Scheda

Nato a: Faido
Età: 35
Abito a: Claro
Lavoro: Polizia Cantonale
Hobby: Bici, corsa, passeggiate in montagna, trascorrere il mio tempo libero con la mia famiglia.
Rimpianto: Non essere riuscito a partire per l’estero per studiare una lingua.
Sogno nel cassetto: Tanti, forse troppi, ma in questo momento però il mio sogno è quello di poter garantire la mia presenza e il mio tempo a mia moglie e alle mie bimbe
Amo: Trascorrere il mio tempo in compagnia, parlare, ridere e scherzare. Amo onestà e trasparenza.
Non sopporto: la gelosia, la disonestà e le persone false.
La mia foto preferita: una foto spensierata, con il mio sorriso naturale.

Tre momenti chiave di una vita

Mattia, hai a disposizione 666 battute per illustrare tre momenti topici della tua vita:

 

1. Aver lavorato per il «Corriere del Ticino», dal 2007 al 2012 in veste di poligrafico. Questo lavoro mi ha dato parecchie soddisfazioni e mi ha permesso di relazionarmi con molti professionisti del giornalismo coi quali ho stretto rapporti che durano tutt’ora.

2. La nascita delle nostre bimbe: Lilia 2010, Noemi 2014 e Nora 2017, le mie principesse. Loro sono la mia forza, il mio tutto. Io e mia moglie Lorenza ci facciamo in mille per cercare di dare loro tutto quanto necessitano per poter affrontare la vita nel migliore modo possibile.

3. L’entrata nel corpo di Polizia nel 2013, scelta che mi ha dato e mi dà parecchie soddisfazioni e possibilità. In futuro mi piacerebbe specializzarmi e concentrarmi in ambito educativo, rivolto ai giovani e, proprio in questo senso, mi sto dando da fare.


Il poligrafico che diventò poliziotto

Incontri (7) – Mattia Capuani, 35 anni, papà di tre bimbe, ha lasciato la tipografia di un giornale per diventare agente della polizia cantonale – Oggi è addetto alle ricostruzioni degli incidenti stradali
/ 26.09.2022
di Matilde Casasopra

Vederlo arrabbiato era quasi impossibile. Sì, a volte anche lui era preso dallo sconforto, ma sempre, anche quando gli si chiedevano modifiche impossibili – «in questa pagina ci devono stare tutti e sette i municipali, con le foto e le dichiarazioni post-voto» – lui ti guardava, sorrideva e ti diceva: «Ce la facciamo. Ci penso. Provo e poi arrivo». Mattia Capuani era il poligrafico che tutti, in redazione, avrebbero sempre voluto avere di turno. Capace, affidabile, disponibile. Ma… un giorno Mattia, fulmine a ciel sereno, rassegnò le dimissioni e si iscrisse alla scuola di polizia.

Mattia, cos’era successo per spingerti a questa decisione?
Niente di particolare. Avevo 25 anni e cominciavo a vedere il mio mondo – quello della tipografia e dell’editoria in generale – affrontare difficoltà sempre maggiori, ma con sempre meno mezzi. Il digitale stava soppiantando la carta e questo comportava un cambiamento importante in quella che era stata la ragione per cui avevo scelto di svolgere la professione della quale mi ero innamorato: il poligrafico. Poi, ad aggiungere temi di riflessione a quelli che avevo già in corso, ci ha pensato mio suocero, un giorno che eravamo a fare la spesa al supermercato. Mi ha guardato e mi ha detto: «Mattia, ma perché non provi a entrare in polizia? Io ti ci vedrei bene. Sai trattare con le persone. Sei socievole. Sei empatico e… c’è bisogno di gente come te». Ci sono rimasto un po’ così. Ma poi… ho cominciato a pensarci sul serio, finché ho deciso.

È stata la delusione di un amore la ragione che ti ha portato a lasciare il mestiere di poligrafico?
In definitiva la si può mettere anche così. Quando ho deciso che quello del poligrafico sarebbe stato il mio lavoro ero in quarta media e avevo chiesto di poter svolgere lo stage di un giorno in una tipografia. Una giornata che non dimenticherò mai e che trascorsi alla tipografia Casagrande dove mi sentii un po’ come Alice nel paese delle meraviglie. Lì mi accolsero come studente, ma poi mi accettarono anche come apprendista. Senza retorica: ero, sono stato, un ragazzo fortunato e felice. Forse è anche per questo che, quando mi sono accorto che il mio lavoro stava diventando sempre meno creativo e sempre più dipendente dalle macchine, ho cominciato a pensare che dovevo cambiare. Sono più portato a interagire con le persone che con le macchine.

La polizia, dunque, come luogo d’interazione personale?
Non solo, ma per me soprattutto questo. Quando ho cominciato a informarmi e documentarmi, mi sono accorto che, all’interno della polizia, avrei avuto molte possibilità di crescita, ma avrei potuto anche affrontare percorsi in sintonia con le mie qualità – diciamo così – migliori.

