La prematura scomparsa di Paolo Brenni ha suscitato una profonda commozione nella comunità scientifica internazionale. Negli ultimi decenni la storia della scienza si è aperta allo studio delle modalità concrete di fabbricazione della conoscenza, all’analisi della sperimentazione, delle sue tecniche e dei suoi protocolli. Paolo Brenni ha dato un contributo fondamentale a questo nuovo approccio, grazie alla sua vastissima conoscenza teorica e materiale degli strumenti scientifici, e alla sua generosità.
È impossibile esaurire la biografia di Paolo in un semplice commento cronologico alla pur notevole bibliografia di scritti, o in una rassegna delle numerosissime collezioni di antichi strumenti scientifici che ha contribuito a riordinare, catalogare e restaurare. Le sue qualità intellettuali non potevano essere disgiunte dalla rarissima armonia tra intelletto e destrezza manuale, che si manifestava nella maestria con cui assemblava, smontava, riparava e restaurava gli strumenti scientifici più complessi.
Paolo Brenni nacque a Mendrisio il 20 marzo 1954 e, dopo la maturità classica a Lugano, ottenne una laurea in fisica sperimentale al Politecnico di Zurigo. Si avvicinò alla tecnica, alla scienza e al collezionismo anche grazie agli interessi di alcuni suoi familiari. Nel 1928 il nonno paterno aveva fondato a Melano la Tannini Ticinesi, una fabbrica di estratti tannici, essenziali per la concia delle pelli e la produzione del cuoio. Proprio qui Paolo era rimasto affascinato dai procedimenti tecnico-sperimentali. Come il nonno materno Claudio Capelli, medico chirurgo e appassionato di fotografia stereoscopica, precoce fu anche l’interesse per il collezionismo e le arti figurative dell’Ottocento.
Nel 1981, in occasione della fondazione a Pavia della Società Italiana degli Storici della Fisica e dell’Astronomia venivano organizzati due convegni, al secondo dei quali partecipava anche Paolo. Qui veniva a contatto con Gerard L’Estrange Turner, allora il massimo esperto mondiale di strumenti scientifici, che Paolo considerava suo mentore. Nel biennio successivo Paolo veniva chiamato a riordinare e restaurare a Pavia tutti gli strumenti della Sezione di Fisica del Museo per la Storia dell’Università. Già in questa prima fase della carriera Paolo adottava quel suo caratteristico approccio alle collezioni, che prevedeva l’installazione di un piccolo laboratorio di restauro nella stessa stanza che ospitava gli strumenti, dove ogni apparecchio veniva smontato, accuratamente ripulito, revisionato e rimontato. A questa disamina materiale seguiva la scheda catalografica poi confluita, nel 1990, in un lavoro scientifico più approfondito. Il lavoro a Pavia rimase fondamentale non solo per i risultati conseguiti ma anche per le durevoli amicizie intessute che sfociarono in importanti progetti scientifici, tra i quali la catalogazione della collezione Voltiana, e la collaborazione con il Museo Nazionale della Scienza e della Tecnologia Leonardo da Vinci di Milano.
Fu a Firenze, città rimasta per tutta la sua vita un punto di riferimento sia umano sia professionale, che la sua carriera prese una svolta decisiva. L’incontro con Mara Miniati e Paolo Galluzzi, al tempo rispettivamente curatrice e direttore dell’Istituto e Museo di Storia della Scienza (ora Museo Galileo), diede vita a una serie di iniziative che contribuirono a creare una collaborazione scientifica e umana ininterrotta. Nel 1984, Paolo venne incaricato dal Museo Galileo di restaurare e catalogare la collezione di strumenti scientifici antichi conservata presso la Scuola Tecnica per geometri G. Salvemini. Questa importante collezione, per lo più riferibile alla fisica sperimentale del XIX secolo, fu per Paolo un vero e proprio laboratorio scientifico che lo vide protagonista insieme ad Anna Giatti nell’attività della catalogazione, restauro, riallestimento e in importanti iniziative innovative rivolte alla sperimentazione didattica e alla formazione. Nello stesso intensissimo periodo, collaborava alle mostre promosse dal Museo Galileo, tra le quali Dal cembalo scrivano alla scrittura elettronica e Occhiali da vedere (1985), e alla catalogazione delle lenti, prismi e giochi ottici esposti nella mostra L’età di Galileo (1987).
Da questa febbrile attività gli interessi di Paolo subivano un imprinting che lo avrebbe accompagnato nei decenni successivi: l’interesse per le collezioni di strumenti e la loro valorizzazione storica; l’attenzione prosopografica per i costruttori; l’importanza attribuita al restauro; la realizzazione di cataloghi di alto profilo scientifico; l’attenzione a progetti espositivi; la contaminazione tra storia degli strumenti e storia della scienza e, non da ultimo, la costante esigenza di condividere le competenze acquisite sul campo con colleghi e giovani studiosi.
Se il soggiorno fiorentino delineò in modo preciso l’approccio storiografico e museologico maturato da Paolo nei decenni successivi, l’incarico ottenuto a Parigi presso il Centre de Recherche en Histoire des Sciences et des Techniques (1988-1991) costituì un’altra tappa fondamentale che gli permise di approfondire, tra gli altri, i suoi interessi per la storia dell’elettricità e per i costruttori francesi di strumenti di precisione. Queste importanti collaborazioni però non lo allontanarono mai dall’Italia, tanto che tra il 1992 e il 2000 ebbe un incarico di ricerca presso il Museo Galileo e nel 2001 divenne ricercatore del CNR distaccato presso la Fondazione Scienza e Tecnica di Firenze. A livello internazionale presero avvio le collaborazioni con il Musée des Arts et Métiers a Parigi, il Museum for the History of Science a Oxford, il Museum Boerhaave a Leida e il Museo de la Ciencias a Madrid e con gli osservatori astronomici di tutto il mondo. Negli ultimi anni si era generosamente prestato ad accompagnare le ricerche di giovani studiosi dell’istituto di storia e del centro di conservazione e restauro di Neuchâtel. Questa densa rete di prestigiose collaborazioni gli varrà l’incarico di Presidente della Scientific Instrument Society, di Presidente della Scientific Instrument Commission (2003-2013) e di Vicepresidente dell’International Union for History and Philosophy of Science (2009-2013). Numerosi sono i premi e riconoscimenti ottenuti, tra cui il Premio Paul Bunge della H. Jenemann Stiftung (2002), la medaglia della Scientific Instrument Society (2005) e la medaglia Marc-Auguste Pictet dal comitato della Société de Physique et d’Histoire Naturelle di Ginevra.
Nonostante la sua predilezione per l’Italia, Paolo amava la Svizzera e in particolare la sua città natale, Mendrisio. Durante le nostre conversazioni ricordava con orgoglio che Mendrisio era stata, alla fine dell’Ottocento, una delle prime città ticinesi a essere elettrificate, di qui l’appellativo forse leggendario di «ville lumière» del Ticino.
*Professore ordinario di Storia della Scienza all’Università di Bologna.