Intelligenti si diventa giocando... ai videogame

Tecnologie digitali – Studi recenti indagano il rapporto fra videogiochi e sviluppo cognitivo nei bambini sfatando alcuni pregiudizi
/ 18.07.2022
di Fabio Meliciani

Alla fine degli anni ’80 del secolo scorso, lo psicologo neozelandese James R. Flynn osservò come l’intelligenza di noi esseri umani avesse avuto, da quando abbiamo cominciato a misurarla, una crescita costante. Il fenomeno prese il suo nome, effetto Flynn: ogni generazione, in media, ha un quoziente intellettivo superiore a quella che l’ha preceduta. Siamo dunque destinati a diventare esseri di straordinaria intelligenza? Qualche dubbio, osservando la nostra specie, è naturale che sorga. In realtà, a partire dagli anni Duemila, i dati ci dicono che la tendenza si è invertita. Cos’è successo? La questione è tutt’altro che oziosa: se pensiamo alle sfide che ci attendono, l’idea di un’inesorabile deriva verso la stupidità non ci fa certo dormire sonni tranquilli. Cos’è cambiato nella nostra vita? Sul banco degli imputati, manco a dirlo, sono finiti tutti quei comportamenti legati in modo più o meno diretto all’uso e abuso di strumenti digitali, dai videogiochi ai social, fino al crescente disinteresse verso la lettura e i libri – come se un tempo fossimo stati tutti bibliofili! – a vantaggio di schermi dispensatori di contenuti digitali. Quest’idea è filtrata nella comunicazione di massa, alimentando pregiudizi verso gli strumenti digitali e portando, spesso, noi genitori, ad adottare comportamenti schizofrenici e veti sull’accesso dei nostri figli al mondo digitale, che, se pur in parte giustificati, il più delle volte nascono da una conoscenza superficiale di questi strumenti, da idee piuttosto vaghe, o, peggio, da semplice pigrizia.

Mio figlio ha otto anni e, fin da piccolissimo, come una farfallina notturna, è attratto da ogni tipo di schermo; un’attrazione fatale che, da genitori ormai dipendenti da tecnologie digitali, cerchiamo goffamente di frenare… non certo dando il buon esempio. Dopo aver letto i consigli di autorevoli pedagogisti, i vademecum dell’Organizzazione mondiale della sanità, e ogni genere di rubrica di psicologia da magazine, mi sono fatto l’idea che ridurre al minimo, o, addirittura, eliminare l’esposizione a ogni tipo di schermo possa tout court favorire il suo sviluppo cognitivo. Punto. Sono arrivato a demonizzare quella tecnologia di cui, io per primo, non posso più fare a meno. Continuo a proteggerlo da ogni stimolo digitale, limitando l’uso di tablet, smartphone, PC, ogni tipo di videogioco, ma più mi ostino, più lui ne subisce il fascino clandestino. Che fare dunque? Beh… per cominciare, dovrei capire che le ricette servono a poco e la realtà è più complessa. A maggio di quest’anno, sulla rivista «Scientific reports», è stato pubblicato un importante studio condotto dai ricercatori del prestigioso centro di ricerca svedese Karolinska Institute che ha messo in correlazione l’uso di schermi (per guardare la TV, giocare ai videogame o socializzare) con lo sviluppo delle abilità cognitive nei bambini. Oltre 9000 bambini statunitensi, fra i nove e i dieci anni, sono stati osservati nel loro utilizzo quotidiano di ogni tipo di schermo; sono state misurate, con opportuni test, le loro capacità cognitive, e incrociati i dati con quelli genetici e relativi allo stile di vita della famiglia. Dopo un paio di anni, i test sono stati ripetuti.

