Distruggere un tumore usando le «armi» del nostro sistema immunitario, opportunamente stimolato e potenziato: è l’obiettivo dell’immunoterapia dei tumori, una risorsa in più per l’oncologia e che integra le altre forme di terapia. Il punto sulla situazione e le prospettive dell’immunoterapia oncologica è stato fatto in un forum organizzato dalla Fondazione Ibsa in occasione del recente Congresso internazionale sui linfomi maligni, tenutosi a Lugano. Ne abbiamo parlato con uno dei relatori: Federico Caligaris Cappio, direttore scientifico dell’Associazione Italiana per la Ricerca sul Cancro (Airc).
Professore, il sistema immunitario (SI) ci protegge da forme di vita estranee e potenzialmente pericolose come batteri e virus: questa funzione riguarda anche la difesa dai tumori?
Sì, anche se le cellule tumorali non sono totalmente estranee come lo sono i microrganismi: le cellule tumorali sono il risultato di mutazioni, cambiamenti in alcuni geni tali da determinare quell’entità che è il cancro, una specie di «istituzione degenerata» rispetto alla normale struttura dell’organismo, il cui fine è sopravvivere e crescere mettendo in pericolo la vita dell’individuo stesso.
Contro il cancro, il SI usa gli stessi meccanismi che utilizza contro virus e batteri?
I meccanismi sono gli stessi anche se il tumore, proprio perché vuole crescere e sopravvivere, usa diversi sistemi per contrastare la sorveglianza e l’azione aggressiva del SI nei suoi confronti. Il SI può distruggere le cellule tumorali all’inizio del loro sviluppo: il problema si pone quando, grazie ai vantaggi dei meccanismi intrinseci di sopravvivenza del cancro, il numero di cellule tumorali è tale da contrastare o rendere inefficace la capacità di difesa del SI.
Quali sono le strategie di difesa del tumore verso il SI?
Tra i diversi, c’è la strategia di esaurimento delle funzioni del SI: le cellule tumorali sono in grado di produrre sostanze chiamate citochine che esauriscono la capacità di funzionamento e di difesa dei linfociti, cioè le cellule del SI. Inoltre, le cellule cancerose hanno sulla superficie delle proteine specifiche, gli antigeni tumorali: i linfociti del tipo T hanno sulla loro superficie altre proteine capaci di legarsi agli antigeni tumorali formando una specie di ponte chimico (la sinapsi immunologica) che permette al linfocita di riconoscere quella cellula come cancerosa e aggredirla. Ebbene, in molti tumori, particolarmente in quelli linfoidi, il ponte si forma ma non funziona e il linfocita non si attiva.
E poi il tumore sa essere a volte molto scaltro, subdolo…
Sì, può camuffare le sue cellule, farle sembrare normali e tali da non richiedere il riconoscimento e l’eliminazione da parte del SI. I linfociti T – nel corso del loro incessante lavoro di controllo – devono capire se attaccare una cellula perché anomala oppure risparmiarla se invece non lo è. Questo controllo si esercita attraverso segnali di riconoscimento sulla superficie della cellula, chiamati immune checkpoint. Diversi tipi di tumore sanno fabbricare e mettere sulla loro superficie delle antenne che interagiscono con gli immune checkpoint dei linfociti T e li ingannano perché trasmettono il segnale che quella cellula (la tumorale) non deve essere eliminata.
Dalla conoscenza dei meccanismi che permettono al tumore di evitare il controllo del SI derivano i farmaci usati nella immunoterapia oncologica?
Esattamente. Nel caso degli immune checkpoint ingannati dal tumore, sono stati realizzati farmaci che impediscono questo fasullo riconoscimento e stimolano il linfocita T a reagire contro il tumore. Un esempio è quello dei farmaci inibitori usati con ottimi risultati nei pazienti con melanoma metastatico, un tumore della pelle la cui gravità è stata nettamente ridotta da questi farmaci.
Quindi l’immunoterapia è già una realtà.
Oltre al melanoma, l’immunoterapia è utilizzata con successo in tumori del sistema linfatico come i linfomi follicolari e a grandi cellule e nelle recidive del linfoma di Hodgkin. Più problematico è invece il trattamento dei tumori solidi come quelli del polmone, del colon e della vescica: anche se non abbiamo ancora conoscenze sufficienti in proposito, sono in corso molte ricerche e sperimentazioni cliniche anche riguardo ai tumori solidi.
L’immunoterapia è un’alternativa alla chemioterapia? Ha meno effetti collaterali?
Non è una alternativa: per esempio nel tumore della mammella la chemioterapia è efficace. L’immunoterapia può essere complementare alla chemioterapia, ma non sostitutiva e occorre valutare se, quando e come utilizzarla. L’immunoterapia si inquadra nel moderno concetto di «medicina personalizzata» che sceglie, tra le diverse possibilità terapeutiche a disposizione, le combinazioni più adatte per quella malattia e quello specifico paziente. Anche l’immunoterapia espone ad effetti indesiderati che, ad oggi, sembrano meno importanti rispetto a quelli provocati dalla chemioterapia.
Se mi vaccino contro una malattia, per esempio la poliomielite, il SI – grazie alla cosiddetta «memoria immunitaria» – riconosce il virus specifico e lo distrugge se dovesse infettarmi. Anche nel caso dei tumori il SI possiede questa memoria?
Purtroppo no, le cellule tumorali sono estremamente mutevoli, cambiano velocemente le loro caratteristiche. Perciò, se somministro un’immunoterapia contro un tumore e questo si riforma, devo riprendere la terapia.
È per questo motivo che non è possibile realizzare una vaccinazione che protegga dai tumori?
Ci sono già vaccini efficaci per prevenire in modo indiretto i tumori. Il vaccino contro il Papillomavirus e il virus dell’epatite C prevengono rispettivamente i tumori del collo dell’utero e del fegato provocati da quei virus. Molto più difficile e – in base a ciò che sappiamo, perlomeno prematura – è l’idea di un vaccino per prevenire direttamente i tumori. Esistono forme pre-leucemiche e mielomatose che in alcuni casi possono evolvere in tumori veri e propri con estrema lentezza, anche nell’arco di un trentennio: in una situazione di questo genere, il ricorso a una possibile vaccinazione preventiva pone una questione non solo scientifica ma anche etica e organizzativa. È una questione complessa e, con le attuali conoscenze, difficile da affrontare realisticamente.