Il tempo è un vicolo stretto

A misura d’uomo – Il tempo esiste? È una semplice convenzione utile per coordinarci o qualcosa con una natura psicologica più complessa? Comunque sia domina le nostre esistenze
/ 27.12.2021
di Massimo Negrotti

C’è un problema che sia la filosofia sia la scienza non hanno mai risolto definitivamente ed è quello del tempo. In particolare, il quesito fondamentale, che rimane sospeso, è: il tempo esiste oppure no? A tutti noi pare ovvio che la risposta debba essere positiva, ma è anche vero che nessuno di noi sarebbe in grado di dimostrarlo persuasivamente se non attraverso strumenti, come gli orologi, che, in realtà, misurano movimenti nello spazio. Questa circostanza ha consentito a molti studiosi di sostenere la tesi secondo la quale il tempo non sarebbe altro che una convenzione, utile per coordinare le nostre azioni ma, di per sé, non dotato della stessa esistenza che caratterizza non solo lo spazio ma anche, per esempio, il calore o il magnetismo, la gravità o la luce e così via. Le complesse tesi di pensatori come Aristotele o Einstein, Agostino o Bergson, tutti impegnati nella ricerca della «essenza» ultima del tempo, hanno comunque posto in evidenza sia il carattere convenzionale del tempo sia la sua natura psicologica. In effetti in ambedue i casi il tempo indica una trasformazione delle cose che possono essere esterne a noi, come il giorno o la notte, oppure eventi soggettivi proprio come quando diciamo «qui il tempo non passa mai» oppure quando, al contrario, adottiamo l’espressione faustiana «attimo, fermati, sei così bello!» o quella virgiliana «Tempus fugit». Che sia una sorta di contenitore oggettivo delle nostre azioni o che costituisca una convenzione disponibile alle nostre mutevoli interpretazioni quotidiane, di fatto il tempo paradossalmente domina le nostre esistenze pur mancando, alla fine, di una sua propria sicura esistenza.

Ad ogni modo, da almeno cento anni il tempo ha assunto un ruolo da protagonista centrale nella vita delle comunità umane e degli stessi individui poiché la numerosità e la frequenza delle relazioni sociali, professionali o meno, sono oggi assai più intense che in passato e, per non creare caos, devono essere coordinate nello spazio e, appunto, nel tempo. Abbiamo così a che fare con un enorme mosaico di appuntamenti, scadenze, attese, previsioni e calendari che esigono una puntualità e un rigore di variabile rilevanza ma che tutti noi, sia che aderiamo ad una definizione del tempo come convenzione sia che lo vediamo come realtà oggettiva, auspichiamo siano rispettati.

Ma c’è molto di più, perché le stesse nozioni che la scienza e la tecnologia trasmettono alla cultura, stanno proponendoci una «visione» del tempo, ma anche dello spazio, che nei secoli passati era stata solo sfiorata. Da un lato l’astronomia e gli stessi viaggi spaziali ci forniscono misure di distanze gigantesche con molti zeri così come la cosmologia ma anche la paleontologia ci descrivono intervalli temporali in cui dominano i miliardi o i milioni di anni. Dall’altro, fisica ed elettronica indicano e trattano unità di tempo, ma anche di spazio, in senso opposto, fatte spesso di microsecondi (milionesimi di secondo) e nanosecondi (miliardesimi di secondo) sulla cui base, si badi bene, non si sviluppano solo teorie ma anche dispositivi ormai di uso comune, come i personal computer, i telefoni cellulari e mille altre macchine in uso nelle professioni più diverse.

Sia nei confronti delle distanze spaziali o temporali più grandi sia nei riguardi di quelle più piccole, l’essere umano è decisamente impreparato. Nessuno riesce infatti a farsi un’idea, per così dire, «dal volto umano» di cosa siano due o tre miliardi di anni e nemmeno riesce ad apprezzare, sul lato opposto, la realtà di un nanosecondo. In ambedue i casi, di fatto, noi parliamo di quantità «enormi» (o enormemente piccole), cioè «fuori norma» dove la norma è ovviamente quella umana. Senza strumenti, più o meno sofisticati, che rilevino e misurino il trascorrere delle trasformazioni e aiutino a calcolarle, noi continueremmo a guardare ad una intera giornata come fatta di 24 ore senza alcun bisogno di concepirla come l’insieme di 8400 secondi o di 86400000 millesimi di secondo. Né sarebbe stimolante, per i nostri studenti, sapere che un’ora di lezione è fatta di 3600000000000 nanosecondi.

La nostra esperienza quotidiana, insomma, si colloca in una sorta di vicolo stretto, una nicchia per noi confortevole, premuti da un lato e dall’altro da realtà misurabili ma che, a tutti gli effetti, immaginiamo come veri e propri territori lontani e sconosciuti, che non ci appartengono. Anche per il tempo in definitiva adottiamo una strategia «a misura d’uomo» e la presa d’atto della possibilità di andare oltre i confini per noi «normali», per esempio accettare l’idea che in un secondo possano svolgersi azioni, in natura ma anche in vari dispositivi tecnologici, tanto complesse quanto quelle che percepiamo chiaramente in un intervallo di dodici ore, può talvolta persino generare angoscia. La stessa, in fondo, che ci prende quando dobbiamo prendere atto di fenomeni come gli atomi, vari microbi o virus la cui dimensione non è compatibile con la nostra vista.

A questo punto, riprendendo in considerazione il quesito da cui siamo partiti circa l’esistenza o meno del tempo, dobbiamo riconoscere che questa dimensione ha comunque una pregnanza notevole e che la sua percezione come qualcosa di soggettivo deve sicuramente cedere le armi di fronte alla enormità di realizzazioni che una sua accettazione consente. Sicuramente convenzionale sul piano tecnico della misurazione, la nostra nozione del tempo consente, in altre parole, di agire in coordinamento da un lato con la natura e dall’altro con le nostre comunità. In breve, può darsi che il tempo non esista, ma è certamente valsa la pena inventarlo.