Nuovi mestieri. O mestieri che si trasformano. O nuovi modi di lavorare, di eseguire un lavoro, di coordinarlo. Secondo Siegfried Alberton, responsabile regionale della formazione continua all’Istituto universitario federale per la formazione professionale, «le nuove tecnologie hanno un potenziale ancora in gran parte inespresso». E queste opportunità di crescita, di inventiva, di cambiamento positivo hanno molto a che vedere con la formazione e la formazione continua.
«In questo periodo di emergenza sanitaria lo abbiamo toccato con mano: tutto può rivoluzionarsi e dobbiamo essere pronti. Abbiamo anche imparato che alcune strategie di lavoro sperimentate possono essere adottate anche senza emergenza sanitaria, perché sono più efficaci, più economiche o più valide. Per esempio alcuni strumenti didattici digitali oppure una parte del lavoro che può essere svolto da casa o ancora alcune riunioni a distanza che funzionano benissimo con i programmi online di comunicazione, con effetti positivi sull’efficienza ma anche sull’ambiente. Al contrario abbiamo capito che ci sono alcuni processi lavorativi e formativi che non appena si potrà, sarà meglio tornare a svolgerli in presenza: alcune competenze considerate fondamentali dal mercato del lavoro non possono essere costruite a distanza, così come alcuni processi lavorativi come ad esempio le fasi finali di un negoziato commerciale», spiega Alberton, che da anni si occupa di come le nuove tecnologie possono aiutare le professioni e le attività economiche a modernizzarsi e a rimanere sul mercato con linfa nuova.
Le «nuove tecnologie», quelle che hanno a che fare con il mondo digitale in particolare, non vanno a sostituire, detto fatto, il lavoro dell’uomo, ma lo trasformano, lo supportano e lo completano. Non è sufficiente trasferire online ciò che prima si faceva frontalmente. Nella didattica gli insegnanti lo hanno sperimentato e hanno appreso quanto sarà importante rivedere anche i modelli pedagogici-didattici. Idem nel commercio elettronico che ha dato un’idea del suo potenziale di sviluppo in questo periodo di distanziamento fisico. Il cambiamento in gioco va ben al di là della sostituzione dell’acquisto in un negozio con l’acquisto online: va rivista tutta la catena logistica con impatti non indifferenti in termini organizzativi, di trasporto, ambientali, economici e sociali. L’uso delle tecnologie, oggi più che mai, richiede un processo di ripensamento sistemico molto profondo.
La formazione in questo ha un ruolo chiave, come ha scritto di recente Siegfried Alberton sulla rivista, «Skilled», edita dall’Istituto Universitario Federale per la Formazione Professionale: «La sfida sta nel trasformare concretamente i principi didattici in processi di apprendimento efficaci. I formatori e le formatrici in “transizione” dal vecchio al nuovo paradigma, grazie alla loro formazione continua, giocano un ruolo fondamentale nel preparare i giovani, già pienamente dentro il nuovo paradigma, a vivere questa nuova era da protagonisti e, soprattutto, ad armi pari».
Lo sviluppo delle competenze professionali deve inoltre essere sempre più orientato alla pratica. Le competenze vanno costruite attraverso una didattica per situazioni veritiere, in ambienti reali e virtuali, sfruttando le potenzialità delle tecnologie digitali e le modalità attraverso cui le nuove generazioni desiderano apprendere, come giochi, simulazioni, apprendimento a distanza e apprendimento collaborativo, in stretto contatto con il territorio e il mondo dell’economia.
Alberton ha portato a più riprese le sue classi master a risolvere problemi reali e concreti riscontrati nelle aziende. «Queste aziende, sempre molto sollecitate, non avevano spesso il tempo di riceverci in presenza; allora la tecnologia ci è venuta in aiuto. Abbiamo trovato soluzioni alternative, per esempio con la registrazione di video-presentazioni in cui le aziende lanciavano la sfida agli studenti su problemi che stavano vivendo in quel momento, alla ricerca di soluzioni creative ma fattibili. Gli studenti hanno fornito proposte alle aziende le quali hanno inviato un feedback video-registrato che è poi stato utilizzato come base per l’esame finale. Non tutto si può fare a distanza, o virtualmente, ma è anche vero che senza l’ausilio della tecnologia, nel caso specifico, non sarebbe stato possibile organizzare un lavoro pratico con le aziende. Ai giovani questo modo di lavorare piace molto; si sentono coinvolti perché devono organizzarsi (in modo autonomo e responsabile) per risolvere problemi reali. I casi aziendali proposti dalle riviste e dai manuali non producono gli stessi stimoli e nemmeno le stesse competenze».
