Ogni persona, lungo il proprio cammino, incappa in esperienze negative e dolorose; se avessimo modo di cancellarle dalla nostra memoria, vivremmo una vita più felice?
Per una risposta affermativa propende Alain Brunet, docente di psichiatria all’Università McGill di Montréal in Canada, che ha sviluppato una terapia che elimina dal cervello i brutti ricordi, agendo sul modo in cui la memoria archivia gli eventi passati. Prima di ogni seduta, il paziente assume un farmaco betabloccante e durante il colloquio con il terapeuta scrive il racconto del suo ricordo e lo legge poi ad alta voce. Sotto l’influenza del medicamento, che interferisce con la parte emozionale associata alla memoria a lungo termine, il ricordo viene registrato in modo diverso. Un tentativo, quello del ricercatore canadese, che peraltro ben si iscrive nella tendenza dell’attuale società a non soffrire, testimoniata, per fare un esempio, dalla facilità con cui prendiamo un antidolorifico non appena abbiamo mal di testa oppure un tranquillante prima di un esame importante.
Soffrire però serve. Pensiamo, per fare un discorso collettivo, alla pandemia Covid-19. Questa esperienza – in particolare quella relativa alla fase del lockdown – ci ha messo davanti alla nostra fragilità. E, una volta passata, diventerà solo un brutto ricordo, associato alla paura, alla restrizione della libertà, ed entrerà così a far parte della nostra storia, assieme agli altri vissuti negativi, ma pure positivi, che la contraddistinguono. «Fare un discorso collettivo è difficile. Ognuno vive questa esperienza in modo soggettivo e i vissuti divergono anche a dipendenza delle condizioni di vita e del contesto in cui si vive e si è vissuto il lockdown», afferma Luigi Gianini, psicologo, specializzato in psicoterapia e in sofrologia clinica, prassi terapeutica che applica tecniche psicofisiche miranti il raggiungimento di una maggior coscienza di sé.
«A livello trasversale, mi sento però di affermare che quello che ci resterà di questa esperienza è l’impressione che la vita può cambiare da un giorno all’altro. Ciò ci ha costretti a riflettere sul fatto che non tutto è scontato: quello che faccio oggi magari domani non lo potrò fare allo stesso modo. Riflessione che porta con sé la necessità di entrare in un’ottica accettativa», continua lo psicologo. Tutto ciò si fa sentire sicuramente in maniera più forte in una realtà come la nostra, che ci ha abituati ad un certo standard di benessere, rispetto ad altre, caratterizzate da una maggiore precarietà. «Abituati, in generale, ad avere le nostre certezze, con il Coronavirus siamo stati confrontati a delle incertezze, che peraltro perdurano, costringendoci ad una situazione di provvisorietà», aggiunge Gianini. Si tratta in ogni caso di insegnamenti che arricchiscono il nostro bagaglio e ampliano la nostra visione della vita.
Parlando di ricordi, è doveroso fare una distinzione tra un fattore traumatico estremo, in cui la persona è confrontata ad un evento come un’aggressione, un incidente, una guerra o un rapimento, il quale continua a rinnovarsi nella sua memoria, generando quello che viene definito un «disturbo post traumatico da stress», e le più comuni esperienze dolorose, che tutti abbiamo vissuto e viviamo, semplicemente perché fanno parte dell’esistenza (un lutto, la fine di un amore, ecc…). Queste ultime non comportano per forza di cose dei vissuti negativi a lungo termine. Anzi, spesso è proprio da questi vissuti che prendiamo coscienza della nostra fragilità, possiamo diventare più empatici, impariamo a reagire di fronte ad una prossima esperienza dolorosa. Davanti ad un evento negativo, ognuno risponde infatti in base al proprio vissuto, che è costituito per forza di cose dai propri ricordi. Da questo punto di vista partire dal presupposto che si possa «far dimenticare qualsivoglia ricordo» nell’ottica di neutralizzare il dolore che ne consegue non avrebbe senso. «Il rovescio della medaglia di una vita troppo fortunata potrebbe essere quello di non predisporre delle basi sufficienti per far fronte alle difficoltà della vita» – commenta lo psicoterapeuta – difficoltà che a loro volta formano il carattere, creano delle risorse, dal momento che ci costringono a trovare delle strategie per la risoluzione dei problemi».
I temi dolorosi della vita non vanno però banalizzati, ma piuttosto affrontati, in particolare perché possono essere responsabili di un malessere soggettivo. «Importante è non lasciare in sospeso quei segni – che possono essere l’inquietudine, l’ansia, degli stati depressivi, come pure dei dolori fisici – i quali riconducono ad un malessere che a sua volta può essere collegato ad un ricordo o all’emergere, nella quotidianità o nei sogni, di un’esperienza negativa che abbiamo vissuto, anche se non sempre tale legame risulta evidente», spiega Luigi Gianini, che ricorre sovente alla sofrologia clinica per lavorare su determinati aspetti che hanno a che fare col dolore.
A tal proposito, va precisato che determinate tecniche, quali l’EMDR – protocollo specificatamente improntato sul trattamento di vissuti dolorosi – permettono pure di lavorare su aspetti post-traumatici all’interno dei quali il dolore costituisce una componente fondamentale di sofferenza esistenziale. Per questi motivi è importante che le esperienze negative vengano elaborate, se è il caso con l’aiuto di uno specialista. «Facciamo l’esempio di un lutto: di per sé non costituisce per forza di cose un trauma, ma può diventare tale se il dolore non viene elaborato e creare, anche a distanza di tempo, una sorta di malessere, uno stato depressivo prolungato – afferma lo psicoterapeuta – l’elaborazione, va precisato, non ci porta a cancellare il vissuto, ma a viverlo diversamente, in modo più accettante. Questo concetto si definisce resilienza».
Ovviamente non tutte le esperienze negative esercitano uno stesso impatto. «Ciò dipende in parte dalla nostra capacità di resilienza, che ha una connotazione soggettiva, è legata cioè al nostro carattere e temperamento e alla nostra capacità di elaborare e di distanziarci dai vissuti», continua Gianini. Anche il fattore culturale e ambientale influenza la capacità di elaborazione delle esperienze di vita sgradevoli, traumatiche o dolorose. «Secondo la mia pratica, il rinforzo di cose nuove e positive – per esempio la formazione, il lavoro, il fatto di poter contare su una cerchia sociale e familiare solida e più in generale il fattore relazionale – permette di controbilanciare in modo molto efficace quelli che possono essere degli eventi passati negativi», aggiunge l’esperto, «per contro, una situazione personale caratterizzata da ulteriori difficoltà, può amplificare l’aspetto traumatico di esperienze vissute nel passato».
A monte gioca comunque un ruolo la gravità dell’evento: «Se l’intensità dell’emozione che una situazione provoca è troppo forte, tanto da non riuscire a contrastare lo squilibrio creato da essa, si può verificare una mancata resilienza», spiega lo psicologo, «il rischio in questo caso è di trovarsi in difficoltà se confrontati con un’ulteriore situazione dalla stessa matrice di quella che è stata l’esperienza traumatica o dolorosa». Altro rischio è che questo dolore non correttamente elaborato riemerga poi, anche a distanza di tempo, sotto forma di malessere, psichico, ma anche fisico, come dicevamo prima. «A volte questi aspetti non appaiono in una prima fase dell’età adulta ma cominciano a disturbare in una successiva fase della vita, addirittura nella quarta età, quando, dopo aver passato una vita a correre, ci si comincia a fermare e si ha più tempo per pensare e per chinarsi sulla propria storia, fatta di ricordi, positivi e negativi», conclude Luigi Gianini.