Il sogno delle astronaute

Donne e scienza – La partenza di Samantha Cristoforetti e i meriti femminili nella storia delle missioni spaziali
/ 06.06.2022
di Loris Fedele

I tempi sono maturi per una vera parità tra uomo e donna nei lavori ad alto livello in campo scientifico e tecnico? La domanda si è posta di recente alla luce di una polemica sulla partenza dell’astronauta Samantha Cristoforetti per la Stazione spaziale internazionale (ISS). Tutto è nato da una fotografia apparsa sul sito web ilmessaggero.it accompagnata da una frase provocatoria: «Ragazze, quando vi dicono che dovete scegliere tra carriera e famiglia, mostrate loro questa foto. Vale più di mille parole». La foto ritraeva Cristoforetti che da un furgoncino saluta i figli, di 1 anno e 5 anni, in braccio al marito e all’amico astronauta Luca Parmitano che, ovviamente, restavano a terra. I social si sono scatenati, criticando una mamma che lascia per diversi mesi i propri figli piccoli per andare nello spazio. Sono piovute domande all’astronauta sulla gestione della famiglia. Cristoforetti in conferenza stampa aveva già risposto di avere un ottimo partner e aveva aggiunto: «Siamo molto grati ai nostri compagni e compagne per gestire la casa quando siamo assenti a inseguire il nostro sogno».

Al di là delle sterili polemiche, o forse proprio per queste, la vicenda è stata una grande opportunità per mostrare che i tempi stanno cambiando ma che la mentalità di molte persone non sta mutando tanto velocemente quanto i tempi. Soprattutto se si tratta di giudicare una donna che opera in contesti tradizionalmente giudicati maschili. Di fatto nessuno ha mai chiesto a Luca Parmitano, che sulla Stazione spaziale c’è stato ben due volte e per parecchi mesi, se si fosse sentito in colpa nei riguardi della moglie americana e delle due figlie lasciate a casa.

Abbandoniamo la polemica e ricordiamo che, con tutti i mezzi audiovisivi a disposizione, già da anni è possibile per il partner seguire quotidianamente da casa il lavoro dell’amato/a sulla ISS. Abbiamo avuto modo di seguire nel 2006, per la RSI, una situazione del genere, vissuta a terra durante una missione. Michael Lopez-Alegria, astronauta americano di origini spagnole, aveva lasciato temporaneamente la moglie Daria e il figlio Nicolas di 7 anni per passare oltre 6 mesi sulla Stazione spaziale internazionale. Daria Lopez-Alegria è svizzera. Laureata in fisica a Ginevra, aveva lavorato diversi anni per l’Agenzia spaziale europea. Considerata la lunga assenza di Michael aveva deciso di lasciare Houston, dove vivevano, per passare la durata di un anno scolastico in Svizzera, a Ginevra, dove abitavano anche i suoi genitori. Eravamo andati a trovare Daria. A casa aveva un secondo televisore sintonizzato su un canale dedicato della Nasa Tv, che trasmetteva in diversi momenti della giornata le immagini in diretta dalla ISS. In più la Nasa le aveva fornito un telefono speciale con il quale, a ore non sempre prevedibili, tuttavia almeno una volta al giorno, i familiari potevano parlarsi. Mentre eravamo lì arrivò una telefonata di Michael. Durò meno di 5 minuti, il tempo della copertura satellite, poi la linea fu tagliata. Per quel giorno finiva così: gioia e rassegnazione si mescolavano. Daria aveva anche la possibilità di un contatto e-mail col marito. Oggi i collegamenti e le possibilità di contatto sono sicuramente migliori.

Un altro ideale contatto col padre e marito avveniva quando periodicamente la ISS sorvolava la Svizzera. Esiste un sito che indica esattamente ora, posizione e tempo del possibile avvistamento della Stazione spaziale internazionale per cui, se il passaggio succede quando è buio e non ci sono nuvole, si può vedere il suo puntino brillante percorrere un arco nel cielo. Un appuntamento che Nicolas non perdeva, accompagnandolo da un sonoro «ciao papà» gridato dal terrazzo di casa.

Torniamo ora alle scienziate di successo, rimaste a lungo nello spazio lasciando a casa il marito, partendo dalla moscovita Yelena Kondakova. Nel 1995-96 restò sulla stazione spaziale russa Mir per 169 giorni. Ingegnere di un’alta scuola tecnica, fu la prima donna in assoluto a fare un volo di lunga durata. Era sposata con l’astronauta Valeri Ryumin, allora in attività e di 18 anni più anziano. Ebbero una figlia. Diventata «Eroe della Federazione russa» Yelena Kondakova fu poi eletta nel Parlamento.

Se l’avventura nello spazio è stata per lo più in mano agli uomini, soprattutto perché cominciò con astronauti e cosmonauti tutti militari, le poche donne riuscite a parteciparvi si sono spesso imposte all’attenzione mondiale. Fu il caso, per esempio, della francese Claudie Haigneré. Talento precocissimo: maturità conseguita a 15 anni, quinto anno di Medicina a 20. Come specialista in reumatologia e in fisiologia neurosensoriale, Haigneré lavorò per 6 anni in un ospedale parigino e come ricercatrice al Centre national de la recherche scientifique (Cnrs). Divenuta astronauta del Centro francese e in seguito dell’Agenzia spaziale europea, nel ’96 effettuò un primo volo di 16 giorni sulla stazione spaziale russa Mir. Due anni dopo seguì a Mosca l’istruzione completa per diplomarsi ingegnere di bordo. Con questa formazione sarebbe diventata nel 2001 la prima donna a salire sulla Stazione spaziale internazionale. Sposata e con una figlia, da ex-astronauta Haigneré entrò in politica e nel 2002 ottenne la prestigiosa nomina di ministra della ricerca e tecnologia del governo francese, poi nel 2004 di delegata agli affari europei. Dal 2009 presiede La città delle scienze e dell’industria di Parigi.

Per avere successo, l’impegno richiesto alle donne è sempre stato maggiore rispetto ai colleghi maschi. Nel giovane campo dell’astronautica, alla caccia di talenti di entrambi i sessi, l’Agenzia spaziale europea sta cercando di sottolineare i meriti femminili. Nel marzo dello scorso anno, in occasione della giornata della donna, ha segnalato al pubblico il nome di 5 donne che all’interno dell’Agenzia ricoprono ruoli importanti. Non è sempre stato così. Nel 2016, grazie a un film di successo tratto da un libro (Hidden Figures, nella titolazione italiana Il diritto di contare) tutti abbiamo scoperto che per mandare il primo americano in orbita e l’uomo sulla Luna la Nasa si avvalse dell’eccellente lavoro dietro le quinte di tre sconosciute donne di colore: Katherine Johnson, Dorothy Vaughan e Mary Jackson, tutte matematiche che lavoravano nel principale Centro di calcolo dell’Agenzia spaziale americana.

Nel 1961 l’Unione Sovietica era riuscita a mandare il primo uomo nello spazio. Le tre donne ebbero un ruolo fondamentale nel riscatto americano: in particolare Johnson che, da sola e in tempi record, verificò e corresse i parametri di rientro per la capsula di John Glenn, in orbita nel 1962, che erano stati calcolati con il primo grande computer del Centro. Johnson avrebbe poi calcolato anche le traiettorie per le missioni lunari Apollo 11 e Apollo 13. Erano gli anni ’60 ma solo nel 2015, dopo l’uscita del libro che la ricordava, Katherine Johnson a 97 anni ottenne da Barack Obama una alta onorificenza e le venne intitolato un importante centro di ricerca della Nasa. È morta a quasi 102 anni nel 2020.