Il trattamento del silenzio

Psicologia - Con il diffondersi dei social network è sempre più frequente che le relazioni amicali, amorose o di lavoro finiscano nel silenzio totale. Un comportamento che causa stress e forte malessere psicologico
/ 01.11.2021
di Stefania Prandi

Controlliamo lo smartphone con ansia, più volte al giorno, per vedere se arriva la risposta al nostro messaggio. Passa il tempo e l’attesa diventa snervante. Ci domandiamo quando abbiamo sbagliato e se c’è un modo per fermare quel silenzio forzato. Prima o poi succede a tutti: una persona che frequentiamo e con la quale abbiamo una relazione – amicale, amorosa o di lavoro – all’improvviso interrompe i rapporti, senza spiegare il motivo. Ci ignora, smettendo di parlarci oppure non rispondendo più ai messaggi. La parola inglese per indicare questo tipo di «evitamento» è ghosting (da ghost, fantasma), traducibile come «sparire». Ma ci sono altri termini per indicare lo stesso comportamento: isolamento, ostruzionismo e «trattamento del silenzio». Nonostante gli psicologi abbiano definizioni sfumate per ognuna di queste parole, sono tutte essenzialmente forme di ostracismo. Kipling Williams, docente di Psicologia alla Purdue University, in Indiana, ha studiato per oltre trentacinque anni gli effetti del «trattamento del silenzio», incontrando sia le vittime sia quanti lo hanno messo in atto. Secondo le sue ricerche, riportate in un articolo di Daryl Austin sul mensile statunitense «The Atlantic», due persone su tre, nel corso della vita, hanno usato questo metodo – per prendere le distanze oppure per vendicarsi – contro qualcun altro. 

Il ghosting può variare di intensità (con interruzioni parziali o totali della comunicazione) e di durata (da qualche giorno a diversi mesi oppure addirittura anni) e non è una novità. È sempre esistito ma, secondo alcuni studi, sembra essere aumentato con i nuovi modi di comunicazione, subendo un’accelerazione grazie alle occasioni offerte da internet. Ogni possibilità di connessione, infatti, implica l’eventualità di disconnettersi.Col ghosting, in genere, ci si «libera» di qualcuno conosciuto online sulle app di incontri. Sul web è tutto un fiorire di video e vademecum in inglese che spiegano quanto sia doloroso e frustrante essere inaspettatamente scaricati senza spiegazioni e senza possibilità di controbattere. Si fissano i messaggi inviati su WhatsApp e ci si domanda perché si è stati bloccati improvvisamente sui social network. Si è messi da parte nonostante ci fossero intesa e affiatamento (almeno così sembrava). Lo strappo risulta imprevisto anche se, secondo alcuni esperti, ci sono segnali premonitori che andrebbero colti, almeno per rendere il processo meno penoso. La caduta di interesse che anticipa il darsi alla macchia si manifesta con appuntamenti cancellati, tempi dilatati di risposta ai messaggi, testi scritti senza cura, pieni di refusi o ridotti alle sole emoticons. La vittima di ghosting soffre. In quanto esseri umani abbiamo bisogno del contatto sociale per la nostra salute mentale e l’isolamento può avere conseguenze gravi.

Il «trattamento del silenzio» causa stress e un malessere psicologico equiparabile al dolore fisico. Sul lungo periodo potrebbe rivelarsi un abuso, sebbene non sempre all’origine di questo comportamento ci sia la malafede. Alla base può esserci l’incapacità di gestire la rottura di un rapporto in modo diretto, per timore di un confronto. Il problema è che chi viene tagliato fuori si sente responsabile ed è portato a scusarsi, perfino se non ci sono ragioni reali. Il ghosting è un atto unidirezionale, contro il quale non sembra esserci molto da fare: bisogna accettarlo e distaccarsi emotivamente il prima possibile. Insistere è controproducente e aumenta lo sconforto.Il «trattamento del silenzio» si verifica anche all’interno di una famiglia, tra genitori e figli – capita che cominci nell’infanzia, come punizione per bambini o adolescenti – oppure tra moglie e marito. In un articolo pubblicato sul sito della Prude University, Kipling Williams racconta il caso di una moglie che, in seguito a una discussione apparentemente di poco conto, è stata completamente esclusa dalle conversazioni col marito, un rapporto malato finito soltanto quando l’uomo è morto. Un altro esempio citato da Williams è quello di un padre arrabbiato con il figlio adolescente al quale aveva smesso di parlare senza più riuscire a riprendere il dialogo, pur essendo cosciente del male inflitto al ragazzo.

Si tratta di forme di controllo che rendono impotenti, provocando irritazione, umiliazione e senso di colpa. Anche chi le mette in atto, però, non è esente dalle conseguenze negative. Per portare avanti il mutismo forzato bisogna ribadire ogni giorno la propria scelta, rimuginando sul motivo scatenante e finendo per vivere in uno stato costante di rabbia e negatività. Inoltre, è difficile uscire dalla spirale perché ripetere un’attività tossica, nonostante se ne conoscano i danni, crea dipendenza. In certi casi, senza un aiuto esterno, diventa impossibile cambiare, ci si trova imprigionati in «sabbie mobili psicologiche». L’ostracismo si manifesta anche in modi parziali: qualcuno esce dalla stanza nel bel mezzo di una conversazione, un amico a scuola guarda dall’altra parte quando lo si saluta oppure un collega, in un thread di messaggi, risponde ai commenti di tutti evitando solo una persona. Venire ostracizzati sul lavoro significa essere esclusi dagli eventi sociali e dai processi decisionali. L’atteggiamento può degenerare in bullismo. Come viene spiegato in un articolo di «Psichology Today», si tratta di un «non comportamento», un’aggressione mascherata e sulla quale è difficile intervenire.

Spesso le vittime non sono i lavoratori più arroganti e aggressivi ma quelli che, con coraggio, esprimono pareri impopolari. Chi si trova messo all’angolo prova angoscia, seguita da collera ed è portato a reagire perdendo la pazienza. L’«evitamento» esaspera, scatenando l’aggressività. La risposta, però, deve essere improntata alla calma. È importante mantenere il controllo sugli altri aspetti della propria vita, dagli hobby alle attività culturali, e continuare a coltivare i rapporti con i colleghi bendisposti.