Il castelliere di Tegna è più di un ammasso di sassi rimessi lì in ordine per il visitatore. Una gita sulla collina sovrastante il pittoresco borgo delle Terre di Pedemonte si trasforma subito in un’esperienza culturale e naturale, da gustare in tranquillità, possibilmente in una giornata serena. Per la salita alla vetta, situata a 528 metri di altitudine, è richiesto un certo sforzo fisico dato che è necessario superare un dislivello di quasi trecento metri, ma la gita è fattibile e di certo vale l’impegno profuso. Pensando alla meta già ci s’immerge in un sentimento di mistero e di curiosità. Attesa presto premiata quando si giunge sul piccolo pianoro, dove appaiono i muri rimessi a nuovo dagli interventi di recupero e valorizzazione del sito archeologico.
Un recupero iniziato nel 2015 con la nascita del progetto «Il castelliere di Tegna, un paesaggio da scoprire», promosso dal patriziato di Tegna e dall’associazione Amici delle Tre Terre e di Pedemonte con il sostegno del comune Terre di Pedemonte. L’iniziativa ha anche beneficiato del fondamentale supporto del progetto Parco nazionale del Locarnese, poi come noto naufragato, ed è in sé abbastanza giovane. In pochi anni ha permesso, con un investimento di circa 300’000 franchi, di ridare vita a un pezzo di storia, come ci spiega Adriano Gilà, presidente del Patriziato di Tegna: «Si tratta d’interventi conservativi e didattici, in cui si è voluto far riemergere alcuni dei ritrovamenti del vecchio castelliere di Tegna; una volta individuate le vecchie mura, si è voluto metterle in evidenza rialzando gli originali sulla base dei resti ritrovati. Abbiamo potuto ricostruire e mostrare al pubblico circa 220 metri lineari di mura, ripristinandole con i sassi ritrovati sul posto». Interventi impegnativi che sono stati eseguiti dopo aver ripulito l’area, circa 4 ettari, dal bosco che negli anni aveva invaso e soffocato l’intera collina. Oggi, giunti in cima, la visuale si apre invece come d’incanto, con una vista a 360° su Vallemaggia, Locarnese, Gambarogno, lago Verbano, Centovalli e anche su tutte le montagne che fanno da corollario al suggestivo paesaggio.
La storia della rinascita, o per lo meno del salvataggio di quel che era il castelliere, non è però così recente, se si pensa che le prime menzioni del sito si ritrovano già in documenti del 1927, cui seguirono degli scavi amatoriali da parte di alcuni giovani del posto. «Tra il 1941 e il 1945 si susseguirono le prime indagini archeologiche, cui negli anni seguenti non fu però dato un seguito, portando al disinteresse e all’abbandono della zona», racconta Adriano Gilà.
Negli anni seguenti si susseguirono studi, lavori e indagini puntuali e parziali che tuttavia non riuscirono a ridare luce alla fortificazione. Il nuovo progetto, come detto, è invece decollato nel 2015 parallelamente alla tesi di master all’università di Losanna da parte di Mattia Gillioz, il quale per questo lavoro ha pure ricevuto, nel 2016, la borsa di studio dell’Associazione archeologica ticinese.
Grazie ai lavori di esbosco, di pulizia e in seguito di riqualifica, sulla collina si possono oggi ammirare un pozzo e soprattutto l’edificio principale, con una pianta quadrata di 22 metri di lato e tre entrate con accesso ai vari locali, disposti attorno a un grande spazio centrale. Qui si situava pure un locale interrato profondo tre metri e munito di due volte a botte poggianti su una struttura ad archi, costruita con del tufo proveniente dall’attuale Lombardia. L’uso e il rinvenimento di questo materiale (un tipo di roccia leggera, di media durezza e facilmente lavorabile), come quello delle tegole in terra cotta ritrovate, indicano come già in quell’epoca ci fosse un collegamento, via lago Verbano, tra le Terre di Pedemonte e il nord d’Italia. Poco più in alto, c’è quella che è stata denominata la torre medievale, ottimo punto d’osservazione sul territorio, alla pari del punto panoramico verso il Verbano. Poco oltre, verso la Vallemaggia e inserita nei muri di protezione che circoscrivevano l’intero castelliere, un’altra torre garantiva visuale e controllo su Dunzio, forse antico punto d’accesso alla valle.
Per ricostruire il lungo periodo storico del castelliere ci si è potuti basare sui ritrovamenti, tra cui diversi utensili che hanno attestato una frequentazione umana della collina sin dal Neolitico (5500-2200 a.C.). Le testimonianze più numerose, come frammenti di ceramiche o fusaiole, risalgono però all’età del Bronzo e indicano un insediamento stabile che si prolungò fino all’età del Ferro (950-15 a.C.). La conquista romana portò a un parziale abbandono della collina che venne però rioccupata e abitata durante gli ultimi secoli dell’Impero (IV-V secolo d.C.), con la costruzione delle fortificazioni e degli edifici tuttora visibili, occupati, si presume, fino all’alto Medioevo (VII secolo).
Per garantire fruibilità alla collina, il sentiero d’accesso, segnalato da Tegna, è stato oggetto d’interventi di manutenzione, mentre in autunno verranno posti dei cartelloni per illustrare al visitatore un po’ di storia del castelliere che, anche per chi di archeologia o di storia proprio non s’intende o non s’interessa, vale di certo una gita, eventualmente da prolungare lungo la miriade di percorsi a disposizione nei dintorni.
Salendo al castelliere di Tegna, ci si può concedere una pausa per ammirare alcune costruzioni ed edificazioni più recenti ma altrettanto interessanti. A pochi minuti dal fondovalle, in zona Selvapiana il sentiero si sviluppa lungo un grande muro: si tratta di una roggia di contenimento costruita su una lunghezza di circa mille metri. La rongia serve tutt’oggi per contenere le acque piovane e farle confluire nel fiume Melezza, proteggendo così l’abitato sottostante da alluvioni o scoscendimenti. Poco più su ci s’imbatte invece in un gruppo di case o cascine in sasso circondate da circa una ventina di tavoli ricavati da dei grandi lastroni estratti dalla montagna. Su un altro sentiero, non ufficiale, c’è poi il Sass güzz, un masso a forma appuntita molto particolare. Tutti elementi che possono rendere la gita al castelliere ancor più interessante.