«Nostro figlio ha quasi 7 anni e sta finendo la scuola dell’infanzia. Abbiamo cercato di offrirgli sempre delle esperienze di inclusione sia da un punto di vista educativo che sociale, senza limitarlo a priori e dandogli supporto quando si scontra con le sue difficoltà. Dalla scuola del nostro comune abbiamo sentito da subito una grande apertura e accoglienza: durante il nostro primo incontro con il Direttore era evidente che per lui nostro figlio era un piccolo cittadino come gli altri e aveva diritto a frequentare la scuola del comune come tutti. Giustamente, e trovandoci completamente d’accordo, ci ha detto però che l’inclusione andava progettata con cura e con un certo anticipo. Questa ricerca di qualità e questa trasparenza hanno caratterizzato tutto il percorso di nostro figlio alla scuola dell’infanzia, non è stato sempre facile e non siamo stati sempre tutti d’accordo, ma credo che le parti coinvolte (direzione, ispettorato, ufficio del sostegno pedagogico, docenti, OPI, terapisti e noi genitori) si siano impegnate a dialogare e a progettare insieme. Il risultato è stato un’esperienza di inclusione molto positiva e il nostro desiderio è che possa continuare». È la signora Monica Induni-Pianezzi che racconta la sua esperienza di madre di un bambino con la sindrome di Down.
Fino a una decina di anni fa, il Ticino ha sviluppato le scuole speciali, per offrire ai bambini disabili strutture adeguate alla loro educazione. Ora si sta puntando sull’inclusione, ma siamo agli inizi e il cammino è ancora lungo. Il paradigma, introdotto dall’UNESCO, fin dal 1994, è questo: non è il bambino che ha bisogno di educazione speciale che deve adattarsi alla scuola, ma la scuola che deve essere ospitale nei confronti delle differenze delle persone. La legge ticinese del 2012 sancisce che «il diritto all’educazione e alla formazione dei bambini e dei giovani che presentano bisogni educativi particolari debba privilegiare e sostenere l’integrazione degli stessi nella scuola regolare e nel mondo del lavoro».
«Nelle leggi e nei regolamenti della scuola – ci spiega Monica Induni – è espressa la possibilità di offrire le misure di pedagogia speciale sia all’interno delle classi speciali che all’interno della scuola regolare. Per capire qual è il percorso più adatto a ogni bambino, va valutata ogni situazione nella sua complessità. Oggi la comunità educativa chiede che i bambini con disabilità non siano visti come bisognosi di “cura e assistenza”, ma che si possa dare loro uno spazio di “crescita ed educazione”. La scuola inclusiva è sicuramente un modo molto efficace per acquisire e allenare una serie di importanti abilità, utili sia al bambino di oggi che all’adulto di domani».
Monica Induni dirige l’associazione Avventuno, (https://www.avventuno.org) che sostiene le famiglie di persone con Trisomia 21. «Da qualche mese – ci dice – abbiamo assunto una maestra che faccia da ponte tra scuola e famiglia: conoscendo bene le specificità della sindrome, il mondo della scuola e le nostre famiglie, è disponibile a dare supporto a tutte le parti coinvolte».
La Convenzione ONU sui diritti delle persone con disabilità del 2006, sottoscritta dalla Svizzera solo nel 2014, precisa che «gli Stati parte devono assicurare che le persone con disabilità ricevano il sostegno necessario, all’interno del sistema educativo generale» e che devono essere prese «misure efficaci e appropriate per giungere alla piena inclusione e partecipazione in tutti gli ambiti della vita». Per Inclusion Handicap, l’associazione mantello delle organizzazioni svizzere di persone disabili, i risultati elvetici sono deludenti: «Una società inclusiva in cui le persone con disabilità possano autodeterminarsi in tutti gli ambiti di vita, sembra ancora lontana».
In Ticino negli ultimi dieci anni si sono aperte dieci sezioni inclusive di scuola dell’infanzia, nove di scuola elementare e due di scuola media, in una quindicina di comuni. Le classi inclusive, che offrono un docente specializzato accanto al docente titolare, coinvolgono poche decine di bambini con bisogni educativi speciali, mentre quasi 500 allievi frequentano le scuole speciali. Quanti anni ci vorranno per realizzare l’inclusione? Una famiglia con un figlio che necessita di un’educazione speciale, nella maggioranza dei comuni ticinesi, si trova in difficoltà. Se non c’è la disponibilità dei docenti e delle direzioni, non può frequentare la scuola regolare, e la scuola speciale è, in molti casi, fuori dal comune di residenza, così come le poche classi inclusive.
