Bibliografia

Gabriele Peroni, Trattato di Fitoterapia Driope, Nuova Ipsa editrice


Il potere curativo dei frutti del bosco

Fitoterapia - Dal pungitopo all’«amico del cuore», molte le qualità delle bacche autunnali e invernali
/ 06.12.2021
di Eliana Bernasconi

Il freddo non ci invita a passeggiare nei boschi spogli, dove però si possono ancora fare felici incontri: a partire dall’autunno, sono i piccoli frutti rossi o violacei maturati lentamente dopo la lontana fioritura primaverile a colorare tratti dei nostri boschi. Delle bacche, la Fitoterapia studia da sempre il potere curativo che posseggono: il loro fitocomplesso racchiude principi attivi detti flavonoidi, sostanze antiossidanti che contrastano l’attacco di agenti esterni e attivano le forme di difesa dell’organismo. Sono considerate per questa ragione antiinfiammatorie e antireumatiche. Curano, inoltre, affezioni respiratorie, disturbi digestivi e circolatori.

Chiedendovi di seguire l’avvertimento di non avvicinarvi mai alle bacche senza una guida sicura (alcune sono tossiche), vale la pena di parlare di quattro piante che sono ricche di proprietà curative e che si possono incontrare nei nostri boschi: sono l’Agrifoglio, il Biancospino, il Ginepro e la Rosa canina.

Chi non conosce l’Agrifoglio (Ilex aquifolium)? È molto usato proprio nel periodo natalizio, perché le sue bacche sono molto decorative. Da una sua varietà, ovvero dall’Ilex paraguariensis si ricava la famosa «yerba mate», bevanda tonica consumatissima nell’America latina, e in particolare in Argentina. Oltre ad evocare il Natale, le foglie dure e acuminate dell’Agrifoglio, in tempi remoti, si appendevano insieme ai salumi per allontanare i topi, per questo era chiamato anche Pungitopo. Di questa pianta si usano radici, corteccia, foglie e bacche; contiene gomme, zuccheri e tannini. L’Agrifoglio è indicato anche per trattare le infezioni febbrili: di fatto, nella medicina popolare il decotto di foglie e corteccia era un febbrifugo. Potrebbe poi essere interessante sapere che le sue foglie sono ricche di caffeina e i frutti tostati sostituivano il caffè. Narra una leggenda che Baldur, figlio di Odino, colpito da una freccia del suo nemico Loki, morì presso un agrifoglio; e fu per questo che Odino rese la pianta un sempreverde dotandola di bacche rosse in ricordo del sangue sparso dal figlio. Ultima curiosità: era in legno di Agrifoglio, l’arco che Ulisse tese tornando a Itaca.

Crataegus axyacantha è invece il nome scientifico del Biancospino. Diffuso in tutta Europa, con i suoi rami cosparsi di spine, finita la candida fioritura dal delicato profumo, produce bacche rosse che maturano nella tarda estate. Sono commestibili e amate dagli uccelli. È chiamato «l’amico del cuore» per l’importantissima azione cardioprotettiva confermata da studi clinici: rafforza e regolarizza il ritmo del cuore, ha un’azione dilatatrice sui vasi coronarici, modula la pressione, cura stati d’ansia, nervosismo, tachicardia emotiva, stanchezza, insonnia, ritenzione idrica e palpitazioni, e agisce sul sistema nervoso centrale con azione sedativa. Non inganni il timido aspetto, nella tradizione celtica era una pianta sacra molto temuta. Associata alla divinità femminile, nei matrimoni gli altari erano adornati con i suoi fiori bianchi per propiziare la fertilità.

Sempre nei boschi incontriamo un altro sempreverde spinoso: il Ginepro. Ha piccole bacche che da verdi diventano grigio-azzurre. In passato era ritenuto portatore di protezione, coraggio e fortuna, se piantato presso le abitazioni. Contiene resina, olio essenziale, gomme e sali minerali, e di esso si utilizzano foglie, frutti e il durissimo legno. È antisettico, espettorante e depurativo: in infuso, calma la tosse e disinfetta le vie urinarie. Un tempo andato, si masticavano le sue bacche come stimolante dell’appetito o come digestivo. L’olio essenziale del Ginepro cura le vene varicose. Tra le curiosità: il Gin, noto superalcolico ottenuto dalla distillazione di cereali, erbe e spezie, nacque come liquore curativo negli antichi monasteri e deve il suo nome proprio alle bacche di Ginepro che ne sono una componente essenziale.

Con un pizzico di fortuna nei boschi troviamo anche i piccoli frutti della Rosa Canina, o Rosa selvatica: sono di un rosso opaco con una leggera peluria e contengono piccoli semi all’interno; di forma leggermente ovale, si utilizzano a fine inverno, quando il primo gelo li rende più dolci. I cinque petali hanno sfumature di un delicatissimo rosa, le bacche contengono olio essenziale, tannino, acido gallico e soprattutto una grandissima quantità di vitamina C che migliora l’assorbimento del ferro. Regalano energia, sono rinfrescanti, antinfiammatorie e diuretiche. Con la Rosa canina si preparavano deliziose marmellate.