Il punto di vista di chi forma gli apprendisti

Ricerca – Il dottorato di ricerca di Roberta Besozzi indaga l’attività, i percorsi e le motivazioni dei formatori e delle formatrici di apprendisti attivi nelle aziende
/ 31.10.2022
di Barbara Manzoni

I formatori e le formatrici di apprendisti attivi nelle diverse aziende formatrici svizzere sono un anello indispensabile e insostituibile del sistema duale della formazione professionale. E sono un piccolo esercito se pensiamo che solo nel nostro cantone ogni anno sono tra 600 e 700 i partecipanti ai corsi base per formatori organizzati dall’Istituto di formazione continua del DECS. Un mondo e un lavoro quello del formatore di apprendisti che tocca la società intera, coinvolge tutti (chi perché ha svolto un apprendistato in passato, chi perché si sta formando o ha un figlio in formazione, chi perché a capo di un’azienda formatrice) eppure è un mondo poco studiato e analizzato nel suo insieme sia in Svizzera sia a livello europeo. Cerca ora di colmare in parte questa lacuna un dottorato di ricerca condotto dalla sociologa Roberta Besozzi, che ha analizzato l’attività delle persone formatrici, i diversi percorsi e le diverse motivazioni che le hanno portate a impegnarsi nella formazione di apprendisti e il rapporto che hanno con la loro funzione. Per la sua ricerca Roberta Besozzi ha preso in considerazione formatori attivi in tutti i tipi di aziende, piccole, medie, grandi e microaziende, e in molti settori: dall’assistente di farmacia al parrucchiere, dal magazziniere all’impiegato di commercio, dal panettiere al meccanico, investigando in maniera trasversale ciò che capita nelle diverse realtà.

Dottoressa Besozzi, come è nata l’idea di dedicare uno studio alla figura del formatore/della formatrice di apprendisti?
In passato ci sono stati diversi studi che si sono occupati prevalentemente degli apprendisti e della loro relazione con il proprio formatore o formatrice, questi studi hanno messo in evidenza alcune criticità e da lì è nata l’idea di focalizzarsi sui formatori, sui quali in Svizzera non si sono mai condotti studi specifici. D’altra parte, i formatori e le formatrici di apprendisti sono delle figure chiave del sistema della formazione professionale duale. Alla Scuola universitaria federale per la formazione professionale di Losanna (SUFFP) è stato così progettato uno studio finanziato dal Fondo nazionale per la ricerca al quale ho avuto l'opportunità di collaborare che si focalizzasse sui formatori, sui loro percorsi professionali, le loro condizioni di lavoro, le loro difficoltà quotidiane. Il mio dottorato si colloca all’interno di questa ricerca.

Come ha svolto la ricerca? Su quali dati si basa? E quali le caratteristiche prese in considerazione?
È una ricerca qualitativa, che si basa su testimonianze dirette. Nell'ambito del progetto sopracitato, sono state condotte un’ottantina di interviste con formatori e formatrici. È particolarmente importante e stimolante il fatto di aver dato la parola direttamente ai formatori proprio perché finora sono stati un po’ dimenticati dalla sfera della ricerca. Le domande poste investigavano quattro grandi ambiti: i percorsi professionali e formativi degli intervistati, la loro motivazione nella scelta di diventare formatore, l’organizzazione della formazione all’interno del contesto aziendale (quali tipi di pratiche possono mettere in atto, quali le difficoltà o le criticità incontrate) e, infine, il riconoscimento della funzione formativa.

Sono emersi dei problemi urgenti legati alle condizioni di lavoro dei formatori, alla loro formazione e alla loro motivazione?
Fin da subito è apparso evidente che i cambiamenti del mondo del lavoro erano centrali nei discorsi degli intervistati, cambiamenti ad esempio a livello delle competenze da trasmettere agli apprendisti. In molte testimonianze si coglie una riflessione legata ai contesti e alle condizioni di lavoro per poter formare: spesso il fatto di vivere un’intensificazione dei ritmi della produzione toglie tempo prezioso alla formazione degli apprendisti. Questa criticità legata alla disponibilità di tempo non è sentita in egual misura da tutti e in tutti i contesti, ma è emersa piuttosto chiaramente. Inoltre, spesso è stato messo in evidenza un mancato riconoscimento della funzione di formatore.

