Riscoprire parte della storia del nostro territorio attraverso lo studio e l’osservazione di attività produttive che, un tempo floride e ben radicate, oggi sembrano quasi del tutto scomparse. Una passione forte per Tarcisio Casari, ricercatore ormai in pensione, che è confluita in un accurato lavoro di ricerca sulle segherie del Canton Ticino. Il ricordo del profumo del legno tagliato, che lo accompagnava da bambino, è stato lo stimolo che ha spinto Casari a dare inizio ad un’avventura durata ben sette anni e sfociata nella pubblicazione che titola L’odore del legno tagliato. Rèssegh e ressegatt, trentín e boratt in Ticino.
L’opera è frutto della collaborazione tra l’autore e il Centro di dialettologia e di etnografia del Cantone Ticino (CDE), che spesso si avvale di studiosi indipendenti per lunghi lavori di ricerca, ci spiega la collaboratrice scientifica del CDE Francesca Luisoni. «Ci vogliono molti anni per poter portare a termine uno studio approfondito e la collaborazione con ricercatori esterni ci offre l’opportunità di accrescere il patrimonio etnografico del Cantone. Il lavoro del signor Casari è importante per il CDE, che ha tra i suoi compiti anche quello di inventariare immobili e mobili del territorio, come, per esempio, i torchi, le meridiane, le decorazioni pittoriche o gli ex voto. La ricerca sulle segherie si inserisce, infatti, in questo filone di indagine. Un lavoro che è stato fatto con estrema accuratezza e che si divide in due parti principali. Da un lato è stata tracciata la storia dello sviluppo tecnico del settore. Si raccontano gli strumenti del mestiere, si ricordano le modalità di trasporto del legname e si offrono notizie sulle caratteristiche architettoniche e tecniche delle prime segherie idrauliche presenti sul nostro territorio. I risultati di questo studio sono esposti nel primo capitolo del libro. Dall’altro lato, nel secondo capitolo, si presenta la minuziosa mappatura delle segherie che erano presenti in Ticino, prodotta attraverso lo studio del Catasto delle acque pubblico, e che ne segnala l’ubicazione tracciandone, là dove possibile, la storia».
Storia che è uno spaccato di vita locale e che rimanda ad un Ticino rurale, oggi patrimonio da riscoprire e conservare e che mira, inoltre, a sensibilizzare sul tema della tradizione artigiana e sul valore della salvaguardia territoriale. L’acqua è il filo conduttore di questo studio, che riporta all’attenzione del pubblico lo stretto rapporto tra il territorio e i suoi abitanti.
«Prima ancora che per produrre energia elettrica, l’acqua è stata utilizzata fin dai tempi antichi per ottenere energia meccanica con la quale far funzionare diversi tipi di macchinari. Tra questi, i più conosciuti alle nostre latitudini erano sicuramente i mulini, le segherie e le peste. Oggi di questi opifici, un tempo diffusi quasi in ogni villaggio del Cantone, spesso non restano che alcuni ruderi nascosti dalla vegetazione, qualche documento negli archivi e la memoria nei ricordi degli anziani. Eppure gli impianti azionati ad acqua da sempre hanno saputo destare interesse e ammirazione in chi li guarda. Il fragore dell’acqua che si getta sulla ruota, il rumore assordante degli ingranaggi e dei macchinari in movimento, gli odori che cereali e legnami sprigionano durante la lavorazione, l’ambiente polveroso e poco illuminato, tutto concorre a creare un’atmosfera arcaica e affascinante» continua Francesca Luisoni.
Un viaggio interessante quello proposto da Casari e dal Centro di dialettologia e di etnografia del Cantone Ticino, che offre al lettore anche molte immagini storiche, ritrovate negli archivi pubblici, ma anche in alcuni piccoli archivi privati e che contribuiscono a regalare il sapore del Ticino passato, nel quale il legname era parte integrante dell’attività produttiva. Un percorso da nord a sud e diviso per distretti che ha permesso ai curatori di riscoprire veri e proprio edifici, resti di antiche segherie in rovina, o semplicemente di ritrovare un toponimo che ne segnalava la possibile presenza. Ma anche una ricerca sulla memoria, che ha visto lo stesso Casari incontrare i discendenti di alcuni proprietari delle segherie storiche del territorio, dai quali si è fatto raccontare vicende e dettagli di un modo di lavorare che ormai potremmo definire scomparso. Oggi il taglio del bosco e della legna non sono più un lavoro diffuso e le segherie ancora attive in Ticino sono soltanto tre e si trovano a Fusio, Faido e Rancate.
«Per il nostro Centro il grosso del lavoro è stato fatto sull’integrazione linguistica e la toponomastica. Abbiamo lavorato in maniera organica sulle varie parti del testo, per cercare un’omogeneità e abbiamo ricercato immagini d’epoca che potessero corredare l’opera in maniera esaustiva. Il risultato è un’approfondita e corposa ricerca di quattrocentocinquantasei pagine, corredata da oltre trecento illustrazioni. Alla minuziosa descrizione tecnica delle attività di segantini e boscaioli e alla presentazione delle varie tipologie di segheria fa seguito la trattazione, comune per comune, delle centoquarantasei segherie idrauliche di cui si ha notizia nel corso dei secoli. Grazie alle tabelle riassuntive, alle cartine, alla raccolta di toponimi e a un glossario dialettale specifico, il testo offre al lettore un quadro assai composito e approfondito delle tecniche tradizionali di lavorazione del legname in Ticino ed evidenzia l’importanza che la filiera del legno ha rivestito in passato nel nostro Cantone. L’opera si rivolge a tutte le persone curiose di conoscere e indagare le testimonianze legate a questi opifici, ma per la sua scientificità saprà farsi apprezzare anche dagli specialisti del settore» conclude Francesca Luisoni.
La pubblicazione è stata resa possibile grazie ai contributi del Cantone Ticino, di numerosi enti locali (comuni e patriziati), di alcune fondazioni e associazioni e di ditte private. È possibile acquistare il libro direttamente presso il Centro di dialettologia e di etnografia a Bellinzona (decs-cde@ti.ch; 091 8141450).