C’è chi sostiene che lo sport di punta faccia bene all’organismo. Personalmente non ne sarei così convinto. Le esperienze vissute su più fronti – più da osservatore che da protagonista – mi inducono a pensare il contrario, e cioè che di certo non mi pare faccia bene quello di punta. Infortuni, traumi, lesioni muscolari e ossee, disturbi dell’alimentazione che sfociano nell’anoressia o nella bulimia, danni psicologici a volte irreparabili, per non parlare di incidenti, a volte letali. Non si tratta di situazioni molto frequenti, ma neppure tanto rare.
Qualcuno potrebbe legittimamente obiettare che anche altri ambiti possono generare un’analoga serie di complicazioni. Vero. Oppure che, se le conseguenze dell’eccessivo carico sull’organismo si riducono a qualche dolore alla schiena, magari cronico ma gestibile con un costante trattamento fisioterapico, ma sull’altro piatto della bilancia c’è un gruzzolo milionario, magari qualche sacrificio supplementare al corpo lo si può richiedere.
Spesso, però, le complicazioni si verificano nell’ambito degli sport meno ricchi. Alcuni giorni fa Lisa Rusconi, ex capitana della Nazionale svizzera di ginnastica ritmica ha aperto il libro. In un’intervista rilasciata al quotidiano romando «Le Temps», e ripresa dai media di tutto il paese, ha denunciato le violenze, le umiliazioni, il mobbing subito per anni da parte delle sue allenatrici, al Centro Nazionale Sportivo di Macolin. Altre sue compagne di squadra l’hanno sostenuta, confermando la veridicità delle sue accuse, in altrettante interviste rilasciate ad altri organi di stampa.
In sostanza, queste ragazze, che hanno denunciato sia le violenze fisiche, le infinite ripetizioni degli esercizi strappate a suon di schiaffi, sia la pressione psicologica per indurle ad alimentarsi poco in modo da conservare un fisico esile e agile, non hanno inventato nulla. È tutto vero. Ciò che fa specie è che i loro precedenti appelli lanciati alla Federazione Svizzera di Ginnastica, e, nel caso di Lisa, anche a quella ticinese, siano stati sottovalutati e, in definitiva, ignorati.
Nel frattempo, le due allenatrici, entrambe provenienti dalla Bulgaria, sono state licenziate in tronco. Le massime istanze della ginnastica si sono pubblicamente scusate nei confronti delle loro atlete e hanno garantito che quanto è accaduto non dovrà ripetersi. Proprio mentre ci accingiamo a scrivere è annunciata, da parte della Federazione, una presa di posizione più articolata. Scagliarsi contro le allenatrici bulgare adducendo il fatto che hanno importato in Svizzera la loro cultura e il loro vissuto, sottintendendo quindi che le nazioni dell’est europeo primeggiano a livello mondiale poiché spremono e brutalizzano le loro ragazze, è quanto meno fuorviante.
I trionfi delle Farfalle, le splendide ragazze della Nazionale italiana, citate da Lisa Rusconi nella sua intervista, confermano che si può arrivare in alto, molto in alto, anche rispettando il corpo e la psiche delle atlete con le quali si lavora. Non dimentichiamo che nella ginnastica, sia ritmica, sia artistica, avviene una selezione precoce. Quindi allenatori e allenatrici si ritrovano a plasmare bambine (e bambini) tra i 6 e i 15 anni, con la speranza che dai 16 anni, ovvero dal momento in cui entrano a far parte dell’élite, possano ripagare con buoni risultati gli immani sforzi profusi. Sì, immani. E se ci fosse un aggettivo che enfatizza ulteriormente lo utilizzerei.
Non so quale sia l’onere settimanale delle ragazzine dell’Europa dell’est. In svizzera, dove la scuola fa qualche concessione ma non sconti eccessivi, una ginnasta di 15 anni che si trasferisce dal Ticino a Macolin per entrare a far parte dei quadri della Nazionale maggiore, trascorre almeno 25-30 ore sui banchi di scuola, almeno altrettante le passa in palestra. Nelle fasi di preparazione di un evento internazionale, le cifre lievitano ulteriormente. Ha senso tutto ciò? Sono portato a rispondere affermativamente, solo qualora queste ragazzine adolescenti siano in grado di reggere lo stress psicofisico con serenità e con gioia.
Da quanto si è letto, non sempre è così. Anzi. Se pensiamo che gli enormi sacrifici non vengono ripagati, né da compensi in denaro, né da risultati che consentano di calcare palcoscenici più prestigiosi, la risposta è no. Non ha senso rubare l’infanzia e l’adolescenza. A scanso di equivoci, vorrei sottolineare che stiamo parlando di un paese, la Svizzera, in cui la situazione è meno compromessa rispetto ad altri.
Nella ginnastica artistica, ad esempio, riscontriamo una longevità media superiore che altrove. Ariella Käslin ha combattuto fino a 24 anni. Giulia Steingruber, a fronte di alcuni infortuni con relative operazioni chirurgiche, a 26 anni suonati non ha ancora deciso di porre fine alla sua brillante carriera. In Cina, dove il bacino di reclutamento è pazzesco, vediamo delle bimbette di 16 anni, e 132 cm di statura, che per un anno, al massimo due, ti lasciano a bocca spalancata, poi spariscono dai radar. Rotte, scoppiate, scavalcate da altri scricciolini che spingono da sotto.
Per tornare a noi, credo che sia fondamentale il senso di responsabilità individuale e collettiva nei confronti di chi accetta di sottoporsi alle fatiche di discipline durissime come le due ginnastiche, ma ci metterei anche il pattinaggio artistico, ed il nuoto, dove però traumi e lesioni sono decisamente meno frequenti. L’adulto, che sia genitore, allenatore o dirigente, deve rendersi conto che ha a che fare con bambini e adolescenti. Non può quindi ignorare l’ABC del loro sviluppo psicofisico. Man mano che aumenta il carico di lavoro, i mezzi finanziari, anche se ridotti, devono essere utilizzati per ingaggiare un numero adeguato di professionisti di qualità: medici, fisiologi, terapisti, chinesiologi, nutrizionisti e, non da ultimo, psicologi dell’età evolutiva.
In sostanza, dall’ABC si deve passare alla conoscenza dell’intero alfabeto, se vogliamo che dietro il sorriso di una campionessa ci sia anche quello di una ragazza felice, serena, soddisfatta di aver fatto sacrifici e rinunce per praticare al meglio la disciplina sportiva prediletta.