Ha senso cambiare comune se non c’è disponibilità in quello del proprio domicilio? «La frequenza in una classe inclusiva, – spiega Mattia Mengoni, responsabile al DECS della pedagogia speciale – è una misura di pedagogia specializzata. Se questa misura risulta essere quella più indicata alle necessità dell’alunno, in fase di definizione delle classi si valuta la possibilità, con i comuni, gli ispettorati e le direzioni, di aprire una sezione inclusiva nell’Istituto scolastico del domicilio dell’alunno. Se questo non è possibile per una questione organizzativa, si propone alla famiglia il cambio di comune o un’eventuale ridefinizione del progetto dell’allievo. La necessità di cambiare comune è da una parte un problema poiché non permette agli alunni di frequentare la scuola nel loro contesto sociale, ma d’altra parte favorisce l’erogazione di una prestazione mirata. Stiamo lavorando con tutte le parti coinvolte affinché le misure di pedagogia speciale possano essere erogate sempre di più negli Istituti di domicilio degli alunni che ne beneficiano, purtroppo però la massa critica di alunni coinvolti e la situazione geografica del cantone non sempre rendono semplice questo esercizio».
Monica Induni ha uno sguardo positivo: «Oggi mi sembra che tante sedi si stiano mostrando aperte all’inclusione, – afferma – soprattutto alla scuola dell’infanzia, purché questa venga progettata con attenzione. È necessario estendere il nostro sguardo dal bambino al contesto: costruire una cultura inclusiva che coinvolge tutta la società richiede tempo. Docenti e direttori possono avere differenti approcci alla professione, risultanti dal loro carattere, dalle loro esperienze, dalle loro idee. Sicuramente c’è chi è più predisposto a vivere un’esperienza nuova come l’inclusione di un bambino con disabilità e c’è chi invece potrebbe avere più timori o dei preconcetti difficili da cambiare. Man mano che le inclusioni aumentano, la mia speranza è che chi oggi si mostra restio possa essere rassicurato e invogliato da chi si è già messo in gioco».
Anche molti esperti intervenuti in questi anni sul tema dell’inclusione finiscono per sottolineare l’importanza del docente e delle direzioni, non sempre disponibili ad adeguarsi alla scuola inclusiva. «Non ritengo – sostiene Mengoni – che si possa affermare che i docenti non siano pronti a un sistema scolastico inclusivo o che vi sia una resistenza generalizzata a questo approccio. Un sistema scolastico inclusivo e accessibile nasce e si alimenta nelle classi ordinarie e nei diversi istituti scolastici e non deve essere una misura calata dall’alto; il clima di istituto, la visione dei direttori, l’apporto dei docenti sono fondamentali. Il cambiamento di paradigma che stiamo affrontando è relativamente recente ed è quindi necessario del tempo affinché tutti gli attori coinvolti possano condividerne i principi e l’attuazione. Lavorando in maniera congiunta dalla formazione di base, alle pratiche quotidiane, alla formazione continua possiamo raggiungere questo cambiamento. È un percorso e stiamo andando nella giusta direzione, dobbiamo partire dalle esperienze positive per favorirne delle nuove e passare quindi dai progetti alla pratica».
Lei come vede il futuro: la scuola può diventare tutta inclusiva riducendo al minimo le scuole speciali? «Mi immagino una scuola unica per tutti, sorretta da un sistema scolastico che sappia erogare le giuste attenzioni in funzione dei bisogni di tutti gli alunni in un contesto il più ordinario possibile che favorisca l’accessibilità e non precluda al suo interno delle misure, anche importanti, a chi le necessita», conclude Mattia Mengoni, responsabile della pedagogia speciale.
Da ultimo, ma non meno importante, va sottolineato che la scuola inclusiva, che apre a tutte le diversità, può rappresentare un fattore positivo, uno stimolo per le competenze, anche per gli allievi delle classi regolari.