Un quadrato inscritto in un cerchio. Le opere di Mario Botta si sono sempre misurate con la geometria. In quest’ultimo lavoro – il Teatro dell’Architettura di Mendrisio – la sfida con la geometria è stata alta. Un grande cilindro, che ospita uno spazio quadrato a tutt’altezza.
La sfida consiste, innanzitutto, nell’adozione della figura cilindrica, una figura non orientata e perfetta, che è molto difficile interrompere, bucare, per formare l’ingresso. E poi consiste nell’inserimento nel cerchio di uno spazio quadrato, che provoca dei ritagli dalla forma irregolare, spazi formati dalla sovrapposizione delle due figure, che è altrettanto difficile utilizzare razionalmente.
In quest’opera, Botta ha lavorato per «riduzione» del linguaggio, anche rinunciando ad alcuni dettagli che spesso distinguono la sua architettura, conferendole riconoscibilità. L’essenzialità raggiunta nel Teatro è una lezione per gli studenti dell’Accademia, su come un lungo impegno di affinamento formale può produrre spazi ai quali non si può togliere né aggiungere aggettivi architettonici, senza comprometterne il valore d’uso. Il volume del tamburo è stato aperto con pochi tagli sapienti, che orientano la sua figura rispetto al contesto, e il grande spazio interno è delimitato da superfici perimetrali colorate di bianco collocate in posizione alternata, che gli conferiscono un’atmosfera dinamica.
L’ispirazione originaria del lavoro di Botta all’opera di Louis Kahn, che soprattutto nelle prime opere era dichiarata esplicitamente, qui viene rinnovata con una freschezza senza mediazioni. L’insegnamento del maestro americano torna come riferimento forte e chiaro, necessario in una fase di disorientamento e confusione dei linguaggi, che ha pervaso anche l’adiacente scuola di architettura.
Il Teatro è uno spazio per la scuola che Botta ha creato vent’anni fa, e che oggi ha bisogno di riscoprire e rinnovare le sue ragioni. L’architettura elementare ed eloquente del Teatro, comprensibile a tutti e connessa così fortemente al luogo, è stata concepita per parlare alla scuola, per indicare – con la solidità dell’impianto sia concettuale che murario destinato a resistere al tempo e alle mode – che il compito alto dell’insegnamento dell’architettura è di formare la coscienza della responsabilità sociale del mestiere.
Nei vent’anni trascorsi dalla sua fondazione, l’Accademia di Mendrisio ha indubbiamente costruito un prestigio da scuola di eccellenza dell’architettura svizzera, insieme ai Politecnici di Zurigo e di Losanna. La sua configurazione edilizia si è oggi arricchita del Teatro dell’Architettura e tra breve saranno iniziati i lavori del nuovo edificio per la didattica. La nuova sede del Dipartimento Ambiente Costruzioni e Design della SUPSI – presso la stazione FFS di Mendrisio – è già in cantiere e aprirà interessanti prospettive di confronto e collaborazione tra percorsi didattici e figure professionali diverse della cultura della costruzione.
In questa fase di crescita della scuola, il tema del profilo dell’architetto diplomato all’Accademia, del carattere della sua formazione rispetto al destino professionale, si pone come centrale, perché indubbiamente gli obiettivi originariamente dettati da Mario Botta e da Aurelio Galfetti hanno subìto una fase di progressivo appannamento. L’Accademia è stata fermamente voluta in Ticino per trasformare la straordinaria carica innovativa dell’architettura ticinese – che, tra gli anni 60 e gli anni 80 del secolo scorso, ha fatto conoscere nel mondo questa terra e suoi architetti costruttori – in ricerca ed elaborazione culturale da trasmettere alle nuove generazioni. L’«architetto del territorio» era la formula efficacemente espressiva di un architetto dalla formazione «generalista», interdisciplinare, non specializzata, e con una forte inclinazione culturale umanista. Una inclinazione che, secondo i fondatori, mancava alla scuola zurighese che aveva formato la maggior parte degli architetti ticinesi. Il legame con la realtà territoriale, lo studio e la conoscenza della sua storia e della sua geografia fisica e sociale conferivano a questa formazione la capacità di criticare la condizione esistente per migliorarla e, quindi, la consapevolezza del ruolo civile dell’architettura.
La storia dell’Accademia si è arricchita, fin dall’inizio, del contributo di docenti provenienti dal resto della Svizzera e dal mondo intero, costruendo una scuola in grado di offrire percorsi didattici ricchi di suggestioni e diversità, evitando sempre una possibile deriva provinciale.
Nel tempo, la presenza di docenti ticinesi di ruolo si è molto assottigliata, anche se negli ultimi anni la direzione ha invitato a insegnare molti tra i migliori giovani architetti del Cantone. Di fatto, l’«architetto del territorio» ha ancora un peso nella formazione accademica, ma esso non appare come prevalente. La mostra dei progetti di diploma, organizzata alla fine di ogni anno accademico, consente di registrare come diversi studenti concludano il loro ciclo di studi con progetti di dimensione impegnativa e dalle immagini spesso attrattive e visionarie, che tuttavia propongono temi «altri» rispetto alla complessità delle questioni reali con le quali dovranno poi criticamente confrontarsi e per affrontare le quali devono essere intellettualmente attrezzati. Il tema più attuale e importante che anima i dibattiti in corso nelle città europee, la «rigenerazione urbana» – cioè le strategie di riscatto dalle condizioni di degrado di tante parti delle città e del territorio attraverso la cultura del progetto – sembra assente in diversi progetti.
In questo scenario, il Teatro dell’Architettura di Mario Botta indica la necessità di imboccare una direzione didattica e di ricerca che recuperi, aggiornandola alle elaborazioni culturali più recenti e registrando le condizioni territoriali più attuali, la tensione ed il realismo critico che distinguevano i programmi originari. L’Accademia ha solo vent’anni, è una scuola giovane, ed è inevitabile che il suo percorso non sia lineare. Il Teatro, gestito da un’apposita Fondazione autonoma presieduta da Botta, è pensato come il luogo delle esposizioni, degli incontri e del confronto pubblico, aperto alle altre istanze esistenti sul territorio. Un luogo capace di favorire e ospitare relazioni tra la cultura architettonica e le questioni che animano una società che continua a trasformarsi.