La prima cosa è il colore – «viola, che simboleggia la lotta femminista a livello internazionale, ma coniugato al plurale»; la seconda è il pungente aggettivo che lo accompagna, «inteso come simbolo della lotta e della resilienza». In due parole: Viole Spinate. È questa una nuova voce, il nome del neonato collettivo di studentesse e studenti di Lavoro Sociale alla Supsi pronto a unirsi allo sciopero femminista del 14 giugno, che vedrà la mobilitazione di realtà sindacali e associazioni in tutte le piazze della Svizzera, fra cui Bellinzona, dove il corteo nelle vie della capitale ticinese partirà alle 18.
Raggiungiamo tre membre del collettivo, Martina Minoletti, 28 anni, Anna Ardid Ciscar, 29 e Salwa Jellal, 26. Come nasce Viole Spinate e in quale contesto? «Siamo un gruppo misto di studentesse e studenti sorto all’interno del Bachelor di Lavoro Sociale alla Supsi» – dichiara Martina. «Ci siamo unite e uniti – per ora siamo cinque donne e un uomo – con il desiderio di promuovere una cultura di diritti anche all’interno della scuola universitaria e dalla voglia di costruire una comunità, dove condividere idee, eventi e luoghi di aggregazione. Tra noi ci conosciamo ancora poco, ma abbiamo gli stessi desideri, le stesse idee».
Ancora Martina: «Si parla di lotta femminista, ma non è per nulla violenta, anzi, pacifica, e avviene attraverso gli incontri, l’inclusione, l’empowerment delle persone. Siamo a difesa delle donne più marginalizzate e promuoviamo un cambiamento sociale, che sono proprio le linee guida del nostro Bachelor, dei nostri studi. Noi intendiamo diventare delle professioniste in grado di promuovere questi valori anche all’esterno della Supsi e non solo all’interno. Vogliamo una società inclusiva, che sappia accogliere le persone e ascoltarle».
Parliamo della mobilitazione di dopodomani. «Il 14 giugno è il nostro obiettivo. Il terzo sciopero a livello nazionale sarà, lo spero, un’altra volta grande. Le rivendicazioni sono le stesse, poiché nel frattempo, pensiamo ad esempio solo all’AVS, alcune situazioni sono addirittura peggiorate. Vogliamo arrivare a questa giornata come collettivo, come gruppo di studenti e studentesse Supsi e manifestare insieme, portare le nostre rivendicazioni incentrate ad esempio sul lavoro di cura compiuto dalle donne, il quale non viene né retribuito né valorizzato e supportare al contempo le richieste del Coordinamento dello Sciopero del 14 giugno».
Evidenzia Anna Ardid Ciscar: «Per noi essere donne non ha solo a che fare con la fertilità. Il fatto è che non c’è una vera e propria distribuzione dei compiti domestici, il lavoro compiuto dalle donne è considerato invisibile».
È stata Salwa, 26 anni, l’ideatrice del nome del collettivo Viole Spinate, approvato a larga maggioranza. E dal canto suo tiene a sottolineare un altro valore universale: «Promuoviamo un femminismo intersezionale che per noi è fondamentale: contempla diverse identità sociali e le possibili particolari discriminazioni, ad esempio non solo di genere ma anche per quello che riguarda la classe sociale, l’abilità o disabilità o la religione». Sulla moderna definizione si sente di insistere anche Martina: «Molteplici sfere possono essere oggetto di discriminazione: io posso essere discriminata in quanto donna, o magari perché nera o perché grassa… Ci sono donne bianche, nere, eterosessuali, bisessuali, omosessuali, la società è complessa e i nostri valori abbracciano la complessità che per noi non rappresenta un ostacolo bensì un valore. Noi vogliamo portare in piazza questi temi. Per noi il femminismo è la volontà di abbracciare tutta la società. Potrà sembrare utopico, ma è su questo che intendiamo batterci poiché ci sta davvero a cuore. Il femminismo non è per le donne, è per tutte le persone».
Nel 2019 in Svizzera, oltre mezzo milione di persone sono scese nelle piazze per rivendicare più salario, più tempo e più rispetto per le donne, eppure – denunciano sindacati e collettivi – ad oggi non è cambiato nulla. «Assolutamente» – interviene Martina. Che aggiunge: «Le cose sono anzi peggiorate, basti pensare alla votazione sull’età pensionabile delle donne portata a 65 anni. Ci sono dati che illustrano chiaramente quanto le donne siano sottopagate. Non veniamo riconosciute a livello statale, si pensi ai mancati aiuti per gli asili nidi, tutte rivendicazioni che portiamo avanti da sempre. Le violenze sulle donne aumentano. Non c’è casistica in cui la donna non figuri discriminata. Se non addirittura peggiorato, di certo tutto è rimasto comunque uguale. La pandemia ha poi contribuito ad accentuare ogni cosa». Che senso ha allora scioperare ancora nel 2023? La risposta delle nostre interlocutrici diviene corale: «È fondamentale». «È necessario, ci sono tantissimi motivi». «Sì, perché per una società è basilare volere il rispetto e l’uguaglianza di tutte le persone. Non riesco a concepire come si voglwia ancora vivere in una società in cui vi sono discriminazioni, violenze, poco stipendio, poca valorizzazione delle donne. Ci sono dati che indicano come le donne siano più discriminate degli uomini, non è giusto, non c’è nessuna giustificazione. Ripeto, questo non è uno sciopero femminile, ma femminista, vogliamo l’unione di tutte le persone. È ora che ciò avvenga».