Mattia Capuani, in una narrazione tipo Starsky&Hutch, è il poliziotto buono?
Né buono né cattivo. Mattia è Mattia. Non cambia perché ha la divisa. Un giorno un collega mi ha fatto notare che riesco a infliggere una multa e, alla fine, salutare ed essere salutato con un sorriso. Ed è vero. Penso però sia dovuto al fatto che se qualcuno commette un’infrazione sa che esistono le sanzioni, ma percepisce anche che quando gli presento la multa non provo alcun tipo di soddisfazione. Anzi… mi spiace persino un po’. A quel punto è facile instaurare un rapporto umano che va al di là del sanzionante e del sanzionato.

Il tuo lavoro adesso è quello di dare multe?
No, dai! Certo, ci sono anche le multe, ma… il mio lavoro adesso è, principalmente, quello di procedere alla ricostruzione degli incidenti. Quando voi giornalisti date notizia di un incidente, è perché è accaduto e ci sono stati: disagi al traffico, a volte danni, a volte feriti e a volte, purtroppo, anche morti. La notizia, solitamente, sparisce dalle cronache il giorno dopo. Il mio lavoro, invece, prosegue anche per diverse settimane e, spesso, sono settimane difficili perché tu sei in mezzo a due parti, con storie diverse, ma bisogni uguali: di verità e chiarezza. Arrivare a una ricostruzione dei fatti completa in questi termini implica confrontarsi con persone che, specialmente nei casi peggiori – quando cioè un incidente ti ha portato via un figlio, un famigliare – hanno un carico di sofferenza molto importante. Ascoltare e partecipare cercando di capire e ricostruire, pezzo per pezzo, gli attimi di una storia conclusasi con un dramma: anche questo è il mio lavoro.

Ti è mai capitato di dover comunicare la morte di una persona ai suoi famigliari?
Sì, e, purtroppo, più volte. Inutile farne mistero, sono gesti che pesano e ti marcano dentro. La fragilità della vita e quell’attimo che può cambiare quella di una comunità di persone costituiscono momenti che non riesci più a cancellare dalla tua anima. È vero, ti insegnano a non interiorizzare tutto – un po’ come ai medici – ma… da qualche parte c’è uno spazio nel quale si accumula il dolore delle persone che incontri. Recentemente mi è capitato diverse volte e posso assicurarti che il bisogno di verità che i famigliari ti manifestano è qualcosa che non ti può lasciare indifferente e che dà un senso profondo al mio lavoro. È anche partendo da queste esperienze che per me la mia famiglia e i miei amici sono, ogni giorno di più, un mondo da proteggere e del quale avere una cura speciale.

E come fai quando torni a casa dopo una giornata di dolore?
È mia moglie che me lo legge in faccia, il dolore che ho incontrato. Lei mi guarda, sorride e poi mi dice: «Di quanto tempo hai bisogno?». Il più delle volte, in questi casi, rispondo: «Un paio d’ore». Poi mi metto le scarpe adatte e: o vado a correre o inforco la bicicletta. Mi impongo di lasciare il lavoro fuori casa e mi immergo in un altro mondo nel quale i pensieri pesanti evaporano con la fatica fisica. Poi, tornato a casa, mi prendo cura delle mie bimbe e torno a essere il Mattia che conoscono loro: quello allegro, pacioso e giocherellone.

Inforchi la bicicletta… È sempre la tua passione?
Direi di sì. Sono sempre stato un amante della bicicletta. Pensa che uno dei momenti più belli della mia vita l’ho vissuto proprio sulle due ruote. Qualche estate fa ho detto a mio nonno, che vive a Roseto degli Abruzzi e che mi prendeva in giro per questa mia passione: «Guarda che mi sto allenando proprio perché voglio venire a trovare te in bici». Ricordo che scosse il capo più volte e sorrise. Io però, a quel punto, avevo deciso e così, con un amico, il 28 maggio del 2018 sono partito da Biasca e in tre tappe – Biasca-Casalmaggiore (271 chilometri), Casalmaggiore-Torre Pedrera (265 chilometri) e Torre Pedrera-Roseto degli Abruzzi (238 chilometri) – sono arrivato a destinazione. Mio padre ci ha accompagnati, a distanza, in auto. La cosa più bella, però, è stata vedere lo stupore e la gioia dipinti sul volto di mio nonno. Una giornata davvero speciale.

Mattia, ti prepari a qualche nuova decisione?
No. Direi che per il momento la decisione più importante l’ho già presa: garantire alle mie tre figlie l’affetto e gli strumenti necessari per affrontare la vita in modo sereno e consapevole. Non escludo però che forse, quando saranno grandi, qualche cosa di nuovo me lo inventerò.