In media, i bambini trascorrevano 2,5 ore al giorno davanti alla TV, mezz’ora sui social e un’ora con i videogiochi. In modo inatteso, la ricerca ha mostrato come i videogiochi avessero addirittura un impatto positivo sull’intelligenza, tanto che i bambini e le bambine che giocavano di più presentavano, anche a distanza di anni, uno sviluppo cognitivo maggiore. I ricercatori si sono focalizzati solo sulle abilità cognitive, sono stati presi in considerazione solo bambini statunitensi e come forma di «intelligenza» solo la capacità di apprendere, di pensare razionalmente, di comprendere idee complesse, e sappiamo che esistono forme diverse, altrettanto importanti, come l’intelligenza emotiva. Non si è tenuto conto neppure del tipo di contenuti dei videogame, ed è ragionevole supporre che possano giocare un ruolo importante. Tuttavia, lo studio ha confermato che i fattori ambientali sono determinanti nello sviluppo cognitivo di un bambino e che limitarsi a vietare prodotti digitali come i videogiochi o non considerarli rilevanti per la crescita cognitiva dei nostri figli è sbagliato.

Addirittura, i videogiochi possono avere un ruolo nello sviluppo delle abilità di lettura. Uno studio delle università di Ginevra e di Trento, pubblicato nello stesso mese sulla prestigiosa rivista «Nature», ha mostrato, infatti, come i videogiochi di azione possano rafforzare le capacità di lettura e attenzione di bambini e bambine con abilità nella norma, e questo dopo che gli effetti positivi erano già stati osservati nei bambini con dislessia, cioè con difficoltà specifiche nella lettura. In particolare, i ricercatori hanno sviluppato un videogioco, Skies of Manawak, capace di stimolare e allenare in modo divertente tutte le funzioni cognitive coinvolte nella lettura. 150 bambini italofoni, dagli 8 ai 12 anni, divisi in due gruppi, hanno giocato per sei settimane, con tempi ben controllati, a Skies of Manawak e a Scratch, un famoso gioco educativo creato dai ricercatori del MIT di Boston, per insegnare le basi della programmazione. Alla fine, il gruppo di bambini che aveva giocato a Skies of Manawak mostrava una maggiore capacità di attenzione, e, soprattutto, una migliore velocità e accuratezza nella lettura, abilità conservate anche a distanza di molti mesi, con un miglioramento significativo dei risultati scolastici.

La capacità di prendere decisioni sotto pressione, di mantenere l’attenzione alta nel tempo, di reagire prontamente a situazioni imprevedibili sono tutte abilità richieste da un videogioco d’azione, e il loro allenamento, spiegano i ricercatori, insieme alla costante variabilità nella stimolazione delle funzioni cognitive, cioè all’impossibilità di svolgere azioni meccaniche e automatizzate, hanno un impatto positivo sulle capacità di lettura. «Certo – dice Sara Giulivi, linguista della Supsi, esperta di lettura e dislessia – il tipo di strumento, i suoi contenuti, l’uso che ne facciamo, anche in termini di tempo, è cruciale: in questo caso, si trattava di un videogioco “sicuro”, non violento; questo ci mostra come gli strumenti digitali in un contesto di consapevolezza possano anche portare benefici significativi». «Inoltre, ancora più importante – continua Giulivi – è evidente che per migliorare la lettura nei bambini è molto utile allenare le abilità sottostanti (la memoria di lavoro, l’attenzione, le abilità visuo-spaziali) oltre alla lettura in sé». E conclude la ricercatrice: «anche in Svizzera, al Politecnico di Losanna, per esempio, o qui alla Supsi, esistono progetti che utilizzano videogiochi e supporti digitali per migliorare le abilità che stanno alla base della lettura e della scrittura. Tutto questo, ribadisco, ci fa dire che le tecnologie digitali non sono da evitare e demonizzare, anche nei bambini; vanno semmai conosciute e sfruttate, con tempi e modi appropriati, nell’ottica di un’educazione innovativa e inclusiva». Gli strumenti e i contenuti digitali sono ormai pervasivi e il rischio che si trasformino in fonti di discriminazione ed esclusione sociale è alto; per questo, anche noi genitori, come utilizzatori adulti di questi strumenti e, bene o male, come esempio per i nostri figli, dovremmo, quantomeno, fare ogni sforzo per saperne di più.