Che cos’è la perfezione? Esiste davvero? Secondo Telmo Pievani, la perfezione non esiste, anzi: è un tranello della mente. In realtà la vita per definizione è intrisa di diversità, continua a evolvere ed evolvendo cambia. Nel suo ultimo libro, Imperfezione. Una storia naturale (Raffaello Cortina Editore, 2019), il filosofo della scienza ed evoluzionista ripercorre la catena di eventi che ci ha portato ad essere come siamo, presentandola come una serie di errori, sbagli, smottamenti, che però hanno avuto come risultato la nostra presenza su questo Pianeta.
Professor Pievani, partiamo da un dato semplice e piuttosto banale: noi esistiamo. Già questo ci porta spontaneamente a credere che l’universo si sia prodigato per fare in modo che questo miracolo potesse aver luogo. Scoprire che la nostra esistenza sulla Terra è in realtà il frutto di coincidenze improbabili rafforza questa opinione, ovvero l’idea che l’universo abbia un fine volto alla perfezione, che ci sia un disegno. In cosa sbagliamo?
In effetti è estremamente semplice arrivare a questa conclusione. Sono state fatte delle ricerche di psicologia che dimostrano che se si racconta una storia in cui sono successi eventi molto improbabili, come incidenti, coincidenze strane, che hanno portato a un esito di un certo tipo (per esempio il fatto che due persone si incontrino e si innamorino), il nostro cervello decodifica il tutto ancorandosi alla spiegazione del destino. «Doveva andare così». In realtà questo è un trucco del nostro cervello, una deviazione. L’universo che vediamo è l’unico che conosciamo. Ma la scienza ci permette di capire che noi homo sapiens non eravamo affatto necessari, siamo il frutto di una sequenza molto fortunata di eventi evolutivi che avrebbero potuto prendere un’altra direzione.
Nel suo libro troviamo subito un elemento sorprendente: la selezione naturale. E ci stupiamo un po’. A scuola avevamo imparato che la selezione naturale è magari spietata, ma assolutamente perfetta.
La selezione naturale, avendo avuto tanto tempo a disposizione, per il tramite di inciampi ed errori, è riuscita a creare degli organismi obiettivamente meravigliosi. Le ali degli uccelli, il mimetismo degli animali: cose bellissime, tant’è vero che noi stessi li copiamo. Se andiamo a guardare bene come funzionano le cose, ci accorgiamo però che la selezione naturale non è un ingegnere che pianifica e ottiene dei risultati ottimali, quanto piuttosto un artigiano che utilizza il materiale a disposizione. Ovvero l’esistente, che è il risultato della storia, delle condizioni climatiche variate nel corso del tempo. Fa di necessità virtù: per questo il risultato non è perfetto, bensì funzionale.
Un esempio?
Il fatto che camminiamo sulle gambe. Questo ci ha dato una serie di vantaggi indiscutibili. Ma siamo partiti da un quadrupede originario e quindi il nostro bipedismo è un mezzo disastro dal punto di vista meccanico: abbiamo la schiena che fa le curve, i nervi che si schiacciano, le ernie, lombalgie, sciatalgie, ecc. C’è un prezzo da pagare. E tante persone che soffrono di dolori e mal di schiena lo sanno bene.
Va bene, il corpo è imperfetto. Ma il cervello è un capolavoro. Vero?
Il cervello è un capolavoro per quello che è capace di fare, ma questo non significa che sia perfetto da un punto di vista funzionale. Rita Levi Montalcini lo diceva chiaramente con il suo linguaggio ottocentesco: il cervello è un «accrocco», il lavoro di un artigiano che mette insieme alla bell’e meglio materiali eterogenei. Noi leggiamo e scriviamo, proprio perché il nostro cervello è stato in grado di riutilizzare elementi che avevano altre funzioni prima, di tipo motorio, al fine di creare e decodificare dei testi. A ben vedere è un mago del riuso, del riciclo: e questo è possibile perché è molto plastico. È imperfetto dal punto di vista funzionale, ma proprio in virtù di questa imperfezione riesce a essere così creativo.
Mi sembra che il suo saggio sia incentrato sul tema dello sguardo. Il modo in cui guardiamo le cose ci porta a pensare che se esse hanno sortito un certo risultato, il merito è di un disegno preciso. Come si fa a rieducare lo sguardo?
Evitando il più possibile il senno di poi. Anche a scuola questo errore non va mai fatto: procedere a ritroso, spiegare le varie tappe che hanno portato alla situazione attuale partendo da quest’ultima, al fine di giustificare il presente. Se si fa così, sapendo come va a finire la storia, si è automaticamente portati a considerare la storia come una serie di tappe avente come fine l’essere umano. È un errore: l’evoluzione va guardata dal punto di vista del passato di per sé. Bisogna capire quali sono le categorie con cui guardiamo il mondo: noi usiamo tantissimo, per esempio, la categoria della perfezione. Ragioniamo sulla base di modelli, di norme, e da lì cerchiamo di capire qual è la deviazione rispetto a quell’ideale. Ma questo è un modo di ragionare rischioso e molto gerarchico. Il segreto dell’evoluzione è invece basato sulla diversità. A ben guardare, questo è un libro sull’imperfezione, un testo che va contro la nostra idea di perfezione.
Il libro affronta anche temi complessi, come quello dello straniero. Lei dice che la riluttanza verso l’accettazione del diverso è il residuo di un modo di pensare tribale. Come combattere questi pregiudizi?
Il nostro cervello si è evoluto in passato sulla base di un certo ambiente, il quale però col tempo è cambiato in modo significativo. Questo comporta un certo ritardo, e quindi talvolta accade che il nostro cervello sia sintonizzato ancora su adattamenti del passato e che fatichi ad aggiornarsi sulla situazione attuale, davvero molto diversa. Forse perché l’evoluzione neurologica è molto più lenta di quella culturale e di quella tecnologica. Sono stati fatti degli esperimenti che hanno dimostrato che il nostro cervello ha una predisposizione forte a prendere posizione molto velocemente sull’individuo che si trova di fronte. È come me o non è come me? È uno del mio gruppo o no? Queste sono le prime domande che il cervello si pone. Solo in un secondo luogo intervengono le aree corticali, che sono quelle più recenti e che tentano di modulare questa reazione. Questo conflitto neurale fa sì che a volte prevalga la prima istanza, a volte la seconda. Molto spesso, oggi, tristemente, vediamo una prevalenza di quelle parti meno mature e aggiornate. È un conflitto, la spia di un sistema imperfetto che non ha ancora trovato una risposta.
E su questo conflitto giocano certi discorsi che si sentono fare sempre più spesso in politica.
Le azioni di propaganda contro il diverso e lo straniero sono molto pericolose proprio per questo, perché agiscono su una parte molto profonda del nostro cervello: la paura.
Un’ultima considerazione: taluni, considerando che noi non siamo il risultato di un progetto, ma il risultato di una serie casuale di fattori, potrebbero lasciarsi andare al più bieco nichilismo. E in questo momento, di importanti lotte ambientali, il ragionamento rischia di essere non poco pericoloso.
Lo è. Ed è impostato male. Si dice sempre che l’uomo sta uccidendo il suo Pianeta, ed è un modo impreciso di guardare al problema. Il Pianeta si salverà: saremo noi a sparire. Quindi il dispetto lo stiamo facendo a noi stessi. E non è un dispetto di poco conto.