Macrofotografie di insetti fossili del Monte San Giorgio. (A) Gigamachilis triassicus, 40 mm. (B) Tintorina meridensis, 11 mm. (C) Archetingis ladinica, 12 mm. (D) Praedodromeus sangiorgiensis, coleottero terrestre predatore, 11 mm. (E) Plecottero, 9 mm. (F) Embiottero, 18 mm. (G) Coleottero probabilmente acquatico, 3 mm. (H) Larva di olometabolo, 40 mm. (I) probabile Ortottero, 15 mm. (J) particolare degli organi interni (tubi malpighiani). (Montagna et al. 2019).

Il Monte San Giorgio nell’era genomica

Paleontologia - Nuovi fossili dal sito UNESCO retrodatano l’evoluzione degli insetti e ridimensionano le conseguenze dell’estinzione di massa che chiuse l’Era Paleozoica
/ 30.03.2020
di Rudolf Stockar

Darwin incluse nell’Origine delle specie (1859) una sola immagine, un albero evolutivo con biforcazioni a rappresentare divergenze che da antenati comuni conducevano alle specie attuali. Il processo prende il nome di filogenesi e per oltre un secolo è stato ricostruito sulle stesse basi, i tratti morfologici, recentemente integrati da quelli genetici. L’acquisizione di enormi quantità di dati sul DNA gestiti da algoritmi sempre più sofisticati ha infatti aperto la strada alla filogenomica, la filogenesi fondata sul confronto delle sequenze genetiche.

L’ipotesi di base è quella dell’«orologio molecolare», introdotta nel 1962, secondo cui l’ammontare delle differenze genetiche tra due specie è funzione del tempo trascorso dalla divergenza dal loro comune antenato. Una calibrazione esterna come quelle fornita dai fossili, in grado di quantificare il cambiamento genetico per unità di tempo, consente quindi di risalire all’età di divergenza in base alla distanza genetica. Lo sguardo della filogenomica sprofonda così nella storia della vita, formulando ipotesi che sono spesso l’unica alternativa all’incompletezza del registro fossile.

Le età dei fossili usate per calibrare gli orologi molecolari sono comunque età minime di comparsa dei relativi organismi: i paleontologi non troveranno mai i testimoni più antichi di un dato gruppo ma al massimo quelli della sua successiva diffusione, premesso che avessero parti fossilizzabili o esistessero sedimenti in grado di conservarli. L’incompletezza del registro fossile porta così a sottostimare l’età dei nodi degli alberi filogenetici, da cui divergono linee evolutive inedite; è quindi comprensibile come nuovi ritrovamenti e relative calibrazioni retrodatino sempre più le tappe della storia della vita. Da alcuni anni il Monte San Giorgio fornisce continue prove dell’incompletezza del registro fossile, proprio riguardo agli animali cui si lega l’invenzione di un impressionante ventaglio di capacità, quali volo, metamorfosi completa e organizzazione sociale. Si tratta degli insetti, con prime prove fossili risalenti al Devoniano (circa 412 Ma, milioni di anni or sono) ma una storia ancora in gran parte da scrivere: appartengono, infatti, agli ecosistemi continentali, preservati nel registro fossile solo in condizioni particolari. Il risultato è una storia della vita basata soprattutto sull’archivio marino, nonostante che, ospitando l’85 per cento delle specie viventi, sia proprio la terraferma a offrire oggi la massima biodiversità. Nel 1998, il primo insetto fossile emerso dal Monte San Giorgio ha inaugurato una stagione di ritrovamenti che continua tuttora. Comprendono rappresentanti di gruppi terrestri, con abitudini sia predatorie sia fitofaghe, e gruppi acquatici, testimoniati da larve e adulti. Su un totale di 25 esemplari, spesso specie nuove per la scienza, sono rappresentati almeno sette ordini con diversa ecologia e sviluppo post-embrionale, quali archeognati, coleotteri, efemerotteri, plecotteri, emitteri, embiotteri e odonati. Aggiungendo un probabile dittero (l’ordine cui appartengono oggi mosche e zanzare) e un possibile ortottero (attuali grilli e cavallette), gli ordini arrivano a nove.

Nel loro insieme, i fossili raccontano di terre emerse con vegetazione diversificata e bacini d’acqua dolce permanenti, il tutto a ridosso dell’ambiente marino di formazione del Calcare di Meride. Iniziata nel 2001 con la descrizione di Tintorina meridensis, nota come la «zanzara del San Giorgio» sebbene sia un’effimera, e del coleottero Notocupes, la serie di indagini ha portato poi nel 2010 alla scoperta di Dasyleptus triassicus, un insetto privo di ali appartenente ai Monura, fino a quel momento ritenuti annientati dall’estinzione di massa al limite Permiano/Triassico (251,9 Ma). Qui risiede una caratteristica fondamentale della fauna fossile del Monte San Giorgio: risale all’età ladinica del Triassico Medio (241-239 Ma), è quindi successiva di poco più di 10 milioni di anni rispetto all’estinzione di massa più catastrofica mai verificatasi, tale da cancellare fino al 96 per cento delle specie marine e il 70 per cento dei vertebrati terrestri.

