Informazioni

Numero d’emergenza
Tox Info Suisse:  
145.

Nerium Oleander
Aconitum
Euphorbia Cyparissias
Foglie di Colchico

www.toxinfo.ch

Il veleno nascosto nella natura

Botanica - La primavera porta a passeggiare tra i boschi e magari anche a raccogliere qualche pianta selvatica, ma attenzione a quelle nocive
/ 08.04.2019
di Marco Martucci, testo e foto

È bello andare per prati e boschi alla ricerca di piante selvatiche, preparare fresche e variopinte insalate, gustosi contorni, dolci, marmellate e originali condimenti. È anche un modo per fare del sano movimento e soddisfare, rispettando le leggi di protezione della natura, il nostro atavico istinto di raccoglitori. Ma la natura, si sa, non è solo buona: nasconde non poche insidie e, fra queste, le piante dalle quali è meglio stare alla larga. 

È vero che le piante velenose non mietono molte vittime e che i casi mortali sono rarissimi, ma ogni anno si registrano avvelenamenti e Tox Info Suisse, il centro svizzero di riferimento per domande sulle intossicazioni, riceve in media 2800 chiamate all’anno per le sole piante e, di queste, oltre 2mila riguardano bambini. 

Già agli inizi del Cinquecento Paracelso disse che è la dose a fare il veleno. Ma talvolta le quantità pericolose sono molto piccole. Ci vuole dunque prudenza e buona conoscenza delle piante pericolose, da non mangiare e, in certi casi, da neppure toccare. È impossibile passarle ora tutte in rassegna e una scelta s’impone. 

Fra le più apprezzate piante selvatiche di primavera, subito dopo il dente di leone o tarassaco (Taraxacum officinale), che non è tossico, troviamo l’aglio ursino (Allium ursinum) che qualche problema invece lo pone. Le foglie dell’aglio ursino, dal tipico odore e dal delicato sapore di aglio, sono confondibili con quelle di due piante parecchio velenose, il colchico (Colchicum autumnale) e il mughetto (Convallaria majalis) che talora crescono negli stessi ambienti. 

Il colchico fiorisce in autunno e i suoi fiori somigliano a quelli del crocus. In inverno sparisce e in primavera, da un bulbo sotterraneo, si sviluppano lunghe foglie verdi e il frutto. Tutte le parti della pianta contengono un potente veleno, la colchicina. La confusione delle foglie con quelle dell’aglio ursino ha già provocato in passato gravi avvelenamenti, alcuni anche mortali. Distinguerle non è difficilissimo: le foglie del colchico sono più lunghe e strette e soprattutto non odorano di aglio. Quelle del mughetto somigliano forse un po’ di più a quelle dell’aglio ursino ma sono meno tenere e neppure loro odorano di aglio. Anche il mughetto contiene pericolosi veleni, fra cui alcuni glicosidi che agiscono sul cuore. È noto il caso d’un bambino di cinque anni, morto per aver bevuto l’acqua da un vaso contenente un mazzo di mughetti. Si conoscono anche avvelenamenti dovuti all’ingestione dei rossi frutti del mughetto. 

Fra i tanti frutti rossi e colorati, molti sono ottimi e innocui, mentre alcuni sono invece velenosi. Un esempio: i frutti del cosiddetto «fior di stecco» (Daphne mezereum) curiosa pianticella legnosa dai sottili ramoscelli che, a fine inverno, prima di metter foglie, si decorano d’una bella fioritura profumatissima. Dai fiori, in estate, si formeranno gruppi di piccoli frutti rotondi, d’un bel rosso brillante che possono attrarre specialmente i bambini. Per fortuna hanno sapore amaro e bruciano in bocca per cui non se ne mangiano tanti. Ma anche il solo contatto con la pelle può essere pericoloso.

