La memoria dei ghiacciai

In merito all’evoluzione dei ghiacciai ticinesi, a partire dalla fine dell’Ottocento sino a oggi, è stata allestita una mostra itinerante che porta proprio il nome La memoria dei ghiacciai. In buona sostanza, l’allestimento offre una panoramica storico-divulgativa di come la realtà fisica di questi giganti bianchi si stia modificando. Non dunque memoria custodita nel ghiaccio, ma la memoria dei ghiacciai custodita dal grande lavoro di misurazione svolto negli anni dalla Sezione forestale cantonale. Lavoro che prevede sopralluoghi, raccolta e condivisione di tutte le informazioni utili. La mostra incentrata sulla storia e morfologia delle nevi eterne ticinesi, e sui temi climatici ad esse legati, con fotografie, documenti e un filmato che raccontano per l’appunto la loro evoluzione negli ultimi 130 anni, è organizzata dalla Divisione dell’Ambiente del Dipartimento del territorio. Al momento la mostra si trova, fino al 3 novembre, presso il Campus SUPSI di Mendrisio. Dal 24 gennaio al 27 febbraio (lu 8:00-21:00; ma-ve 8:00-19:00; sa 9:00-13:00) si sposterà invece nella Biblioteca cantonale di Bellinzona.


Istantanee del passato

Tecnologia e scienza - Ghiaccio e ghiacciai ritraggono fedelmente informazioni che non possiamo perdere
/ 24.10.2022
di Amanda Ronzoni

«Il ghiaccio non ha futuro. Tutto quello che ha è il passato racchiuso dentro di sé. Il ghiaccio può preservare le cose in questo modo – estremamente pulite, distinte e vivide come se fossero ancora vive. Questa è l’essenza del ghiaccio». La citazione non è di uno scienziato o di qualche ecologista, ma dello scrittore giapponese Haruki Murakami (tratto dal racconto breve L’uomo di ghiaccio), la cui sensibilità e arte si attagliano perfettamente a trattare l’argomento, meglio di tanti dati o proclami che, purtroppo, nell’era dell’iperconnessione non arrivano più a bersaglio.

La prima frase è terribile. Una condanna senza appello, che suona anche come una minaccia. Mai come oggi quel mondo perfetto di infinite sfumature di bianco, grigio e azzurro, algido, apparentemente remoto e silenzioso, ci sembra vicino. È entrato di prepotenza nelle nostre case con i video dei distacchi di imponenti masse di acqua, detriti e ghiaccio che hanno travolto vite e stravolto equilibri che si mantenevano da decenni, cambiando l’aspetto delle nostre montagne. Nel 2019 in Islanda è persino andato in onda il funerale fatto all’Okjökull, la cui coltre perenne è svanita inesorabilmente, privando la montagna (oggi solo Ok) del titolo di jökull, che vuol appunto dire ghiacciaio. E poi si sente sempre più parlare della riduzione vertiginosa delle calotte glaciali in Antartide e in Groenlandia, dell’agonia della banchisa e delle specie animali che abitano al Polo Nord. Il ghiaccio che si scioglie fa sempre più rumore.

Oltre ai danni derivati dai fenomeni che stiamo osservando, il rischio è quello di perdere un’importante fonte di dati sul passato del nostro pianeta, che i ghiacci, da decine, centinaia di migliaia di anni (a volte di più) custodiscono. Informazioni che rischiano di sciogliersi letteralmente come neve al sole. Un patrimonio di conoscenze inestimabili.

Per scongiurare questa perdita è nato, nel 2014, il progetto Inside The Glaciers, inaugurato con il primo Campo Internazionale di Speleologia Glaciale sul Ghiacciaio del Gorner, originato e gestito da un team internazionale di ricercatori e scienziati, che insieme a glaciologi e speleologi, anno dopo anno, organizza campagne di esplorazione nel cuore dei ghiacciai alpini, ma non solo, per monitorarne lo stato e l’evoluzione in questa fase critica.

