In barca, in bici, a piedi tra arte e storia

Pubblicazioni – In Passeggiate sul lago di Lugano Lorenzo Sganzini ci guida alla scoperta di trenta chiese e monumenti storici
/ 13.07.2020
di Ada Cattaneo

Se il mar Mediterraneo riunisce attorno a sé un bacino di paesi uniti da comuni fattori culturali ed ambientali, potremmo tentare di guardare al Ceresio nella stessa ottica. Certo, su scala diversa. Eppure, anche qui, una distesa d’acqua unisce territori divisi politicamente, ma con un innegabile nesso culturale. Un segnale di questa unità si potrebbe ritrovare proprio nei monumenti storici che si affacciano sulle sue acque.

Lorenzo Sganzini, nel suo libro appena uscito Passeggiate sul lago di Lugano (ed. Casagrande), sembra proprio applicare questa visione, in un esercizio di esplorazione del territorio imperniato sulle chiese che sorgono (più o meno direttamente) in riva al Lago di Lugano. Sono trenta le mete visitate dall’autore, scegliendo barca, bicicletta e cammino per raggiungerli. Tutti sono luoghi di devozione, con l’eccezione di tre tappe, fra cui spicca non a caso Villa Fogazzaro Roi ad Oria. Sganzini racconta come il progetto sia nato proprio dall’esperienza fatta in occasione della mostra da lui curata presso il Museo delle dogane svizzero nel 2018 – «Un piccolo mondo antico» – dedicata all’opera dello scrittore vicentino che sulle rive del Ceresio veniva in villeggiatura. Spiega Sganzini: «Proprio in quel periodo, per la preparazione della mostra, cominciai a girare con più attenzione in quelle zone della Valsolda e del lago che fanno da cornice alle vicende narrate da Antonio Fogazzaro. Ritrovavo i luoghi da lui descritti e decisi di cominciare a scriverne, sentendoli sempre più miei. È proprio da lì che ha preso corpo il libro che è ora in uscita».

Per distanziarsi dalla rischiosa categoria della «storia locale» l’autore ha messo in atto un continuo lavoro di rimandi esterni: «Per me uno dei grossi problemi da risolvere era come parlare di questi luoghi senza illudersi che siano l’ombelico del mondo. Uno spunto per aiutarmi ad affrontare la questione mi è venuto dalla mostra 14 artisti. Via Crucis che nel 2018 è stata organizzata presso il santuario della Madonna d’Ongero». In quell’occasione artisti contemporanei erano stati invitati a ripensare le cappelle che accolgono chi arriva su questa collina a poca distanza dal nucleo di Carona. Questa esperienza ha rappresentato per Sganzini uno schema valido, una chiave di volta per cominciare a parlare del patrimonio storico ticinese sempre con uno sguardo all’altrove. Questo gioco di contrappunti si nutre talvolta di rimandi letterari e cinematografici, ma spesso è l’arte contemporanea ad offrire nessi utili ad estrapolare i monumenti ticinesi dal loro isolamento.

L’arte del racconto nasce spesso dal sapere gestire il contrasto, la giustapposizione di elementi che ad una prima analisi appaiono inconciliabili. Così accade per la scelta di Sganzini di occuparsi prevalentemente di luoghi della fede cristiana, che convive con la sua limpida dichiarazione di ateismo, retaggio familiare ancor più che scelta privata. «Le chiese nei nostri territori sono i massimi depositari della storia, che pure si proiettano nel presente. Io sono attratto da questi luoghi. Percepisco la vertigine del tempo, la sua profondità proprio grazie alla spiritualità di simili edifici, a prescindere dalla confessione religiosa. Anche se una persona è non credente, la ricerca di una dimensione spirituale del sacro è possibile. Hermann Hesse è un caso esemplare di questo atteggiamento. Non era credente, ma più di tutti ha portato in superficie la dimensione spirituale delle nostre chiese, dei nostri paesaggi, rimanendone fortemente attratto». È proprio con un ricordo delle passeggiate di Hesse alla Madonna d’Ongero che si apre il libro. Un autore quest’ultimo che abbraccia nord e sud nel suo amore per il Ticino, mettendo nelle pagine dedicate ai nostri territori un esotismo ed insieme una spiritualità che forse non sempre noi riusciremmo a vedere.

Un’esperienza determinante per allenare lo sguardo di Sganzini sono state le lunghe tratte che ha percorso a piedi sulle grandi vie del pellegrinaggio. «La misura di un edificio si coglie anche nel modo in cui ci si arriva. Soprattutto in passato c’erano ragioni ben precise per edificare lungo un percorso. Ho cercato di cogliere quelle ragioni originarie. Chi le ha realizzate le raggiungeva in un modo ben diverso da oggi. Dalla Via Francigena, dal Cammino di Santiago ho imparato la lentezza. In Ticino ho cercato di applicare un uguale metodo con barca e bicicletta, oltre che a piedi. Come si potrebbe capire la struttura di Santa Maria dei Ghirli a Campione se si arriva dalla strada? Non si può cogliere la ragione d’essere di Sant’Antonio a Morcote se non si considera che era posta proprio all’imbocco del sentiero per Lugano».

Nel solco di quell’idea di «Lombardia elvetica», Sganzini condivide con il lettore la sua fascinazione per il Ceresio, cercando di guardare all’unità del territorio, al netto dei confini nazionali e delle obbligate rotte consuete. La matrice culturale che accomuna tutti i luoghi raccontati si propone come proposta per un contemporaneo turismo lacustre.