Anche se nell’immaginario collettivo evoca cattivi pensieri, derivati da retaggi freudiani oppure da condizionamenti religiosi, il senso di colpa è importante per i bambini. Sentirsi in colpa è sicuramente scomodo: è l’equivalente emotivo di indossare una giacca con le tasche piene di pietre. Chi vorrebbe infliggere una pena del genere a un bambino? Eppure è un’emozione importante da conoscere e da esplorare. Negli Stati Uniti e in Canada, come racconta la giornalista Libby Copeland in un recente articolo del mensile «Atlantic», alcune ricerche stanno rivalutando la funzione sociale dello sviluppo del senso di colpa nei più piccoli. Tra le studiose che si occupano di questo tema c’è Amrisha Vaish, ricercatrice in Psicologia all’Università della Virginia. «In genere pensiamo alla colpa come a un’emozione negativa perché ci sentiamo male quando la proviamo» spiega Vaish ad «Azione». Ma come molte emozioni non piacevoli, ad esempio la paura e la rabbia, può avere funzioni positive. «Quando ci sentiamo in colpa per avere fatto del male a qualcuno, ci focalizziamo sul danno che abbiamo causato e questo ci motiva a rimediare e a cercare di sistemare la relazione che abbiamo incrinato».
Anche se è difficile stabilire con esattezza l’inizio del senso di colpa, l’età più plausibile sembrano i tre anni. Vaish e il suo team hanno analizzato cosa succede quando i bambini di tre anni rompono inavvertitamente la torre giocattolo di qualcun altro. Dalle osservazioni risulta che si rendono conto di avere commesso un errore e spesso esprimono rimorso e cercano di rimediare. I bambini di due anni, invece, non hanno lo stesso schema di comportamento. Vaish puntualizza: «In uno studio successivo, nel quale abbiamo misurato il livello di agitazione dopo che il gioco è stato distrutto, abbiamo visto che comunque i piccoli di due anni mostrano almeno segni psicologici di volere correggere lo sbaglio».
Il senso di colpa è importante per lo sviluppo socio-morale dei bambini perché può funzionare come stimolo per una condotta pro-sociale, cioè propensa a buone azioni. Inoltre è un deterrente per comportamenti antisociali. Ne è convinta Renee Patrick, professoressa di Psicologia all’Università di Tampa, in Florida. «Mettiamo il caso che una bambina chiamata Emily parli male di un’altra bambina, Anna, e poi si senta in colpa perché sa che la sua azione è sbagliata e probabilmente farà sentire male la compagna. Martin Hoffman, che nel 2000 scrisse Empathy and moral development (Empatia e sviluppo morale), ha definito questo tipo di reazione “colpa basata sull’empatia”. Questo meccanismo emozionale potrebbe portare Emily a comportarsi meglio: a scusarsi e a dare conforto ad Anna, oppure a decidere di agire in maniera diversa in futuro».
Il senso di colpa può funzionare anche per compensare una mancanza di empatia. Infatti, non tutti i bambini seguono le stesse logiche. Alcuni sono più concentrati su se stessi e sono meno propensi ad assumere le prospettive degli altri, a capire e sentire che cosa provano. Secondo Tina Malti, professoressa di Psicologia all’Università di Toronto, sono vari i fattori che incidono sulla capacità di provare simpatia (e la sua «cugina» più stretta, l’empatia) e di preoccuparsi, ad esempio, per chi è meno fortunato. «Le figure di riferimento del bambino hanno un ruolo importante in questo senso dato che la simpatia emerge presto nella vita. Adulti sensibili e reattivi favoriscono un senso di comfort e di sicurezza che serve come base per lo sviluppo della sensibilità» spiega Malti ad «Azione». Anche l’attenzione potrebbe essere una discriminante. Alcuni bambini sono più capaci di interessarsi a chi gli sta vicino e al mondo esterno. «Un altro elemento è l’interazione frequente e positiva con i coetanei che aiuta a insegnare a rispondere in modo appropriato ai bisogni altrui».
I genitori possono favorire lo sviluppo della capacità di sentirsi in colpa attraverso una tecnica che la professoressa Renee Patrick chiama «induzione». Con questo termine si intende che il genitore è in grado di spiegare al bambino che ha fatto del male a qualcuno e che quindi la sua azione è stata dannosa. Una strategia di disciplina che aiuta i bambini ad immedesimarsi negli altri e può incoraggiare un comportamento pro-sociale, soprattutto se i genitori restano supportivi e mantengono un’attitudine di accettazione dei propri figli. Assolutamente da evitare, infatti, il mettere alla berlina il bambino attaccandolo sul personale. Non bisogna «togliere l’amore», con frasi come «sei imbarazzante» oppure «vattene via da me», perché potrebbero portare a una forma non salutare di colpa. Il bambino a questo punto può perdere la capacità di concentrarsi sul fatto di avere ferito gli altri e fissarsi sul sentimento di rifiuto e sul senso di vergogna che prova. Come sottolinea Malti, genitori che hanno comportamenti negativi, che minacciano o criticano, così come quelli con un attaccamento insicuro, contribuiscono allo sviluppo di comportamenti aggressivi nell’infanzia e nell’adolescenza.
Ci sono molti modi per migliorare lo sviluppo socio-morale. «Essere affettuosi e sensibili con i bimbi può aiutarli ad imparare a regolare le proprie emozioni e modificare l’atteggiamento. I genitori sono un modello virtuoso se dimostrano di essere in grado di risolvere i conflitti e i problemi interpersonali in modo competente, senza adottare strategie prevaricatrici». Inoltre indirizzare i bambini verso la collaborazione, attraverso attività di gruppo, aiuta a educare alla gentilezza. E sembra sia sempre meglio incoraggiarli con gratificazioni verbali e non materiali, come ad esempio ricompense in denaro.
In conclusione, va tenuto comunque conto che genitori e famiglia non sono l’unico fattore determinante nello sviluppo socio-morale dei più piccoli. Ci sono altri responsabili: la genetica, i coetanei, lo status socio-economico e la cultura di riferimento.