In sala d’attesa c’è chi attende il proprio turno per essere visitato, qualche parente aspetta seduto, un’urgenza arriverà con l’elicottero: è il via vai quotidiano di ogni Pronto soccorso ospedaliero. «Lo dice la parola: si tratta di un servizio a disposizione di qualunque paziente, di qualunque età, che giunge alla porta del nostro ospedale con una situazione di sofferenza acuta per malattia, trauma o malessere psicologico, anche se di piccola entità. Ognuno ha il diritto di essere accolto e gestito per ogni evento acuto che potrebbe determinare un danno o una sofferenza alla persona», così ci spiega la dottoressa Roberta Petrino, primario del Pronto soccorso / medicina d’urgenza all’Ospedale Regionale di Lugano, dove la incontriamo con la dottoressa Sara Rezzonico, caposervizio al Pronto Soccorso dell’Ospedale Regionale Bellinzona e Valli.
Sulla natura del servizio stesso di medicina d’urgenza cantonale dell’EOC la dottoressa Rezzonico puntualizza che si parla di «un servizio aperto 24 ore su 24, dove è costantemente garantita la presenza di medici assistenti che lavorano sotto la supervisione di medici senior delle differenti specialità rappresentate in ospedale, mentre l’équipe infermieristica è in parte composta da infermieri specializzati in cure urgenti».
Si tratta di un servizio molto avanzato nell’ambito del quale, spiega Petrino «troviamo esperti in grado di trattare il paziente critico, la cui storia clinica non è nota (come lo è invece per il medico di famiglia), che giunge con un quadro clinico spesso complesso e che prevede l’assunzione di decisioni tempestive con l’obiettivo di evitare un rapido peggioramento delle sue condizioni. Per questo, possiamo dire di essere confrontati con un evento della vita che succede nel “qui e ora”».
Il medico che vi opera è una figura poliedrica chiamata a farsi carico delle difficoltà a cui può andare incontro date dalla conoscenza molto limitata della persona che si presenta. «Siamo un po’ come detective: il paziente giunge con una serie di patologie (chi si spiega bene e chi meno), sta a noi individuare diagnostica e terapia adeguata a tempistica, sicurezza del paziente e sostenibilità economica. Questo, nel breve lasso di tempo che ci è concesso per riuscire a comprendere quale patologia (da lieve a mortale) sia all’origine della sofferenza sempre soggettiva del paziente», spiega Rezzonico.
A confronto stanno l’obiettivo di tale presa a carico e la corsa contro il tempo: «Dobbiamo riuscire a identificare precocemente quelle situazioni che potrebbero rapidamente peggiorare e tutte quelle di per sé critiche». Ciò, in ogni ambito medico: «Medicina interna (dai dolori addominali, all’infarto e via dicendo), patologie ad appannaggio più chirurgico, distinzione da ciò che è traumatologia da ciò che non lo è, e così via».
Questa casistica a ventaglio impone il saper attribuire delle priorità. Parliamo del triage che regola l’accettazione vera e propria del paziente per stabilirne il grado di criticità attraverso una prima valutazione sia sintomatica sia oggettiva delle sue condizioni. «Il personale pre-ospedaliero e infermieristico del Pronto soccorso effettua questa valutazione secondo criteri ben definiti che tengono conto dei parametri vitali (pressione, saturazione ossigeno, frequenza cardiaca) e del tipo di sintomi presentati dal paziente. Attraverso algoritmi e la valutazione stessa dell’infermiere, questi dati convergono nel punteggio «sets» (ndr: acronimo di «Swiss Emergency Triage Scale», il sistema di classificazione dei pazienti in base alla gravità usato in Svizzera). “Uno” rappresenta la massima gravità, “Quattro” caratterizza il paziente con sintomatologia lieve che potrebbe poi rientrare a domicilio».
Sono naturalmente esentati dal triage tutti quei pazienti che giungono in situazione fortemente critica, con l’elicottero o l’ambulanza: «Essi sono immediatamente presi a carico e valutati dal team medico-infermieristico, in quanto la loro vita può essere in pericolo immediato». Il criterio di gravità fa sì che al Pronto soccorso non si possa stimare un tempo di attesa. «Il triage permette di comprendere come organizzare il lavoro, quale paziente merita l’assistenza immediata e quale dovrà attendere un po’ di più. Tutti, però, saranno visitati perché la medicina d’urgenza è un servizio a disposizione di chiunque», ribadisce la dottoressa Petrino che sottolinea come: «Malgrado non si riceva su appuntamento, nessuno viene respinto; magari si dovrà aspettare un tempo più o meno lungo, perché al Pronto soccorso il flusso di pazienti è sempre variabile e il numero di arrivi è imprevedibile, così come lo sono le patologie mediche, chirurgiche o traumatologiche che possono presentarsi di giorno in giorno».
Quindi, entrambe le nostre interlocutrici invitano a una riflessione: «Anche se noi vorremmo riuscire a vedere tutti subito, il limite logistico e di risorse lo impedisce». E Rezzonico tocca pure il tema della medicina del territorio che non deve essere soppiantata dalla medicina d’urgenza, in quanto due specialità molto diverse e complementari: «Al buonsenso del singolo sta dunque di capire quando la situazione potrebbe essere urgente e quando invece il problema (non acuto ma cronico) possa essere delegato alla valutazione del proprio medico curante. Mentre la medicina sul territorio offre una continuità della cura, il Pronto soccorso può fornire solo nell’immediato una prestazione di altrettanta alta qualità. Così, potendo contare su ampie conoscenze tecnico-specialistiche, il medico d’urgenza è in grado di effettuare valutazioni rapide, mentre il medico di famiglia rimane il punto di riferimento delle cure successive».
Nulla è lasciato al caso e al Pronto soccorso ci si occupa di ogni aspetto dell’accoglienza e della presa a carico: «Cerchiamo di coinvolgere il paziente e soprattutto fargli sentire presenza e vicinanza dei suoi famigliari: egli indicherà un’eventuale figura di riferimento, autorizzandoci a parlare con lei, se del caso». La dottoressa Petrino non si esime dal ricordare i recenti eventi legati alla pandemia, che hanno dimostrato l’importanza di questi aspetti relazionali permettendo loro di emergere: «In Italia, dove lavoravo durante la pandemia, siamo stati noi del Pronto Soccorso i primi a istituire la videochiamata ai parenti per quei pazienti gravi dei quali era chiara l’immediata esigenza di comunicare coi loro cari».
Rezzonico conferma infine che «l’alleanza terapeutica con la famiglia permette a un referente famigliare di entrare nel triage; raccontare la storia del paziente toglie l’ansia delle cose non dette e mette al riparo dalla maggior parte dei problemi causati dai possibili errori di comunicazione». Dal canto suo, Petrino conclude chiedendo di non dimenticare «che la vicinanza umana al paziente è un pezzo di cura ed è imprescindibile».