È una leguminosa con i fiori di un bel giallo, raccolti in pannocchie lunghe fino a 30 centimetri. Essa racchiude i suoi semi in un baccello, come i fagioli e i piselli, le robinie, le mimose, le ginestre e i trifogli. È il maggiociondolo, o avorniello (Laburnum alpinum e Laburnum anagyroides) che popola con discrezione i boschi di faggio e altre latifoglie fino a 1800 metri di altitudine nelle regioni prealpine e del pedemonte, dal Friuli a tutti gli Appennini fino alla Lucania.
Poeticamente, sono chiamati anche «pioggia d’oro», termine ripreso in tedesco «Goldregen», in inglese «Golden Rain», e più prosaicamente in francese «faux ébénier», a causa della sua durezza e per il colore del legno. Il maggiociondolo è un vero fossile vivente. Sono, infatti, conosciute soltanto due specie in tutto il Mondo. Grazie alle impronte fossili delle sue inconfondibili foglie trilobate, scoperte nella bergamasca nel famoso giacimento di Leffe, e datate 60mila anni da oggi, apprendiamo che questo singolare vegetale – isolata testimonianza di arcaici paesaggi – era contemporaneo del rinoceronte lanoso, creatura che brucava pacifica nella fitta foresta di latifoglie (che non comprendeva il faggio), durante il climaticamente benigno periodo interglaciale tra l’epoca del Riss e quella del Würm.
Il maggiociondolo è un albero che necessita una elevata umidità atmosferica, tipica dei territori che beneficiano fino a 2000 millimetri annui di pioggia: clima sub-oceanico.
Nel corso della sua lunga storia evolutiva, che si perde nei tempi di prolungate ere geologiche, il nostro albero ha elaborato sofisticate modalità di lotta biochimica, grazie alle quali ha prodotto sostanze difensive (allelochimiche), che ostacolano l’attacco alla pianta da parte degli erbivori (vertebrati e insetti). Il vegetale, in tutte le sue componenti – dalle radici ai semi, dai vistosi fiori gialli al legno – contiene un potente alcaloide tossico: la citisina.
Sulla fioritura, che avviene dalla tarda primavera all’inizio dell’estate, non si posa una farfalla, neppure un’ape, e gli uccelli!, non nidificano sui maggiociondoli. Più l’età di un albero ha origini antiche, maggiore è la sua capacità di difesa contro gli insetti che si cibano delle sue foglie (i fillòfagi) o del legno (gli xilòfagi). II maggiociondolo, insieme con il tasso (Taxus baccata), che è una conifera, sono visitati per la loro alimentazione soltanto da tre specie di insetti, tra i quali è conosciuto l’esclusivo «bostrice del maggiociondolo».
Questa esigua schiera di viventi è stata in grado di metabolizzare la citisina. Per contro, e per confronto, salici e querce, alberi geneticamente «giovani», sono attaccati da un esercito di insetti ricco di oltre 600 specie. Questi ultimi alberi si sono sforzati di produrre difese biochimiche che tuttavia non rivaleggiano con l’arsenale messo in campo dai maggiociondoli. In molti casi, le piantine di faggio in un bosco sono brucate dalle capre, e i semi di quest’albero (le «faggiole») sono il cibo preferito di numerosi piccoli roditori di bosco: le arvicole. Questi animaletti evitano il maggiociondolo, favorendo in tal modo la sua diffusione e il loro insediamento nei boschi di faggio. Nel grande palcoscenico del bosco, ogni essere trova così il suo posto.
Generalmente, il nostro albero vegeta in forma arbustiva, essendo alto soltanto qualche metro. Alle pendici del Limidario (2181 metri, noto anche con il toponimo Gridone o Ghiridone) sopra Brissago a Sud di Locarno, si è conservato fino ai nostri giorni il più importante (oltre 9 ettari) consorzio forestale con dominanza di maggiociondolo alpino (Laburnum alpinum), immerso in un mare di felci (ben sette specie differenti!), oggi esistente nelle Alpi, dalle Giulie alle Marittime, e lungo tutti gli Appennini fino alla Lucania. Venendo a costituire un prezioso e unico monumento vegetale, che arricchisce e nobilita la Natura del cantone Ticino, in terra elvetica.
Ma è probabile che i drammatici cambiamenti climatici, particolarmente veloci e accentuati nelle Alpi, contribuiscano a una rarefazione e successiva scomparsa del maggiociondolo e di tanti altri vegetali, che caratterizzano la flora insubrica nel pedemonte lombardo-ticinese. I dati statistici degli ultimi decenni mostrano una peculiare diminuzione delle precipitazioni durante il periodo vegetativo, accompagnata da un parallelo aumento delle temperature. Testimoniando un processo di «desertificazione», siamo testimoni di un drastico mutamento delle caratteristiche della flora insubrica.
Una serie di misurazioni (dendrometria), effettuate con il valido concorso di Guido Repetti (compianto forestale di Brissago), aveva permesso di rilevare l’esistenza di 40 alberi il cui diametro variava da 20 a oltre 70 centimetri di diametro, e la cui altezza raggiungeva i 12 metri. Se consideriamo che, normalmente, esemplari di 20 centimetri sono già di ragguardevoli dimensioni, è agevole valutare la preziosità che possiamo ammirare al bosco di Mergugno sopra Brissago, nell’alto bacino del Lago Maggiore (Verbano).
Così ne scrisse lo scrittore e alpinista Mauro Corona, nel 1977: «Il maggiociondolo è un albero nobile, fiero e duro. Non è superbo come il noce e il tasso, ma molto riservato: un genitore generoso e fatalista, che abbandona le sue foglie con decisione, e le concede ai venti autunnali senza rimpianti» .