Rari giacimenti a insetti fossili del Triassico Inferiore, scoperti nella Russia europea e in Siberia, mostrano delle faune a bassa diversità, ma sono documenti troppo limitati per fornire un quadro affidabile dei postumi di quella crisi climatica. Nel Triassico Medio (Anisico-Ladinico) si assiste alla ripresa degli ecosistemi terrestri, piante e insetti compresi, sinora testimoniata da pochissime località al mondo. Si tratta principalmente della formazione del «Grès a Voltzia» (Vosgi, Francia) di età anisica e di quelle di Los Rastros (Argentina) e di Madygen (Kirghizistan) di età ladinica, cui si aggiungono recenti esempi dalla Cina. In tale contesto emerge l’importanza dei fossili del Monte San Giorgio, che oltre a documentare l’entità dell’estinzione delle faune paleozoiche (v. Dasyleptus), racchiudono informazioni uniche sull’origine di quelle moderne. Comprendono, infatti, i rappresentanti più antichi sinora noti di alcune famiglie tuttora esistenti. Gigamachilis triassicus permette così di retrodatare di circa 200 milioni d’anni l’origine degli attuali machilidi (archeognati), insetti privi di ali simili ai «pesciolini d’argento» sinora noti solo dall’Eocene (50 Ma). Archetingis ladinica retrodata invece di 140 milioni di anni l’origine degli attuali tingigi (emitteri), famiglia di cimici fitofaghe prima nota solo dal Cretacico Inferiore. Restano da spiegare le dimensioni eccezionali di questi esemplari, superiori a quelle di tutti i loro «parenti», siano essi fossili o viventi: gli otto centimetri di lunghezza totale di Gigamachilis ne giustificano in tal senso il nome.

Una nuova ricerca pubblicata sotto il coordinamento di Matteo Montagna, entomologo dell’Università di Milano che da alcuni anni studia questa collezione conservata al Museo cantonale di storia naturale (Lugano), usa otto specie fossili del Monte San Giorgio per calibrare l’orologio molecolare della filogenomica degli insetti. Applicata a una precedente banca dati di 1478 sequenze genetiche di artropodi viventi tarata in base a 37 fossili provenienti da tutto il mondo, la nuova calibrazione fornisce ipotesi inedite sui tempi di divergenza delle linee evolutive che hanno condotto alla biodiversità attuale, suggerendo come tappe fondamentali siano state raggiunte prima di quanto sinora ritenuto. Così, l’antenato comune degli insetti sarebbe comparso nell’Ordoviciano (465 Ma) e le prime forme alate nel Siluriano (434 Ma).

L’origine degli insetti con metamorfosi completa (olometaboli, come le attuali api, farfalle, mosche e coleotteri) risalirebbe al Devoniano (389 Ma), seguendo così la diffusione delle nicchie ecologiche legate alle nuove comunità di piante vascolari, in grado di offrire habitat e risorse di cibo ai diversi stadi di crescita. Alcuni gruppi oggi molto diversificati quali lepidotteri (farfalle), imenotteri (api, vespe, formiche) e ditteri sarebbero così apparsi prima dell’estinzione di massa al limite Permiano/Triassico. Di conseguenza, la loro evoluzione non sarebbe dipesa da quella delle piante con fiori, a quel tempo ancora inesistenti, e la «madre di tutte le estinzioni» avrebbe avuto sugli insetti un impatto modesto, aprendo loro la strada al successivo dominio degli ecosistemi terrestri.

Gli insetti del paesaggio triassico del Monte San Giorgio presentano anche una caratteristica che li rende unici al mondo: la conservazione di tessuti molli e organi interni. Sono infatti riconoscibili non solo fasci muscolari, ma anche parti del sistema nervoso centrale, quali gangli e lobi ottici, del canale alimentare e del sistema escretore (tubi malpighiani). Letti nei loro caratteri più piccoli, gli strati del monte iscritto nel Patrimonio dell’Umanità quale migliore testimonianza al mondo della vita marina del Triassico stanno così fornendo presupposti altrettanto unici per lo studio degli ecosistemi di terraferma.

Bibliografia
Montagna M., Tong K.J., Magoga G., Strada L., Tintori A., Ho S.Y.W., Lo N. (2019): Recalibration of the insect evolutionary time scale using Monte San Giorgio fossils suggests survival of key lineages through the End-Permian Extinction. Proc. R. Soc. B 286:20191854.

Altre fonti citate per le immagini
Montagna M., Haug J.T., Strada L., Haug C., Felber M., Tintori A. (2017): Central nervous system and muscular bundles preserved in a 240 million year old giant bristletail (Archaeognata: Machilidae). Sci. rep. 7, 46016.
Montagna M., Strada L., Dioli P., Tintori A. (2018): The Middle Triassic Lagerstätte of Monte San Giorgio reveals the oldest lace bugs (Hemiptera: Tingidae): Archetingis ladinicagen. n. sp. n. Riv. Ital. Paleontol. Strat. 124, 35-44.