Nella sua ricerca lei delinea quattro profili di formatori e formatrici, ce li può spiegare brevemente?
Il primo raggruppa i formatori che ho chiamato «imprenditori di sé stessi», ossia coloro che si caratterizzano per la voglia di fare carriera in modo rapido, rapidità richiesta quasi immediatamente anche agli apprendisti al loro ingresso nell’ambito aziendale; di conseguenza le pratiche formative messe in atto vanno in questa direzione. Le motivazioni che li spingono a diventare formatori sono da ricercarsi nel desiderio di fare carriera o di selezionare i potenziali futuri dipendenti dell’azienda. C’è un secondo profilo denominato «garanti del mestiere» nel quale vediamo una logica completamente differente, la motivazione è quella di trasmettere non solo il mestiere ma anche l’amore per esso. Questi formatori tendono a seguire gli apprendisti in modo progressivo senza esigere da loro un’autonomia immediata. Un terzo profilo è quello dei «riconvertiti», sono i più numerosi e hanno svolto una riconversione professionale parziale o totale proprio nel contesto della formazione professionale. In questo caso si evidenzia la voglia di accompagnare i giovani anche dal punto di vista teorico-scolastico secondo pratiche formative progressive. L’ultimo profilo, rappresentato da pochissimi intervistati, è quello dei «rassegnati», persone la cui motivazione iniziale di fare una carriera e di trasmettere la professione è stata disillusa. In questo caso il formatore mette in atto delle pratiche piuttosto passive di accompagnamento dei giovani.

La sua ricerca è stata svolta nella Svizzera romanda, la situazione delle persone che lavorano come formatrici e formatori di apprendisti è simile anche nelle altre regioni linguistiche svizzere?
Per ora non ci sono studi in questo senso e il contesto è diverso. Ad esempio il sistema duale è più pregnante nella Svizzera tedesca rispetto al Ticino, ma le tendenze sono simili. Confrontandomi con altri professionisti abbiamo sicuramente colto delle somiglianze. Se pensiamo ad esempio alla mancanza di tempo e di riconoscimento della funzione, la si ritrova nelle diverse regioni svizzere, sebbene non si sappia con quali sfumature.

A suo avviso la figura del formatore è sufficientemente riconosciuta e sostenuta?
In linea generale non molto, la funzione nella maggior parte dei casi è un po’ «invisibile». Ci sono comunque delle sfumature tra i formatori stessi, non tutti sentono un ugual bisogno di riconoscimento. L’ideale sarebbe una maggiore chiarezza anche contrattuale sulle condizioni di lavoro del formatore. È però ovvio che il contesto di produzione incide molto: le esigenze impellenti aziendali da quel punto di vista sono prioritarie.

Alla luce del suo studio quali sono i cambiamenti o gli accorgimenti che potrebbero migliorare il lavoro delle formatrici e dei formatori che seguono gli apprendisti in Svizzera?
Oltre ad apportare delle migliorie a livello delle condizioni legate alla formazione, andrebbe data la possibilità e il tempo ai formatori di seguire i corsi di formazione continua che da parte loro potrebbero così svilupparsi maggiormente. Inoltre, si potrebbero favorire gli scambi tra le persone attive nell’ambito della formazione professionale: sarebbe addirittura auspicabile la messa in relazione tra i diversi formatori. Avere tempo per discutere con un altro formatore attivo magari nello stesso gruppo professionale, ma non solo, avere la possibilità di dialogo ad esempio tra formatori e insegnanti delle scuole professionali, sono tutti modi per favorire lo scambio di pratiche e di esperienze: un bisogno sentito dagli intervistati.