Il potere delle masse

Platform economy – Oggi sempre più aziende, tramite piattaforme web e app, sfruttano le masse di persone per offrire servizi e prodotti o accedere a competenze e idee. Quali sono i benefici e i rischi per i lavoratori digitali?
/ 12.10.2020
di Stefano Castelanelli

Sollecitare le masse per risolvere dei problemi non è una novità. Già nel lontano 1783 il Re di Francia Luigi XVI offrì un premio in denaro a chi riusciva a produrre la soda dal sale marino. Negli ultimi decenni però con l’avvento della digitalizzazione il crowdsourcing è diventato un fenomeno sempre più diffuso. Il termine deriva dalle parole inglesi crowd (folla) e sourcing (origine) e indica il rivolgersi alle masse di persone spesso tramite Internet per realizzare progetti e risolvere problemi. Esempi sono Wikipedia e YouTube in cui ci si affida agli utenti di Internet per raccogliere e catalogare la conoscenza (il primo) e per l’intrattenimento video (il secondo).

Nel 2009 è nato freelancer.com, un portale che ha aperto le porte delle micro tasks agli utenti di tutto il mondo. È così stato possibile svolgere compiti ripetitivi e digitali come tradurre testi o inserire dati da qualsiasi angolo del pianeta in modo remoto. Non solo micro tasks, negli ultimi anni si è creato un vero e proprio mercato: il crowdworking, cioè il richiedere qualsiasi prestazione professionale da lavoratori indipendenti tramite la rete. Oggi su freelancer.com o siti analoghi come upwork.com vengono offerte le più diverse prestazioni professionali senza barriere geografiche. Si trovano richieste per contabili, avvocati, ingegneri, architetti, e ovviamente grafici e informatici. E funziona. Freelancer.com ha più di 25 milioni di utenti attivi in oltre 274 paesi.

Questo nuovo mercato si sta sempre più specializzando offrendo siti appositi per le diverse categorie professionali. Amazon Mechanical Turk ad esempio è il sito di crowdsourcing in cui i programmatori informatici possono pubblicare compiti che i computer, ad oggi, non riescono ancora a fare come ad esempio catalogare e classificare dati. Mentre Houzz è una piattaforma online dedicata interamente al design d’interni. Una vasta community di professionisti del settore posta foto dei propri progetti permettendo così ai clienti di trovare idee e ispirazioni per come arredare la propria abitazione. 99designs invece è il sito specializzato per il settore della grafica con un vasto pool di graphic designers da tutto il mondo. Mentre Handy e TaskRabbit sono le piattaforme dedicate ai lavori domestici e offrono di tutto: dai servizi di pulizia, al montaggio di mobili, all’appendere quadri, all’installare apparecchi elettronici, al giardinaggio, al tuttofare. Qualsiasi persona può registrarsi sui due portali e svolgere lavori domestici per terzi a pagamento. I due portali sono presenti solo negli Stati Uniti, Canada, Inghilterra, Francia e Germania, ma è prevedibile che presto arriveranno anche in Svizzera.

Non solo lavoro, un settore che nell’ultimo decennio è cresciuto molto è il crowdfunding: la raccolta di fondi da un gran numero di finanziatori attraverso le piattaforme digitali. Tramite il crowdfunding, ognuno può lanciare una campagna di raccolta fondi definendo una somma che vuole raggiungere e spiegando a quale scopo verranno usati i soldi. Ogni persona può poi decidere se finanziare il progetto. Spesso i siti di crowdfunding operano un modello di finanziamento all-or-nothing (tutto-o-niente) in cui se la campagna raggiunge la somma prestabilita il promotore riceve i soldi altrimenti, se il target non viene raggiunto, tutti i donatori ricevono i soldi indietro. Cashare, la prima piattaforma di crowdfunding in Svizzera, è stata lanciata nel 2008. Da allora si sono moltiplicate e specializzate. Oggi in Svizzera esistono 39 piattaforme di differenti tipi: si va dal prestare denaro al finanziare un progetto. In alternativa ai soldi, i donatori possono ricevere in cambio un prodotto non-finanziario come una cena nel caso di un ristorante o il biglietto per un concerto nel caso di un gruppo musicale. In alcuni casi inoltre il denaro investito è a fondo perso. Il fenomeno è in forte crescita in Svizzera come sottolinea il Crowdfunding Monitor Schweiz 2020 della Hochschule di Lucerna. Dai 28 milioni del 2015 siamo passata ai quasi 600 milioni raccolti dalle varie piattaforme svizzere nel 2019. Un aumento considerevole.