Rossi e attraenti sono anche i frutti, (erroneamente chiamati «bacche», perché si tratta di una conifera) del tasso (Taxus baccata), un bell’albero che troviamo anche nei nostri boschi e che viene spesso piantato nei parchi e nei cimiteri. Confusioni potrebbero avvenire fra i suoi germogli e quelli di abete rosso, innocui e raccolti per farne sciroppi. Il tasso può diventare un albero imponente ed è parecchio longevo. Tutte le sue parti sono molto velenose, tant’è che lo si è chiamato anche «albero della morte» ed è velenoso non solo per l’uomo ma, come non raramente succede per altre piante tossiche, anche per molti animali. Si raccontano aneddoti di cavalli legati all’ombra di un tasso durante un funerale e che, alla fine della cerimonia, sono stati ritrovati morti. Fece notizia, non molti anni or sono, la morte di uno degli orsi dell’allora Fossa degli orsi di Berna, cui un ignaro e incauto turista aveva offerto qualche ramoscello strappato da un tasso che cresceva lì attorno. Risultato: il tasso fu abbattuto e, comunque, anni dopo, gli orsi furono trasferiti non molto lontano in luogo più adatto. L’unica parte del tasso che si può mangiare senza pericolo è il rosso e dolcissimo arillo, il nome tecnico della polpa del frutto. I semi sono tossici ed è meglio sputarli, in nessun caso masticarli. Gli uccelli se ne cibano contribuendo così alla diffusione dell’albero: la polpa viene digerita e i semi attraversano indenni il tubo digerente uscendo poi con gli escrementi. 

Molto decorativi per la loro colorazione autunnale, sono anche i frutti del «cappel di prete» (Euonymus europaea), arbusto o alberello alto fino a sei metri, tossico in tutte le sue parti. Non sempre il pericolo è rappresentato dall’ingestione di foglie, frutti o semi. Talvolta basta il contatto con la pelle. Tutti conoscono le ortiche e ne apprezzano l’impiego in svariate ricette primaverili. L’effetto della loro «puntura» non è nulla se paragonato a quello di due altre piante che è meglio non toccare se non con la pelle ben protetta. Si tratta delle euforbie, soprattutto della più diffusa, l’euforbia cipressina (Euphorbia cyparissias), una non particolarmente vistosa piantina erbacea alta fino a 30 centimetri. Come tutte le euforbie contiene un latice aggressivo che, al contatto con la pelle provoca forte infiammazione e formazione di vesciche. Da temere in particolare il contatto con le mucose e gli occhi. Le euforbie coltivate sono piante che sarebbe prudente non tenere nei giardini dove ci sono bambini, nota che vale per tutte le piante velenose. 

L’altra pianta pericolosa per la pelle è il Pánace di Mantegazzi (Heracleum mantegazzianum), alta fino a tre metri con grandi fiori a ombrella molto decorativi, originaria del Caucaso, introdotta da noi in parchi e giardini e sfuggita fino a diventare una vera e propria specie invasiva, spesso in vicinanze di corsi d’acqua. È pianta fototossica: il contatto con la pelle seguito da esposizione al sole causa una grave infiammazione con formazione di vesciche, una vera e propria ustione difficile da guarire. I casi di adulti, bambini, e anche di animali, vittime di queste ustioni, si ripresentano ogni estate. La lista delle piante velenose è ancora molto lunga. Ricordiamo per concludere il ben noto oleandro (Nerium oleander) che provocò la morte di un gruppo di soldati di Napoleone che ne avevano adoperato i rami come spiedini. E, per le piante di montagna, l’acónito (Aconitum napellus) dai fiori blu che ricordano un elmo, una delle piante più velenose delle Alpi. Ma anche la bella e tipica «Rosa delle Alpi» (Rhododendron ferrugineum) è tossica. Non il suo miele, mentre è tossico quello di un altro rododendro che non vive da noi, il Rhododendron ponticum. Vasta è poi la schiera delle piante della famiglia delle Solanacee, cui appartengono patate, melanzane, pomodori e peperoni ma anche le pericolose e «magiche» mandragora, stramonio e belladonna.