Il mondo salvato dai bambini

Attivismo – Un libro appena pubblicato negli Stati Uniti racconta l’importanza di insegnare ai bambini a prendere l’iniziativa, per educarli a diventare cittadini attenti e responsabili
/ 03.09.2018
di Stefania Prandi

Jonas Corona aveva solo sei anni quando decise che voleva fare qualcosa per aiutare i bambini senza fissa dimora. Tutte le associazioni che contattava però gli rispondevano che era troppo giovane per diventare un volontario. Così decise di creare la sua organizzazione: con l’aiuto dei genitori ha fondato «Love in the Mirror», per raccogliere cibo e vestiti e distribuirli ai minori che vivono per strada, nei centri di accoglienza oppure in attesa di una famiglia affidataria. 

Jonas Corona non è l’unico ad avere cercato di migliorare il mondo fin da piccolo. Ci sono nomi celebri, dei nostri giorni e del passato, come Malala Yousafzai, la più giovane vincitrice del Premio Nobel per la pace (nel 2014), che quando aveva undici anni sfidò i talebani in Pakistan per il diritto allo studio delle bambine e per questo subì un attentato. Un’altra illustre attivista in erba fu Claudette Colvin, studentessa afroamericana che a quindici anni, nel 1955 (mesi prima di Rosa Parks), si rifiutò di cedere il posto a un uomo bianco sull’autobus, rompendo la «consuetudine» del periodo. Un gesto rivoluzionario che pagò con l’arresto e una multa.

Un libro appena pubblicato negli Stati Uniti, intitolato You Are Mighty: A Guide to Changing the World (Tu sei potente: guida per cambiare il mondo), racconta attraverso una serie di esempi l’importanza di prendere l’iniziativa fin dall’infanzia. Ai bambini si può insegnare l’attivismo, educarli cioè a diventare cittadini attenti e responsabili attraverso azioni come scrivere lettere di protesta, fare volontariato, organizzare raccolte fondi a scopo benefico, partecipare alle manifestazioni. L’autrice è Caroline Paul, che prima di approdare alla scrittura, per tredici anni è stata una vigilessa del fuoco. Nel 2016 ha anche tenuto un Ted Talk (una conferenza promossa dall’organizzazione non profit Technology, Entertainment, Design per diffondere idee considerate particolarmente innovative) con trascrizioni in ventinove lingue e quasi un milione e ottocentomila visualizzazioni. Nel suo testo, accompagnato da illustrazioni, consigli ed esercizi per passare dal pensiero all’azione, dà una sferzata a chiunque pensi che non ci sia nulla da fare in questi tempi difficili, dove le catastrofi sembrano sempre dietro l’angolo e l’ingiustizia sembra regnare sovrana. Dedicato alle ragazzine e ai ragazzini tra i nove e i dodici anni, ma anche agli adulti che li devono crescere, You Are Mighty: A Guide to Changing the World (per ora soltanto in inglese) cerca di trasmettere l’idea che non sia mai troppo presto per imparare ad alzare la voce in maniera costruttiva ed equilibrata.

«Sono nata con la paura delle piogge acide. Il nome stesso era terrificante. I miei genitori non erano attivisti, ma erano buoni cittadini. Quando decisi di scrivere una lettera al presidente Nixon e chiedergli delle risposte sui problemi ambientali, mi hanno prontamente fornito l’indirizzo della Casa Bianca. Ma la lettera in risposta non mi diede alcuna soluzione, conteneva alcune ovvietà sull’importanza dei bambini preoccupati, ed era firmata con quello che anche il mio cervello di ragazzina di nove anni riconobbe immediatamente essere un timbro. Né io né i miei genitori facemmo altre azioni. Sono stata lasciata spaventata e irreparabilmente amareggiata nella mia crescita. Guardandomi indietro, penso che sarebbe stato bello se avessi conosciuto delle tecniche di attivismo». Con queste parole Paul spiega, in un articolo, le ragioni che l’hanno spinta a dedicare un libro all’argomento, aggiungendo che ha già ricevuto critiche da alcuni genitori. Infatti, un papà su Twitter ha commentato che certe occupazioni sono da grandi perché bisogna lasciare «che i bambini siano bambini». Insegnare l’attivismo, sostiene il lettore, significa responsabilizzare troppo i più piccoli, privandoli dello spirito scanzonato e ottimista.

Paul ha replicato: «Questo genitore ha sicuramente le sue ragioni, ma anche i suoi torti», perché non è così che si mettono al riparo i figli dalla sofferenza. Comunque vedono il mondo attorno, anche su internet e in televisione: la povertà, le persone senza fissa dimora, e molte altre disuguaglianze. «I bambini diventano presto consapevoli delle disparità sociali e delle discriminazioni. Gli studi ci dicono che già a quindici mesi distinguono tra trattamenti giusti e ingiusti. Quindi la sfida è insegnargli a reagire e non nascondere la realtà. I benefici di questa scelta sono diversi: si può imparare a pianificare, ad avere una strategia, a lavorare in gruppo e a relazionarsi dal vivo con gli altri, un aspetto importante in una società in cui i bambini di otto anni trascorrono in media, al giorno, quattro ore e mezza davanti a uno schermo e diventano adolescenti poco socievoli, poco empatici e depressi».

Nel libro You Are Mighty: A Guide to Changing the World vengono spiegati con parole semplici concetti fondamentali come quello di privilegio: c’è chi nasce più fortunato di altri per famiglia di provenienza, genere, colore della pelle, salute fisica e mentale, e non può pensare che per tutti sia così facile vivere. Un’altra idea che viene analizzata è quella dell’alleanza: non occorre subire un’ingiustizia per potersene interessare e per sostenere cause apparentemente lontane. Inoltre non è mai troppo presto per cercare di trovare la propria voce. Rappresenta un modello l’esperienza di Carmen Hedrick, Lucy Newsom e Leah Brown, tre ragazzine di dieci anni che hanno fondato la «Lindley Park Gazette», un giornale di quartiere con ricette, oroscopi e una sezione di fumetti. Nella rivista hanno dedicato spazio anche ad articoli di interesse per i loro coetanei – ad esempio aumentare la presenza di pipistrelli nella zona – e hanno abbracciato battaglie per i diritti civili di Greensboro, la città dove vivono. La pubblicazione ha avuto quasi subito trecento abbonati e sono riuscite a farsi pagare le inserzioni pubblicitarie da un’azienda locale per coprire le spese di stampa.