La tecnologia ha un potenziale inespresso, secondo l’esperto, perché ci sono ancora ampi settori in cui non viene sfruttata appieno. La realtà aumentata, per esempio, esiste da anni, ma pochi la usano, mentre permetterebbe tra le altre innumerevoli cose di fare manutenzione e riparazioni a distanza, risparmiando tempo e spostamenti. Anche le stampanti in 3D creano prototipi in modo rapido con materiali riciclabili direttamente a «casa» del cliente. Ci sono vantaggi ecologici ma anche economici: viaggiano files al posto di manufatti e lo fanno attraverso la rete e non sulle strade, sull’acqua o per via aerea. O ancora, la domotica permetterebbe a persone in età avanzata o con disabilità a vivere da sole (ma monitorate a distanza) a casa propria e la lista è ancora lunga.
Gli chiediamo di farci un esempio di «nuovo mestiere» che si avvale di nuove tecnologie e si àncora ai bisogni del presente. Ce ne cita uno tra i vari che sono nati ultimamente – e non stiamo parlando degli ultimi mesi ma degli ultimi anni: gestore delle emergenze. Tra le crisi possibili nel nostro mondo odierno ci sono per esempio i cambiamenti climatici, con gli incendi di foreste, lo scioglimento dei ghiacciai e la migrazione forzata di persone; ci sono gli hackers, un nuovo virus o il sovraccarico di Internet. Mario Simaz, colonello Smg dell’esercito per le truppe di salvataggio, ha creato in Ticino nel 2015 la Swissteamleaders, che si occupa proprio della gestione di situazioni di crisi e catastrofi. «Nel mio lavoro bisogna soprattutto prevedere, stare attenti ai segnali, leggere le ricerche degli esperti», spiega Simaz. «Bisogna immaginarsi e attrezzarsi. Formarsi. Si lavora molto prima affinché quando si è nell’emergenza si possano disporre dei contatti, delle tecnologie, delle informazioni necessarie a fronteggiare la crisi». La Swissteamleader lavora a livello internazionale occupandosi di un grande ventaglio di possibili catastrofi. Lavora con esperti internazionali che hanno specifiche competenze e profili operativi strategici in numerosi campi, che vanno dai droni all’informatica alla formazione di personale specializzato. Tutto ciò che serve per «sapere in anticipo», sfruttando ogni nuovo metodo per figurarsi gli scenari, per esempio grazie alla realtà aumentata, e incrociando i dati per sapere del numero elevatissimo di variabili di cui tenere conto. Ma è anche in stretto contatto con aziende che non solo prevedono ma che anche «curano», cioè quelle società che hanno creato prodotti innovativi unici nell’ambito dell’emergenza. Swissteamleaders si occupa anche di dare supporto a start-up che hanno creato qualcosa di particolarmente innovativo nell’ambito della gestione di emergenze e crisi di varia natura.
Nel mondo della produzione di beni, invece, la nuova tendenza riguarda il ciclo produttivo e in particolare il riutilizzo degli scarti. L’economia linea-
re è arrivata al suo limite, come tutti si stanno accorgendo, e ora si parla di economia circolare: «Si tratta di un paradigma che applica i principi della biomimesi, cioè l’approccio all’innovazione che emula i processi biologici della natura», spiega ancora Siegfried Alberton. «Il modello che ne sta alla base è la capacità del sistema economico di autorigenerarsi, riducendo al minimo gli scarti che, in parte, possono diventare risorse da reinserire nel ciclo produttivo in ogni sua fase». Per esempio il settore automobilistico: già dal design di una nuova macchina, si cerca oggi di prevedere dove finirà ogni pezzo affinché non vada buttato ma possa essere riciclato, trasformato, rivenduto. Non solo si risparmiano i costi di rottamazione, smaltimento, riciclo, ma considerando fin dall’inizio le possibilità di riutilizzo produttivo delle componenti e dei materiali, si può persino trarre profitto da ciò che di norma è conosciuto come un costo non recuperabile.
«Con questa emergenza sanitaria che abbiamo vissuto», conclude Alberton, «ci siamo resi conto delle potenzialità di molte tecnologie innovative. Non basta conoscerle e applicarle, ma bisogna appropriarsene, ripensando, in modo sistemico e multidimensionale, a molti modi di lavorare e interagire. Abbiamo anche avuto le prove di come basta bloccare tutta una serie di spostamenti per avere un impatto sull’ambiente di rilievo. E in questo chi dovrebbe uscirne vincente non sono solo i “nuovi mestieri creati per il mondo di oggi”, ma anche i produttori locali, gli artigiani (i cosiddetti nuovi makers), chi punta sul chilometro zero e l’adattabilità, chi lavora con spirito creativo, facendo tesoro di innovazione e tradizione, per reinventarsi senza buttare via niente».