Il premio vola a Parigi

Architettura – Lo Swiss Architectural Award è stato assegnato allo studio Bruther. Negli spazi del Teatro dell’Architettura sono esposti i progetti presentati per la settima edizione del premio
/ 19.04.2021
di Alberto Caruso

Il progetto vincitore della settima edizione del Swiss Architectural Award rappresenta una svolta nella storia di questo prestigioso premio promosso dalla Fondazione Teatro dell’Architettura. Nelle altre edizioni, infatti, erano state premiate opere rappresentative di culture diverse, spesso distanti da quelle con le quali si confrontano gli architetti alle nostre latitudini. Alcuni architetti provenivano da paesi lontani, come l’India, il Burkina Faso, il Paraguay, altri presentavano opere di piccole dimensioni, situate fuori dagli agglomerati o nei villaggi, spesso caratterizzate da un forte rapporto con la natura. Tutte opere stimolanti dal punto di vista della ricerca morfologica, selezionate e premiate per la loro capacità di «spiazzare» i nostri modi consolidati, dimostrando come si possono risolvere i problemi spaziali con tecniche semplici, tecnologicamente povere o comunque diverse.

Il passaggio didatticamente più complesso – e necessario – era quello di tradurre queste opere, esemplari nei loro luoghi originari, in lezioni di progettazione da applicare nei nostri contesti, nella cultura urbana contemporanea, per affrontare le grandi questioni critiche che hanno segnato gli insediamenti della modernità europea. Il lavoro dello studio Bruther di Parigi, composto da Stéphanie Bru e Alexandre Theriot è fondato proprio in questa cultura urbana contemporanea ed è stato premiato per la capacità di indicare percorsi nuovi e diversi da quelli più consueti. È difficile, ovviamente, raccontare opere senza che il lettore possa vederne le immagini. L’immagine pubblicata – un centro culturale e sportivo a Saint-Blaise, realizzato nel 2014 nella periferia parigina – è tuttavia eloquente ed esemplare dell’atteggiamento con il quale Bru e Theriot hanno affrontato la costruzione di uno spazio di aggregazione sociale, trasformando un vuoto tra edifici di grande densità in un luogo significativo.

Il carattere di questa figura è inconsueto sia per la sovrapposizione di partiti diversi, che per l’adozione, sulla stessa superficie verticale, di materiali diversi. La struttura portante, arretrata rispetto al rivestimento trasparente, appare come una diagonale. All’interno, grandi spazi fluidi e separabili, sono realizzati con setti di cemento armato, con tamponamenti in blocchi di calcestruzzo a vista, con rivestimenti ceramici e altri materiali. È un’architettura «inclusiva», non finalizzata a imporre la propria presenza con un gesto assoluto, in opposizione al contesto definito come disordinato. Ma non è neanche architettura mimetica, non intende confondersi con il contesto. Introita forme e materiali diversi, rifuggendo da simmetrie, allineamenti e ordini predeterminati. E un colto senso della misura conferisce a quest’opera un’eleganza che è raro scoprire in atteggiamenti così difformi dai modi ordinati ai quali ci ha abituato la modernità che si è fatta tradizione.

Negli anni 50 del secolo scorso, un gruppo di architetti formarono un movimento che si opponeva ai modi più funzionalisti dei maestri del moderno ed ai canoni teorizzati dai loro allievi più fedeli. Era il Team 10, animato da Aldo van Eyck, Giancarlo De Carlo, Ralph Erskine, Herman Hertzberger, Peter e Alison Smithson, Jacob Bakema, Georges Candilis e altri. Il loro anarchismo culturale e l’insofferenza per le forme organizzative determinò lo scioglimento precoce del movimento, che ha lasciato tuttavia un segno profondo nella cultura europea, e che provoca ogni tanto l’apparizione di atteggiamenti progettuali riferiti a quella importante eredità. L’esigenza della partecipazione popolare nell’iter progettuale, la risposta dichiarata alla tensione provocata dai bisogni sociali, il rifiuto di canoni formali sono modi, tuttavia, che più spesso non hanno prodotto opere di grande qualità. Nel nostro caso, la giuria del premio ha individuato dei progettisti capaci di stabilire un originale equilibrio tra una raffinata e sensibile cultura compositiva e un repertorio di materiali progettuali aperto, anticonformista e insieme tecnicamente aggiornato.

La giuria, presieduta da Mario Botta e composta anche da rappresentanti del Politecnico di Zurigo e di quello di Losanna, ha selezionato i finalisti tra trentatré studi di tutto il mondo. Di questi, gli europei sono sedici, tra i quali gli svizzeri Angela Deuber e Giacomo e Riccarda Guidotti. Tra i dieci finalisti, sei sono europei, tra i quali Angela Deuber.

Ogni studio, i cui titolari non devono avere un’età superiore a 50 anni, ha presentato tre progetti realizzati. Bruther ha illustrato, oltre al centro culturale e sportivo di Saint-Blaise, un centro di ricerche a Caen e una residenza per ricercatori universitari a Parigi. I progetti sono esposti in una mostra, che raccomandiamo ai lettori di visitare, promossa dall’Accademia di Architettura dell’USI a Mendrisio negli spazi del Teatro dell’Architettura. Inaugurata il 1. aprile, la mostra durerà fino alla fine del 2021.