Il ritorno del Gipeto

Mondoanimale - Il metodo di reintroduzione del maestoso rapace nelle Alpi si rivela efficace
/ 07.09.2020
di Maria Grazia Buletti

Sabato 3 ottobre 2020 si terrà la Giornata europea di osservazione degli uccelli migratori, ma non solo, spiega l’ornitologo Roberto Lardelli: «Questo giorno coincide con il conteggio annuale del Gipeto sulle Alpi, coordinato in Ticino da Ficedula che per la prima volta è aperto al grande pubblico degli interessati che potranno accompagnare i censitori del rapace in una cinquantina di punti di osservazione sparsi in tutto il Canton Ticino». Questa giornata di osservazione e censimento (gratuita ma alla quale è necessario iscriversi a segreteria.ficedula@gmail.com; 079 2071407) segna ogni anno il culmine del progetto di reintroduzione del Gipeto sulle Alpi: un progetto strutturato nel suo monitoraggio regolare e che quindi non si è concluso con la liberazione del rapace tra le rocce: «La prima idea di reintroduzione del Gipeto risale al 1975, quando si iniziò a pianificare tutto il progetto che permise di recuperare alcuni esemplari provenienti dal Caucaso, regione le cui popolazioni del rapace hanno un patrimonio genetico molto simile a quello dei Gipeti che abitavano le nostre Alpi. Nel 1985 è iniziato il suo lento processo di reintroduzione su tutto l’arco alpino con oltre 250 individui nati in cattività in Austria, Svizzera e Francia».

Un ripopolamento conseguente al suo completo sterminio dei due secoli passati: «Questa specie era sparita completamente dall’arco alpino a inizio del secolo scorso. Infatti non è più stato osservato alcun esemplare dopo un’ultima cattura datata 1912 in Val d’Aosta». La storia riporta che lo sterminio del Gipeto sull’arco alpino fu dovuto anche una errata convinzione radicata nel passato: «Parliamo di un maestoso necrofago, un rapace che si nutre solo di ossa, e che erroneamente fu tacciato di prelevare agnelli e perfino pastorelli per cibarsene». La credenza, del tutto infondata, che il Gipeto fosse un cacciatore di agnelli è testimoniata e rafforzata nel 1868 da Einrich von Tschudi che nel suo Tierleben der Alpenwelt lo raffigura con una preda fra gli artigli, racconta Lardelli, che ribadisce però l’assoluta infondatezza di questa superstizione capace di causarne lo stermino e l’estinzione: «Le condizioni che hanno causato la sua scomparsa dall’arco alpino furono l’ingiusta e infamante accusa di rapire bambini e agnelli, concomitante al venir meno della sua fonte di sostentamento».

«Si nutre di ossa e se trova resti di pelli di animale raccoglie peli e lana e li trasporta nel suo nido per utilizzarli come rivestimento. È peraltro assai curioso e spesso confidente, ciò che ha anche alimentato ancestrali paure. Da questi indizi ne è derivata, dicevamo, la sua cattiva ma ingiustificata fama che ha spinto l’uomo a combatterlo con trappole ed esche avvelenate, con l’abbattimento mirato e con la rimozione dei piccoli dal nido». Senza dimenticare che la prima legge sulla caccia del 1875 classificava il Gipeto come specie nociva: «Per il suo abbattimento lo Stato elargiva persino dei premi, e a questo aggiungiamo la rarefazione degli ungulati selvatici, privando l’animale del suo sostentamento».

Oggi il Gipeto è ritornato a ripopolare l’arco alpino, ma fino a pochi anni fa in Ticino non si osservavano esemplari e tantomeno nidi: «Le reintroduzioni sono state effettuate in Austria, Francia, nei Grigioni e in Vallese; il primo caso di nidificazione è però stato osservato in Italia nel 1990, anche se fu uno svizzero, David Jenny a individuarlo». Bisogna aspettare fino al 2017 per riuscire a osservare in modo intensivo e coordinato il Gipeto nel nostro Cantone: «Tre anni fa, presentando la situazione ticinese a un convegno, ho potuto confermare la presenza regolare di più di cinque individui anche in Ticino».

Lardelli racconta di come si sia chiesto, a un certo punto, se l’assenza di questo rapace a sud delle Alpi fosse imputabile al fatto di non riuscire a riconoscerlo. Per questo, nel 2016 Ficedula aveva organizzato una giornata di sensibilizzazione per la popolazione che viene avvicinata sul piazzale della Migros di Sant’Antonino: «Mostrando le gigantografie del Gipeto ai passanti, chiedevamo se lo riconoscessero e un aneddoto di quel giorno è che persino Lara Gut, che passava di lì, lo riconobbe immediatamente… per averlo studiato a scuola».

Aneddoti a parte, l’ornitologo riferisce di 11 osservazioni del Gipeto effettuate durante il censimento 2019, insieme a molte di più dell’Aquila reale: «Durante una splendida giornata abbiamo contato più di 45 Aquile reali corrispondente alla metà degli individui presenti nel nostro territorio in quel periodo fra adulti e giovani appena involati: dal Monte Generoso, passando dal Tamaro fino all’alto Ticino». Però, a tutt’oggi, non è ancora stata provata la nidificazione del Gipeto, probabilmente per una ragione anagrafica: «Il Gipeto raggiunge la maturità sessuale solo all’età di 6 – 7 anni, mentre la prima nidificazione vera e propria avviene dopo gli 8 anni».

Ora sarà molto probabile riuscire a individuare anche qualche nido, è convinto Lardelli, che rinnova l’invito a tutti gli interessati per accompagnare gli esperti ornitologi a partecipare al censimento del Gipeto del 3 ottobre prossimo: «La giornata sarà del tutto gratuita, previo incontro informativo attraverso una piattaforma informatica che avverrà la settimana precedente, e soprattutto saranno rispettate sul campo tutte le misure di protezione dal Coronavirus (gruppi di due o tre persone, con ampio distanziamento sociale)».

I partecipanti, invitati a scattare foto, impareranno a riconoscere il Gipeto e l’Aquila reale e le loro classi d’età, e potranno offrire un contributo alla conoscenza del nostro territorio e degli animali che lo popolano. «Se il Coronavirus ci ha in un certo senso costretti entro i nostri confini, si tratta di un’occasione d’oro per imparare ad apprezzare e conoscere di più ciò che abbiamo in casa nostra», conclude Lardelli che ricorda come, in quanto necrofago, il Gipeto ripulisce il suo habitat da quello che rimane delle carcasse: «Anche in quest’ottica, il suo ritorno nel territorio alpino costituisce un vantaggio per l’uomo e per la natura». Tutti i dettagli e le informazioni su www.ficedula.ch.