cotto fino alla consistenza di sciroppo era impiegato come depurativo per i neonati. Nella prima parte del secolo scorso in farmacia si confezionavano sciroppi composti di cicoria con effetti amaro depurativi. Il decotto di radici era bevuto contro l’anemia e come tonificante per depurare il sangue. Castore Durante, illustre medico e studioso vissuto nel 1500, consigliando la Cicoria per il trattamento di numerose patologie, così si esprimeva: «Di dentro, cotta nel vino e bevuta, purga la collera e i viscosi umori; il seme pesto, bevuto al peso di una dramma in vino, giova ne i parossismi della febbre; la decottione delle foglie e radici bevuta calda giova al fegato, alla milza e agli hidropici».
Alle radici in forma di decotto o sciroppo sono oggi riconosciute proprietà diuretiche, depurative, ipoglicemizzanti, colagoghe (significa che agiscono su fegato e bile); alle foglie, in forma di succo o infuso, raccolte da agosto a settembre sono attribuite proprietà toniche, stimolanti delle funzioni digerenti e del fegato, diuretiche e blandamente lassative; e allo stesso modo i fiori, raccolti da giugno a settembre, hanno proprietà colagoghe, disinfiammanti e disinfettanti.
Il succo fresco di foglie, con aceto e olio di rose, era frizionato contro il mal di testa. La cicoria è un vasodilatatore naturale e ha un forte valore energetico, 100 gr di foglie racchiudono 16 kcal.
Attorno al XVIII secolo, si scoprì il procedimento della tostatura del caffè. Giungevano in Europa navi cariche di quintali di chicchi finalizzati alla produzione di questa inebriante nuova bevanda. Napoleone I, agli inizi del XIX secolo, volendo mandare in rovina l’economia britannica decretò il blocco delle navi inglesi, con il divieto di importare zucchero di canna e, per l’appunto, il caffè. Si affermò in tal modo la pratica della tostatura delle radici di cicoria e si commercializzò il pregiato «Caffè cicoria», uno dei più noti sostituti della famosa bevanda, privo di caffeina ma ricco di sostanze minerali e dal sapore molto gradevole, tuttora molto usato in Nord Europa.
Un recente studio (2011), effettuato da ricercatori ungheresi, ha dimostrato i notevoli effetti antitrombotici del caffè di cicoria, probabilmente indotti dai composti polifenolici di cui questa bevanda è molto ricca.