La parola dell’anno svizzera del 2022 è per l’italiano penuria. Lo ha stabilito una speciale giuria diretta, come ogni anno, dal Dipartimento di Linguistica applicata della Scuola universitaria professionale di Zurigo (Zürcher Hochschule für Angewandte Wissenschaften), che ne isola tre per ognuna delle quattro regioni linguistiche del Paese.
Nell’operazione di selezione nulla è lasciato al caso e la prescelta deriva da una serie di operazioni attente, che vedono in successione il ricorso a una banca dati lessicale della scuola che individua le venti parole più rappresentative per frequenza statistica, il vaglio successivo di una giuria di esperti che riduce le parole a una terna, un esame scientifico (diremmo sociolinguistico) da parte degli esperti, che ne stabilisce i contesti d’uso e il significato sul piano sociale. Una piattaforma interattiva e aperta raccoglie le segnalazioni su brani di discorso pubblico e proposte puntuali di parola, garantendo così anche un contributo fattivo e «dal basso» della comunità dei parlanti; l’idea è che particolare attenzione sia posta appunto al contributo collettivo, perché è da lì che verrebbe la sostanza delle parole intese come mentalità sociale sedimentata.
Così, come detto, penuria è la parola svizzera italiana dell’anno, accompagnata al secondo e al terzo posto di questa speciale classifica da invasione e da coraggio. L’iniziativa riguarda dal 2019 le quattro lingue nazionali; iniziata nel 2003 dapprima nella realtà svizzera tedesca; dal 2017 è raccolta anche la parola francese, dal 2018 quella italiana e, appunto, dal 2019 anche la parola romancia dell’anno. Per questo 2022 le altre lingue nazionali vedono al primo posto Strommangellage (carenza di energia) per il tedesco, boycotter per il francese, mancanza per il romancio.
Una prima considerazione può riguardare il fatto che tre delle quattro lingue svizzere promuovono tutto sommato la stessa parola, con il tedesco che specifica la carenza di energia ma forse solo perché questa lingua, si sa, riesce a condensare un concetto di tre parole in un solo termine, cosa che per questioni morfologiche non riesce alle altre lingue nazionali. La seconda osservazione è che il significato del termine allude non tanto a un pericolo presente quanto a una preoccupazione preventiva. Come succede tipicamente per le derive legate all’ambiente, ci si sta preoccupando per qualcosa che ci attende ma del quale non conosciamo la misura e le caratteristiche: potrebbe essere una cosa grave e devastante oppure qualcosa di più sopportabile, e in più non c’è certezza sui tempi. Intanto la mancanza di qualcosa, dopo la pandemia e la guerra è una preoccupazione nuova e un risultato comune a molte sciagure. Penuria è, volendo, anche il risultato di tutto quanto di negativo ci è capitato in questi anni: malattie che paralizzano il mondo, eventi bellici che limitano le risorse, siccità che ne impedisce la produzione. Infine, nel gruppo delle tre parole svizzere dell’anno in italiano, contiamo anche un avvenimento storico in un qualche modo vistoso e misurabile, invasione, e la reazione individuale e collettiva nei confronti di questo e di altri eventi, coraggio.
Al di là dell’esercizio accademico, che è comunque di lodevole qualità, l’abitudine all’individuazione di parole dell’anno ci permette di stabilire una sorta di barometro delle società e delle comunità. Parole come valigette di nozioni e contenuti che condensano mentalità, che raccolgono paure e ossessioni, che indicano soluzioni o atteggiamenti da assumere nei confronti dei mali del mondo. Su tutto, una concezione della quale la linguistica si è accorta da tempo: il fatto cioè che il valore delle parole va ben al di là del loro significato semantico nucleare; cariche di storia come sono, le parole sono spesso comode convenzioni per riassumere mentalità e, forse, per indicarci una via.