Negli ultimi anni il crowdsourcing ha invaso anche altri settori come il trasporto e la logistica. Uber con la sua app ha rivoluzionato il servizio di taxi permettendo a chiunque di fornire servizi di trasporto automobilistico privato. E l’azienda di San Francisco non si è fermata al trasporto di persone. Gli autisti Uber oggi consegnano anche cibo e pacchi. Ma Uber non è la sola azienda a sfruttare la schiera di autisti indipendenti per il trasporto di beni. Instacart permette a chiunque di fare la spesa al posto tuo. Un po’ come è successo da noi durante il lockdown per gli over 65. Con Deliv invece puoi ordinare qualsiasi prodotto dai commercianti della zona e ti verrà recapitato a casa lo stesso giorno. Tutte soluzioni attualmente offerte soprattutto in Nord America ma che anche da noi si stanno facendo largo (come ad esempio Smood con Migros Ticino). Ma il crowdsourcing non si è fermato qui e ha invaso anche altri settori come le risorse umane o l’innovazione. Con il crowdrecruiting, le aziende per cercare un nuovo impiegato non si rivolgono più solo ad una ditta di selezione del personale ma a numerosi recruiter indipendenti che lavorano in parallelo alla ricerca del candidato e solo chi trova la persona giusta verrà retribuito. Mentre con il termine Open Innovation si indica lo sfruttamento delle idee, conoscenze e tecnologia di persone esterne alla ditta per trovare soluzioni innovative. InnoCentive è una piattaforma sulla quale le aziende (seekers) pubblicano un problema (challenge) nell’ambito della propria ricerca e sviluppo e la comunità di ricercatori (solvers) in tutto il mondo cercherà di trovare una soluzione. OpenIdeo è invece il progetto di IDEO, l’azienda di consulenza leader mondiale nel campo dell’innovazione e del design, dove persone da tutto il mondo possono collaborare per risolvere i problemi sociali dei nostri giorni. Un modo per sfruttare la forza delle masse per un fine più nobile.

Come dimostrano tutti questi esempi, il crowdsourcing si sta diffondendo un po’ in ogni settore. Un secolo e mezzo fa Karl Marx aveva capito il potere che risiede nelle masse. Oggi sempre più persone trovano lavoro attraverso piattaforme web e app di outsourcing online in quella che viene definita la platform economy (economia della piattaforma). Sarà proprio la digitalizzazione a liberare le masse come immaginato da Marx oppure la platform economy sarà solo un ulteriore modo per sfruttarle?

«La questione è fortemente dibattuta – dice Maria Mexi, consulente per l’Organizzazione Internazionale del Lavoro e co-direttrice del progetto di ricerca Gig Economy and Social Dialogue presso l’Albert Hirschman Centre on Democracy del Graduate Institute di Ginevra – Da un lato, la platform economy permette alle persone in cerca di lavoro provenienti da paesi in via di sviluppo di avere accesso ai mercati del lavoro dei paesi ricchi, che prima erano fuori portata a causa delle barriere migratorie. Inoltre – continua Mexi – offre ai lavoratori una maggiore autonomia e flessibilità mentre il vantaggio per le imprese è la possibilità di assicurarsi i talenti globali di cui hanno bisogno». Tuttavia, c’è anche l’altro lato della medaglia. «Le persone che non hanno accesso alla tecnologia o non possiedono la formazione e le competenze necessarie vengono escluse» dice Mexi. 

Nel 2017, circa il 60% della popolazione mondiale non aveva accesso a Internet. «Il problema è concentrato soprattutto nei Paesi in via di sviluppo, ma è presente anche nelle economie avanzate – dice Mexi – Negli Stati Uniti ad esempio 51 milioni di persone non hanno accesso a Internet o in alcuni casi potrebbero averlo ma non lo usano». E c’è anche un secondo aspetto negativo. Nonostante la platform economy fornisca nuove fonti di reddito a molti lavoratori, secondo l’Organizzazione Internazionale del Lavoro, il lavoro è poco retribuito, spesso al di sotto del salario minimo, e non ci sono protezioni sociali. «Le persone che svolgono i lavori tramite le piattaforme web sono considerati liberi professionisti, lavoratori autonomi o imprenditori indipendente – dice Mexi – mentre le aziende che gestiscono le piattaforme web sono più degli intermediari che un datore di lavoro. Ciò ha implicazioni per i diritti dei lavoratori e la protezione sociale». Un problema che è emerso durante l’attuale pandemia. «Il Covid-19 ha messo sotto pressione i lavoratori legati a piattaforme digitali perché senza lavoro non hanno accesso a prestazioni assicurative o di disoccupazione e congedi per malattia – dice Mexi – Chi ha perso il lavoro si è trovato con un pugno di mosche in mano».

Adesso che la pandemia ha accelerato il passaggio al lavoro digitale, sarebbe anche opportuno ridiscutere il quadro normativo per adattarlo ad una nuova realtà lavorativa, quella della platform economy. «Innanzitutto, dobbiamo discutere delle questioni sociali anche nell’ambito dell’economia digitale e creare condizioni di lavoro più eque – dice Mexi. – Personalmente sono a favore di un modello di decent digiwork (lavoro digitale dignitoso) caratterizzato dal rispetto, dalla dignità, dalla sicurezza, dalle pari opportunità e dalla voce di ogni lavoratore dell’economia digitale. Questo – conclude Mexi – porta a riscrivere il futuro del lavoro e a democratizzare il modo in cui la tecnologia è inserita nei mercati del lavoro».