Il progetto, guidato dai geologi e speleologi italiani Francesco Sauro (professore a contratto presso il Dipartimento di Scienze Biologiche, Geologiche e Ambientali di Bologna) e Alessio Romeo (esploratore e fotografo, autore delle foto che accompagnano questo articolo), coinvolge diverse università, centri di ricerca, associazioni speleologiche svizzere, italiane e francesi, aziende specializzate in rilievo 3D e fotogrammometrico, voli con droni impact tollerant con sensori multispettrali ad alta risoluzione (la svizzera Flyability e l’italiana Virtual Geographic Agency).

Per la presenza di un’importante quantità di distese glaciali nei suoi massicci, il Vallese è un territorio particolarmente adatto per capire la situazione direttamente «nel cortile di casa nostra». Ed è proprio qui che il progetto sta raccogliendo anno dopo anno interessanti informazioni.

Scendere nel ventre blu di questi giganti implica però un impegno logistico non indifferente, che prevede competenze che vanno dall’alpinismo, alla speleologia, alla subacquea, nonché il ricorso a materiali adeguati e attrezzature avanzate. È solo dalla fine degli anni Ottanta che lo studio di grotte di ghiaccio nei ghiacciai temperati del Pianeta ha potuto decollare, aprendo la via alla ricerca scientifica sul campo in settori come biologia, microbiologia, biochimica e studi paleo-climatici.

Partendo dalla Glaciologia, uno degli obiettivi del progetto è la mappatura e documentazione delle cavità a contatto tra ghiaccio e roccia, dove acqua e aria insieme hanno un impatto significativo sul processo di fusione e collasso dei ghiacci. È possibile così raccogliere dati stagionali e annuali sulla variazione di questi ambienti, che minaccia la stabilità delle masse di ghiaccio, creando rischi concreti alle comunità a valle. L’espansione della copertura detritica sopra-glaciale, la deposizione di polvere minerale e «black carbon», (vedi articolo Il «poderoso respiro» del massiccio dell’Adula, di Jacek Pulawski a pagina 19) nonché la crescita di alghe sui ghiacciai si stanno registrando su tutte le principali catene montuose del Pianeta. Fenomeno ormai noto come «annerimento dei ghiacciai», aggrava l’assorbimento della radiazione solare e rinforza la fusione.

Conoscere meglio questi giganti e le loro cavità endoglaciali, in particolare, ci aiuterà a comprendere meglio il funzionamento della rete idrologica interna e possibili scenari futuri.

Anche se li vediamo come ambienti estremi, deserti freddi, inaccessibili e inospitali, i ghiacciai non sono privi di vita. Brulicano di microganismi, organizzati in comunità complesse, costituite principalmente da batteri. Entriamo qui nel dominio dell’ecologia microbica. Sulla superficie della maggior parte dei ghiacciai si trovano piccole pozze di acqua di disgelo con sedimenti sul fondo. Hanno un nome curioso: coppette crioconitiche. Soggette a condizioni estreme, come basse temperature e alta radiazione solare, ospitano comunità batteriche con elevata biodiversità tassonomica e funzionale, e il progetto mira anche ad espandere le conoscenze che ne abbiamo.

Altro fronte di estremo interesse è lo studio delle interazioni tra minerali e microorganismi estremofili (che vivono in condizioni estreme). Esperti di nanobiochimica stanno cercando la presenza d’inquinanti (elementi organici, metalli pesanti, nanoparticelle e microplastiche), studiando la resistenza di tali microrganismi in presenza di questi elementi di origine antropica. I fenomeni climatici e geologici sono stati per lungo tempo i principali motori delle trasformazioni delle superfici terrestri. Ora, anche grazie alle indagini sulla memoria del ghiaccio, stiamo studiando come l’Uomo, al tempo dell’Antropocene, sia sempre più all’origine della maggior parte delle trasformazioni in atto.

Ghiaccio e ghiacciai stanno diventando insomma un argomento caldo, che va affrontato prima che le prove svaniscano.